Introduzione a Barbablù. Il mito al crocevia delle arti e delle letterature

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Il rapporto che la cultura letteraria e artistica occidentale intrattiene con Barbablù sta sotto il segno dell’ambivalenza: da una parte ne è attratta, dall’altra corre spesso ai ripari di questa attrazione, quasi a ricalcare nel complesso la dinamica narrativa su cui si innesta la vicenda dell’uxoricida fiabesco e della sua ultima moglie. Dimensione intrinseca alla storia, l’ambivalenza ne accompagna, d’altronde, la fortuna fin dal momento in cui Charles Perrault la codifica narrativamente e, con la pubblicazione delle Histoires du temps passé, avec des moralitez (1697), dà avvio al processo della sua sedimentazione nella memoria culturale europea.

 Incipit di La Barbe bleüe di Charles Perrault. Edizione originale di Histoires du temps passé, avec des moralitez, chez C. Barbin (à Paris), 1697 (gallica.bnf.fr / BNF)

Anche grazie al lavoro di artisti che illustrano numerose riedizioni del testo in Francia e in altri paesi, i personaggi e i momenti salienti del racconto si imprimono progressivamente nell’immaginario collettivo occidentale, che non smette di rielaborarli, conferendo loro, col passare del tempo, un’aura vieppiù esotica o estetizzante, significativamente assente nel testo e nelle sue primissime illustrazioni.

 Charles Perrault, Old Times Stories, illustrato da W. Heath Robinson, New York, Dodd, Mead & Company, 1921 (Wikimedia Commons) Charles Robinson, Fairy Tales (Barbe-bleue), 1913 (Wikimedia Commons) Arthur Quiller-Couch, The Sleeping Beauty and Other Fairy Tales From the Old French, illustrato da Edmund Dulac, 1910 (Wikimedia Commons) The Fairy Tales of Charles Perrault, illustrato da Harry Clarke, London, Harrap, 1922 (Wikisource) The Fairy Tales of Charles Perrault, illustrato da Harry Clarke, London, Harrap, 1922 (Wikisource)

Vero è, comunque, che tra avvicinamento e distanziamento si muove già Perrault, in un gioco sottilmente ironico che non permette a nessuno dei due poli di prevalere. Conviene seguire a somme linee la sua operazione.

Innanzitutto, in sintesi, il racconto: un uomo estremamente ricco chiede a una gentildonna sua vicina di dargli in moglie una delle sue due figlie, ma entrambe le ragazze sono riluttanti a causa della barba blu del pretendente (motivo per cui tutte le donne lo trovano spaventoso e rifuggono alla sua vista) e per il fatto che nessuno sa che fine abbiano fatto le sue mogli precedenti; invitate dall’uomo a passare alcuni giorni nella sua casa di campagna, passano insieme a lui, alla madre, a quattro amiche e ad alcuni giovani, otto giorni di piaceri, tanto che, alla fine, la figlia minore si convince che la sua barba non sia così blu e che egli sia un gentiluomo; accetta quindi di sposarlo e va a vivere nella sua dimora cittadina; dopo un mese, il marito le comunica di doversi assentare per un certo periodo e le consegna la chiave di tutti i suoi appartamenti, come anche delle stanze, dei forzieri e delle casse contenenti oro, argento e pietre preziose, affinché ne possa godere invitando anche amiche; con fare estremamente minaccioso, le vieta però di entrare in un unico stanzino collocato al pianterreno, di cui le consegna comunque la chiave; la donna non fa passare tempo in mezzo e alla partenza dell’uomo, mentre le amiche godono alla vista di tutte le ricchezze nelle altre stanze ai piani superiori, lei si precipita giù per le scale e, tremante all’idea delle possibili conseguenze della sua disobbedienza, apre la porta dello stanzino; appesi alle pereti e riflessi nel sangue scopre i corpi sgozzati delle precedenti mogli; in preda al terrore, fa cadere la chiave nel sangue e i tentativi successivi di ripulirla sono inutili: il sangue ricompare costantemente; al suo rientro, il marito le chiede di riconsegnargli tutte le chiavi e, vedendo la macchia su quella dello stanzino, comprende che la moglie ha infranto il divieto decretando così la propria morte; si accinge quindi ad ammazzarla, ma le concede sette minuti di tempo per la preghiera con cui la donna chiede di poter prendere commiato dalla vita; in realtà, sfrutta quei minuti per implorare la sorella Anne di salire sulla torre per vedere se i fratelli (mai citati prima) stiano arrivando per fare loro la visita promessa e per pregarli di affrettarsi; i fratelli (un dragone e un moschettiere), in effetti, arrivano, e, trafiggendolo con la spada, uccidono Barbablù che, con il coltello in mano, sta ormai per tagliare la gola alla moglie; ereditate tutte le ricchezze del marito, la donna le usa per maritare la sorella e per acquistare ai fratelli il grado di capitano; infine, si risposa con un gentiluomo che le farà dimenticare i brutti momenti passati con il primo marito.

