3.1. Il ghigno del Presidente

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«Un generico che in più di vent'anni di lavoro non ha mai detto una battuta»: così Pasolini giustifica, in un’intervista, la scelta di Aldo Valletti per impersonare in Salò il Presidente: uno dei quattro terribili Signori, il più difficile da identificare, il più sfuggente, l’ambiguità fatta persona. Seminarista pentito, professore privato di latino, comparsa di Cinecittà, Valletti (almeno stando alle poche notizie su di lui) compie una veloce carriera di cui Salò rappresenta in un certo senso la punta più alta. Timido, discreto, imbranato: gli aggettivi che lo qualificano sono sempre gli stessi. Quasi impossibile utilizzarne dei sostitutivi per l’operazione condotta da Pasolini. Durcet, secondo l’onomastica sadiana, ovvero il Presidente, nel film, diventa una maschera grottesca e impenetrabile. In questa inquadratura, dove risalta il volto deformato in un ghigno, l’occhio strabico, la bocca sdentata, il Presidente è inchinato, mentre si sta svolgendo un pranzo, e mostra il sedere ai ragazzi che recitano come militari collaborazionisti.

Umberto, Franco, guardate un po’, che ve ne pare? Eh, che ve ne pare? Ragazzi guardate, ragazzi, eh? Rinaldo, ti prego osserva, osserva bene.

La battuta, comica e anche assurda, identifica il rapporto tra Durcet e il sedere, ovvero il deretano, come recita spesso la sceneggiatura. Il sedere è, secondo lo spirito del testo di Sade, l’oggetto privilegiato dell’immaginario libertino. Identificato come parte del corpo che si connette a un atto sessuale contro-natura, per definizione sterile, infecondo, il sedere viene per questo idoleggiato dai pensatori che cercano di realizzare un’operazione intellettuale ai danni della Natura: fare del piacere un obiettivo assoluto, sciolto da qualsiasi finalità, puro nella sua autonomia. Il Presidente è il primo signore che si sottopone a un atto sodomitico: dopo aver esibito la ‘bellezza’ del suo sedere, chiede esplicitamente a Efisio di essere sodomizzato. E, più avanti, nella scena del concorso sul deretano più bello, Durcet confesserà esplicitamente che il suo giudizio è di parte, in quanto emesso da chi nutre una spiccata preferenza per gli uomini.

Durcet, il Presidente, è dunque la caricatura di quella tipologia di omosessuale che viene chiamata “checca”: un uomo non giovane, di natura timido, effeminato, dalle mosse ambigue, codardo. Il gesto di esibire il sedere per ottenerne apprezzamento, con parole patetiche, è il gesto di una “checca” invecchiata (all’inizio del film lo vediamo ostentare un cappotto con un sovrabbondante bavero di pelliccia, come potevano portare i gagà di provincia o i potenti arricchiti).

Ma il Presidente Durcet, che parla con la voce di Marco Bellocchio, è colui che pronuncia alcune fra le battute più incredibili, fuori contesto e vuote di tutto il film. Durcet non ragiona, non filosofeggia, non esibisce tratti di potere. Durcet fa battute: Pasolini concede a Valletti, dopo vent’anni di lavoro sommerso, di farsi riconoscere attraverso le tanto desiderate battute. Battute comiche? Propriamente le potremmo catalogare come “freddure”, cioè giochi di parole stupidi, ai quali ride solo il diretto interessato, e gli astanti per contagio surreale:

Durcet: Se i ragazzi erano 9, adesso sono 8. A proposito di 8, sapete la differenza che passa tra l’ora, il dottore e la famiglia?
Blangis: No, naturalmente. Ce lo dica, siamo ansiosi.
Durcet: L’ora è di un’ora, il dottore è d’ott’ore.
Vescovo: E la famiglia?...
Durcet: Sta bene, grazie.

