Alice cominciava a non poterne più di stare sulla panca

accanto alla sorella, senza far niente;

una volta o due aveva provato

a sbirciare il libro che la sorella leggeva,

ma non c'erano né figure né dialoghi,

«e a che serve un libro», aveva pensato Alice,

«senza figure e senza dialoghi?»

L. Carroll, Le avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie[1]

Quante Alici ci sono in giro? L’ultima in ordine di apparizione è quella reinventata da Yayoi Kusama (Orecchio Acerbo 2013), stravagante, psichedelica, coloratissima.

La Kusama, moderna Alice di ottantaquattro anni, è artista di riferimento in Giappone e vive un ‘equilibrio’ creativo che oscilla sempre tra ordine e disordine grafico, tra astrazione e figurazione. «Il mio lavoro artistico è espressione della mia vita, in particolare della mia malattia mentale», ha ripetuto spesso l’artista, e il suo mondo folle, in quest’ultimo lavoro, sembra procedere adattando il racconto di Carroll alle ragioni della sua arte. Le pagine così si caricano di palle e palline colorate, texture, figure che ci trascinano dentro deliri cromatici. Invano si ricercherebbe nelle pagine di questa Alice una logica: le tavole si muovono libere, galleggiano in un mare di parole, alludono senza mai precisare, definire, chiarire. Appaiono e scompaiono, concrete e trasparenti come il sorriso del gatto del Cheshire. Per la Kusama conta più il viaggio di chi lo fa. L’immagine di Alice compare giusto un paio di volte: quando, dopo essersi rimpicciolita, diventa altissima (Kusama la rappresenta soltanto in dettaglio, mostrandoci la testa con il lungo collo) e nell’ultima illustrazione, in un abitino rosso a pois bianchi, affacciata alla finestra di quella grande zucca gialla a pallini neri diventata un simbolo della sua produzione artistica, ispirata all’infanzia trascorsa in campagna. Le illustrazioni rifuggono le immagini più scontate, come se l’artista volesse lasciare al lettore un ulteriore margine di fantasia all’interno del quale scegliere, per i personaggi, le sembianze più adatte. Il Coniglio Bianco sfugge alla visione reticolata e puntinata dell’artista; del gatto del Cheshire rimane un sorriso ‘umano’; del Cappellaio Matto sopravvive soltanto il cappello, mentre non ci sono tracce dei suoi commensali. Abbondano invece fiori, farfalle, fette di anguria, grappoli d’uva, e funghi (allucinogeni?); la natura morta prende vita, i fiori sembrano pericolosi carnivori con petali e foglie circondate di spine, le figure umane si ritirano tra le pagine, confinate fra le righe di Carroll.

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