 Nell’Ottocento e all’inizio del Novecento un importante veicolo di diffusione della storia in vari paesi furono i fogli illustrati (Wikimedia Commons)

Com’è noto, ogni conte della raccolta è seguito da una morale; al di là del messaggio che veicola, in quanto commento essa rappresenta un espediente di oggettivazione e di osservazione della storia nella cui lettura il fruitore del testo si è immerso fino a quel momento. La Barbe bleuë fa parte di quei contes che ne hanno addirittura due, una «moralité» e una «autre moralité», con un effetto che va dal raddoppiamento della distanza al suo stesso straniamento.

 Le due morali in La Barbe bleüe di Perrault, ed. or. 1697 (gallica.bnf.fr / BNF)

Senza poter ripercorrere qui tutte le implicazioni di questo gioco, interessante in riferimento all’ambivalenza di cui sopra è notare come l’«altra morale», in contraddizione con tutti gli elementi di realtà e di contemporaneità presenti nel racconto – e assenti in varianti pure importanti per la diffusione del mito come, per esempio, il Blaubart (1812) dei fratelli Grimm, ambientato in un remoto nessun dove e nessun quando –, releghi la storia di Barbablù a un tempo che fu, così lontano da far apparire l’«Épouse si terrible» se non come qualcosa di esotico, almeno, si sarebbe tentati di dire, come una curiosità, se non addirittura – e su questo insisteranno alcune riscritture comiche – come uno sciocco che ha chiesto «l’impossible»; la sua storia, insomma, può servire al massimo da specchio rovesciato dell’oggi. Eppure, anche l’affermazione sull’oggi è piena di ironia. La «morale» che precede è, invece, un avvertimento contro la curiosità che il racconto, in fin dei conti, forse non premia, ma di certo non stigmatizza, almeno in riferimento alla moglie che, alla fine, si salva, si impossessa di ricchezze inestimabili e dimentica: a morire tocca a Barbablù. In questo senso, vale la pena ricordare che, per sciogliere l’ambivalenza e restituire alla morale coerenza col racconto, è stata talvolta avanzata l’ipotesi che essa sia piuttosto da riferirsi alla curiosità dell’uomo e non mancano neppure riscritture comiche che insistono su un Barbablù a sua volta curioso di conoscere il grado di curiosità della moglie – il testo, va ricordato, recita «[…] n’endéplaise au sexe», che, in collegamento con la curiosità, una consuetudine antica fa intendere come rivolto al genere femminile.

 La ballerina Olba Leonova nel costume dello Spirito della Curiosità nel balletto Barbe-bleue del coreografo Marius Petipa e del compositore Pyotr Schenk, 1896 (Wikimedia Commons)

Le riscritture del racconto proseguono mutatis mutandis sulla scia di questa ambivalenza. Forse per influsso della matrice ‘fiabesca’ del personaggio, esse presentano, in genere, Barbablù depotenziati: o perché ridicolizzati, come accade in molte riscritture di fine Settecento e ottocentesche che fanno di lui un personaggio da commedia per eccellenza; o perché non sono dei ‘veri e propri’ Barbablù. Ben al di là delle questioni di genere, più ‘facile’ sembra essere l’identificazione con la moglie, ed è solitamente per questa via che l’‘Altro’ torna a essere (o a essere visto) come Barbablù.