Incapace di dire, incapace di comunicare, Durcet pronuncia battute nei momenti che interrompono improvvisamente la tensione della scena, la fanno crollare, scaricano nel gioco di parole l’atmosfera drammatica che domina nel film. Nel mezzo della scena delle torture, chiamando un altro collaborazionista, Umberto, gli fa vedere le torture che si svolgono nel cortile, e poi lo sottopone alla ignobile freddura: «Lo sai quello che fa un bolscevico quando si tuffa nel mar Rosso? Ah, non sai quello che fa un bolscevico quando si tuffa nel mar Rosso? Fa, “pluff”».

Enunciatore di non-sense, ossessivamente legato al deretano (suo, e degli altri), il Presidente rappresenta un vero vuoto nel sistema ferreo del film: in lui non c’è niente di umano, ma neanche niente di terribile. La sua è realmente ‘la banalità del male’ (ma Pasolini aveva letto, in Norman Brown, La vita contro la morte, che il Diavolo ha caratteristiche legate all’analità, e che esiste un carattere anale che si manifesta nell’ossessione per ordine, parsimonia, ostinazione). Il valore rigenerante della parola comica, il valore delle parti basse del corpo nelle antiche culture, tutto quello che deriva da mondi popolari e che Bachtin ha letto come ‘carnevalesco’, nel Presidente si concentra e si annulla. La sua maschera segnata dal taglio della bocca e degli occhi riproduce una Baubò al maschile: la figura comica che Pasolini conosce bene, avendone letto nel libro di Alfonso di Nola, Antropologia religiosa, dove si parla del gesto comico che fece ridere Cerere disperata per la perdita della figlia Proserpina. Divinità popolare e agricola, Baubò rappresenta il comico che si manifesta col gesto di tirarsi giù i pantaloni, mostrando i genitali. Il gesto che – secondo Pasolini – compiono autori capaci di deridere la società, come l’Arbasino di Specchio delle mie brame. Il Presidente è una Baubò impotente, una creatura che gira a vuoto su se stessa, un burattino patetico e stupido. Un omosessuale represso, che riscatta anni di umiliazione nel momento in cui, protetto nella Villa del Potere, sa di potersi finalmente permettere tutto: ostentare il sedere raggrinzito, corteggiare i ragazzi, pretendere la soddisfazione di desideri mai appagati. E pronunciare battute improbabili: il comico, che sfugge dal suo linguaggio, si rispecchia nel suo sterile culto sodomitico. L’isterismo espressivo nasce dalla femminilità a lungo trattenuta e ora liberata. O meglio: a un elemento virile ormai spento, opaco, si accompagna una femminilità avvizzita. Altri Signori, nel film, si esibiscono in abiti femminili, secondo la perversione di ruoli che essi esigono dalle vittime ma anche mettono in pratica senza nessun ritegno. Ma il Presidente sembra appartenere alla famiglia di quei grigi omosessuali che, in un sussulto di follia, decidono di uccidersi indossando abiti femminili, come se solo la morte potesse concedere loro un ultimo, disperato riscatto. La sessualità, in Salò, è l’oggetto dell’attenzione del nuovo Potere. L’omosessualità sembra condannata nella personificazione del grottesco Presidente. Non c’è più forza eversiva, non c’è contestazione, non ci sono movimenti di liberazione. Valletti è la morte dell’omosessualità, colta nel momento in cui il maschile diventa macchietta femminilizzata, il linguaggio si esaurisce nell’ecolalia. Valletti è il cognome che Pasolini sceglie per l’ingegnere protagonista di Petrolio, il cui nome invece – Carlo – viene direttamente da quello del padre, Carlo Alberto.

 

Bibliografia

A. Arbasino, Specchio delle mie brame, Torino, Einaudi, 1974.

N. Brown, La vita contro la morte: il significato psicanalitico della storia, tr. it. di S. Besana Giacomini, Milano, Il Saggiatore, 1958.

A.M. Di Nola, Antropologia religiosa: introduzione al problema e campioni di ricerca, Firenze, Vallecchi, 1974.