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L’ippogrifo ariostesco, nella tradizione italiana, è simbolo di viaggio, avventura, e scoperta, e come tale non deve stupire che esso faccia diverse apparizioni nella produzione fumettistica della casa editrice Bonelli, da sempre specializzata in molteplici declinazioni del genere avventuroso. In alcuni casi, l’ippogrifo è stato inserito nel testo in maniera potremmo dire decorativa, come tassello che non aggiunge necessariamente molto alla struttura narrativa o all’apparato simbolico. Un esempio di questo tipo è in Zed, episodio 84 di Dylan Dog (1993), scritto da Tiziano Sclavi e disegnato da Bruno Brindisi. Durante un viaggio in una dimensione parallela, Dylan incontra diversi personaggi dell’immaginario folclorico, come elfi e fate, o personaggi letterari entrati nel patrimonio collettivo come Peter Pan. In una vignetta (fig. 1), la parte centrale dell’immagine è dominata dalla figura di un cavallo alato con un paladino in sella, basato sull’idea dell’ippogrifo. Dylan Dog, in confronto, appare figura visivamente minuta e narrativamente secondaria. L’apparizione dell’ippogrifo non è però né commentata né fornita di contesto particolare: è la creatura fantastica più prominente della sezione, ma non viene in altra maniera distinta dalle altre.

Similmente decorativi possono essere impieghi del tema dell’ippogrifo anche più estesi. Il miglior esempio di questo tipo è forse in Il re delle mosche, episodio 270 di Dylan Dog (2009), scritto da Giovanni Di Gregorio e disegnato da Luigi Piccatto. L’ippogrifo qui appare sulla copertina di Angelo Stano (fig. 2) ed è co-protagonista di una breve sequenza di quattro tavole in cui Dylan, innamorato della ‘bella-del-mese’ ma non ricambiato, sogna di cavalcare lanimale fin sulla Luna, «dove si trova l’amore di Rose, insieme a molte altre cose perdute o dimenticate dalle persone» (fig. 3). Il paesaggio lunare viene rappresentato come un immondezzaio di oggetti di ogni epoca. Qui Dylan recupera un flacone con l’etichetta «Rose’s Love», e si risveglia. La sequenza è condotta come una ripresa superficiale dell’episodio ariostesco, che in particolare non ripropone il potenziale satirico che poteva essere innescato dagli oggetti lunari. Il passaggio ha anche un’attinenza piuttosto vaga, tramite la presenza di un’ampolla, con la trama della storia, che gravita intorno al dipartimento di chimica dell’Università di Londra.

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Sin dalla sua prima uscita nel 1982, la serie Martin Mystère (MM) ha introdotto numerose innovazioni nel ventaglio di offerte della Bonelli. MM è stato, infatti, il primo fumetto del rinomato editore milanese a essere ambientato in epoca contemporanea, il primo ad aprirsi al pubblico delle lettrici, e il primo ad accorpare avventura e fantasia con robusta erudizione, in un genere che potremmo definire ‘fantastoria’. Nelle storie di MM noti eventi del passato vengono rivisitati in chiave alternativa, di norma fornendoli di interpretazioni inattese. Tra le molte tradizioni che gli autori di MM hanno trasformato in varianti immaginifiche vi è anche quella cavalleresca, come si vede nelle storie Roncisvalle (MM, nn94-96, 1990, testi di Alfredo Castelli e disegni degli Esposito Bros), L’isola che giaceva in fondo al mare (Storie da Altrove, n. 8, 2005, testi di Carlo Recagno e disegni di Sergio Giardo), e Il re rosso (MM Gigante, n. 11, 2006, testi di Carlo Recagno e disegni degli Esposito Bros).

In Roncisvalle (fig. 1), Martin Mystère si reca in Italia per cercare la possibile verità storica dietro alle molte leggende locali riguardanti il paladino Orlando. Durante il viaggio Martin visita così le numerose pietre spezzate che secondo la leggenda Orlando avrebbe tagliato con la sua spada, la chiesa di Sant’Angelo a Treviso che sarebbe stata fondata dallo stesso conte per celebrare una vittoria sui Longobardi, le costruzioni megalitiche nell’Italia centrale e meridionale, che sarebbero state erette dal nipote di Carlo Magno e dai suoi paladini, e molti analoghi reperti (MM 95, pp. 85-91). Nella sezione che ricapitola queste visite lo sceneggiatore ha occasione di passare in rassegna fatti poco noti alla maggior parte dei lettori, in una digressione che è tipica della serie di MM e che, lungi da essere un riempitivo, rappresenta invece un elemento integrale della storia. Martin Mystère, pur non credendo alla verità letterale di questi echi orlandiani, ritiene che essi possano celare fatti autentici che la trasmissione popolare avrebbe distorto fantasiosamente. In tale prospettiva, i materiali presentati nelle sezioni erudite della vicenda divengono indizi funzionali alla soluzione del mistero.

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Tre storie a fumetti con protagonisti altrettanti personaggi seriali prendono diretta ispirazione dall’Inferno dantesco. Si tratta di Martin Mystère, n. 153, Diavoli dell’Inferno! (dicembre 1994; soggetto e sceneggiatura di Stefano Santarelli, disegni di Rodolfo Torti; Sergio Bonelli Editore), di Lazarus Ledd, n. 89, Discesa all’Inferno (novembre 2000; testi di Ade Capone, disegni di Fabio Bartolini e Alessandro Bocci; Edizioni Star Comics), e di Nathan Never, n. 10, Inferno (marzo 1992; soggetto e sceneggiatura di Bepi Vigna, disegni di Dante Bastianoni; Sergio Bonelli Editore).