 Immagine precedente il frontespizio di The Story of Bluebeard and Other Stories, con illustrazioni di J. Watson Davis, A. L. Burt Company, Publishers, New York, 1905

Ma ciò è vero soprattutto nel Novecento, dove tutto comunque si ‘complica’, sia per gli effetti della scoperta della psicologia del profondo, sia per le battaglie di emancipazione femminile che portano a ripensare i ruoli anche in letteratura e nelle arti, sia per la crisi della mascolinità, sia, infine, per le remore che l’eticamente corretto ha, di fatto, imposto al gioco libero e fantastico con le figure del male. D’altro canto, è proprio nel Novecento e nel XXI secolo che arti e letteratura ricorrono a Barbablù in riferimento alla storia e alla violenza che la regola, e l’ambivalenza si carica non di rado di forte drammaticità.

Quasi a smentire il contenuto (comunque ironico) delle morali, Barbablù ha stimolato nel corso dei secoli curiosità, desiderio di conoscenza e riscritture che vi riconoscono pertinenza con l’attualità. Nella sua essenzialità – concentrazione sulla vicenda, assenza di psicologia, ellissi narrative ecc. – e nel suo schema archetipico – divieto, infrazione, colpa, punizione, morte, vita, salvezza ecc. – il racconto ha aperto e apre ancora oggi orizzonti di significazione, stimolando la fantasia mitopoietica e lasciandole la libertà (e la responsabilità) dei significati. Grazie a questa libertà, a fronte di una storia ben codificata, le riscritture variano e la rinnovano in modo sempre diverso. Così Barbablù si è affermato nella cultura occidentale con la forza del mito, che, a periodi alterni e con modalità diverse, viene ripensato, attualizzato, mediato o, per usare un concetto brechtiano, corretto. Di Barbablù si sono impossessati l’arte, la letteratura folclorica, la letteratura per l’infanzia, la letteratura popolare e quella ‘alta’ (d’autore), l’editoria culturale, il teatro, la danza, il cinema, la televisione, la cronaca e, veicolo principe di circolazione del mito, la musica: basti pensare a nomi come Grétry (con Sedaine), Offenbach (con Meilhac e Halévy), Dukas (con Maeterlinck), Bartók (con Balázs) per capire come la musica, in un intreccio di mediazione e rimediazione, ha rielaborato la materia letteraria e stimolato a sua volta riscritture non solo nell’ambito congeniale della danza ma anche in quello letterario e teatrale, nelle arti visive e mediali.

 Olga Haselbeck e Oszkár Kálmán nella prima rappresentazione dell’opera di Bartók Il castello di Barbablù, 1918 (Wikimedia Commons)

Di questo intreccio e delle diverse modalità con cui nel tempo e nei diversi paesi europei si è ripensato e rielaborato il mito nelle arti e nelle letterature rendono conto, in estrema sintesi, i contributi di questa galleria. In Italia il merito di aver richiamato l’attenzione su Barbablù spetta a Ernesto Ferrero che nel suo importante Barbablù. Gilles de Rais e il tramonto del Medioevo (uscito nel 1998 presso Piemme, cui nel 2004 è seguita l’edizione presso Einaudi) ha ricostruito la vicenda del personaggio storico ipotizzato da molti come all’‘origine’ del Barbablù fiabesco. Solo del 2015 è, invece, lo studio monografico dell’esperta di letteratura per l’infanzia Angela Articoni (La sua barba non è poi così blu… Immaginario collettivo e violenza misogina nella fiaba di Perrault, Arriccia, Aracne, 2015), che, prendendo in riferimento la letteratura, la musica e il cinema, offre una panoramica tramite esempi significativi. Numerosi sono, invece, gli studi esteri dedicati all’argomento, anche se nessuno offre un quadro realizzato da specialisti delle diverse letterature nazionali e delle diverse arti che abbracci l’Europa dal Portogallo alla Russia, guardando anche all’America anglofona e a quella lusofona. Alcuni percorsi qui proposti sono completamente inediti, e presentano materiali dimenticati e/o piste d’indagine finora poco o per nulla battute. Per rendere conto della pervasività del mito e della varietà delle sue riscritture al crocevia delle arti e delle letterature si è scelto di non assumere un tema forte, una focalizzazione specifica. Allo stesso modo si è deciso di organizzare le sezioni né per area linguistica né per periodi, bensì intorno a dei raggruppamenti che emergono dall’interno dei materiali e delle prospettive di analisi.