Martin Mystère, creato da Alfredo Castelli, è il protagonista della serie omonima edita da Sergio Bonelli Editore a partire dall’aprile 1982. Soprannominato il «detective dell’impossibile», indaga su fatti inspiegabili e misteriosi: dal mito di Atlantide ai viaggi spazio-temporali, dalle leggende su sette segrete e ordini come i Templari ai contatti con razze aliene. Vive a New York ma le sue avventure lo portano in giro per il mondo, spesso anche in Italia. Suo fedelissimo assistente e guardia del corpo è Java, un uomo di Neanderthal sopravvissuto all’estinzione, mentre tra gli avversari primeggia Sergej Orloff, già suo amico e collega, poi conquistato dal Male. Il disegnatore che ne ha creato le fattezze è Giancarlo Alessandrini, autore anche di tutte le copertine della collana.

Lazarus Ledd, creato da Ade Capone, è l’eroe della serie pubblicata dalla Star Comics a partire da ottobre 1992 e conclusasi nel 2009 dopo 151 numeri e una trentina di albi speciali. Ex agente di un reparto militare, Lazarus, con nuova identità e professione, ufficialmente fa il giornalista: tuttavia, la collaborazione con una misteriosa organizzazione che lotta contro il crimine lo trascina in pericolose situazioni di stampo avventuroso-fantascientifico.

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Mauro Cicarè, Le avventure del gigante Morgante, Castiglione del Lago (PG), Edizioni Di, 2012

 

Posta a raffronto con la cospicua tradizione iconografica dell’Orlando furioso, e ancor più con il favore accordato sul piano delle illustrazioni, delle trasposizioni a fumetti e persino delle versioni cinematografiche a un romanzo cavalleresco di vivace fortuna ma di minor prestigio ‘istituzionale’ come il Guerrin Meschino di Andrea da Barberino, la ricezione visiva del Morgante di Luigi Pulci appare, nel corso del Novecento, alquanto modesta. Mentre infatti nel solo versante fumettistico l’itinerario esotico e avventuroso del Meschino ispira gli episodi di Cesare Solini e Mario Zampini per gli ‘Albi della fantasia’ delle Edizioni Alpe (1942), l’adattamento di Domenico Natoli per il «Corriere dei Piccoli» (1959), nonché rifacimenti parodici (Paperin Meschino di Martina e De Vita per Disney, 1958) ed erotici (per la serie Sexy favole, 1973), le gesta del gigante pulciano vengono riprese con una certa ampiezza soltanto da Gian Luigi Bonelli e Rino Albertarelli, in uno spin-off in tre episodi dell’Orlando da loro stessi realizzato nel 1943 per gli albi Audace (fig. 1). Le avventure del gigante Morgante, pubblicate da Mauro Cicarè nel 2012, costituiscono perciò un rilevante tentativo non soltanto di fornire una ‘traduzione’ aggiornata dell’universo narrativo di Pulci nel linguaggio dei comics, ma anche, e soprattutto, di attribuire all’eroe eponimo e alle sue imprese un’autonomia di segno in grado di renderne immediatamente percepibile la divaricazione rispetto a quella sorta di koiné visiva che, pur con fulgide eccezioni, impronta l’immaginario fumettistico dei paladini. Alla ricerca di un gioco alla pari con l’ipotesto poematico, Cicarè riscrive infatti le imprese di Morgante attraverso l’accentuazione di alcuni tratti stilistici sviluppati nel corso della sua prolifica attività di autore di fumetti, pittore, illustratore di classici antichi e moderni (fra cui i poemi omerici e il Don Chisciotte, il Furioso e la Liberata, oltre a capolavori novecenteschi come Il codice di Perelà, La coscienza di Zeno, Il pasticciaccio gaddiano, Il visconte dimezzato, Il partigiano Johnny e Horcynus Orca). In una sorta di consanguineità elettiva, le maschere surreali del suo noir a fumetti Fuori di testa! (apparso per la prima volta nel 1991 su «Il Grifo» e ristampato integralmente nel 2013) e le fisionomie malinconiche del racconto in bianco e nero Quasi (2001) traspaiono negli ideali antenati carolingi ritratti nelle Avventure, resi anch’essi partecipi di quell’umanità folle, esuberante e lunatica che Cicarè riconosce entro l’orizzonte di un poema che proprio dall’invidia incontenibile di Gano e dal furor di Orlando prende avvio. Le sembianze dei paladini e dei ‘pagani’ rivelano l’impellenza di sentimenti assoluti, l’accumulo di affetti sfumati, e tradiscono una pienezza emotiva che dilata le linee dei contorni e rende irrequieta la sovrapposizione delle figure negli spazi, tanto da far apparire le vignette  non di rado troppo anguste per contenerle interamente (fig. 2). Lontano dalla caricatura ‘pulita’ dell’eroicomico di Magnus (La compagnia della forca, o in ambito propriamente cavalleresco l’inserto ariostesco di Alan Ford n. 15, Colpo di fulmine) o dell’epos parodico ‘ricantato’ da Pino Zac (L’Orlando furioso), Cicarè riesce a trovare in tal modo un appropriato corrispettivo grafico per la peculiare dismisura poetica del poema: la specifica intonazione letteraria del Morgante viene così ricalcata attraverso l’enfatizzata sproporzione delle figure, la concitazione degli scontri (fig. 3), i dettagli di superfici scabre.

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