La sezione Format narrativo e iconografico ruota intorno al testo di Perrault (che Florence Fix aiuta a leggere in ottica storica in riferimento ai numerosi elementi di realtà sociale contemporanea all’autore) e alle sue illustrazioni tra XVII e XIX secolo (presentate e analizzate da Cristiano Giometti anche in riferimento ai modelli figurativi sui quali si basano verosimilmente i primi illustratori). Da qui si dipartono diversi filoni di indagine.

La sezione Adattamenti e variazioni offre un primo spaccato delle trasformazioni e ricollocazioni culturali del racconto. Avvalendosi delle note funzioni di Vladimir Ja. Propp, Francesca Romoli studia un caso di trasformazione del racconto e assimilazione alla tradizione folclorica russa, Valeria Tocco la circolazione in ambito lusofono, dove la ricezione popolare può diventare lo spunto di rare riprese letterarie; entrambi i contributi attestano, inoltre, la circolazione delle varianti grimmiane (Blaubart nel primo caso, Blaubart e Fitchers Vogel nel secondo) e il loro fondamentale apporto alla mediazione del mito. Barbara Sommovigo rende brevemente conto di una ricerca bibliografica che ricostruisce la fortuna di Barbablù nel mercato librario francese ed estero, e con tre casi di riscrittura dell’ultimo decennio presenta dislocazioni e rimaneggiamenti di ambito francofono, tra letteratura d’autore e performance teatrale.

Un secondo filone riguarda la circolazione scenica del mito, che nell’Ottocento è prevalente e coinvolge più forme artistiche. A questo intreccio è dedicata la sezione Barbablù sulla scena: opera, dramma, balletto, che fa emergere il rilievo della mediazione della musica e in particolare dell’opera: questo avviene nella Russia dell’Ottocento, a partire dalla fortuna dell’opera Raoul Barbe-bleue (1789) di Gretry fino a quella di Barbe-bleue (1866) di Offenbach (come mostra Alessandro Cifariello, che ripercorre la ricodificazione della tradizione russa di Barbablù nel balletto), ma anche nella Spagna di fine Ottocento, dove il mito è filtrato in senso comico da traduzioni e adattamenti dell’opera di Offenbach (ricostruiti da Daniela Pierucci grazie a uno spoglio di periodici del tempo che contribuirono fortemente alla risonanza socio-culturale di Barbablù). Nella Germania di inizio Novecento, invece, emergono aspetti psicopatologici innestati sulla critica sociale che guardano in direzione del tragico (Michele Flaim si interroga sulle ragioni di uno scandalo teatrale legato a una riscrittura di Barbablù che sarà provvisoriamente riabilitata solo grazie a un adattamento operistico), preconizzando le diverse letture del mito che caratterizzano il XX secolo rispetto al secolo precedente.

La sezione Il caso Landru-Barbablù tra cronaca, poliziesco e cinema ha individuato un doppio livello in relazione alla lettura filtrata della cronaca giudiziaria; a questa reagisce in Italia un autore che si cimenta nel genere del romanzo poliziesco (Virgilio Bondois, presentato da Marina Riccucci, che ricostruisce anche il caso di cronaca francese), in Francia un regista cinematografico come Claude Chabrol, che tematizza la relazione tra vicenda giudiziaria e prima guerra mondiale attraverso una dialettica tra documentazione e costruzione autoriflessiva usando l’inquadratura come elemento di frammentazione del corpo delle donne (a questi aspetti è dedicato il contributo di Chiara Tognolotti).

La sezione Sguardi, occultamenti, sessualità intercetta due temi talvolta correlati nelle riscritture – il vedere (o non vedere) e la sessualità –, che amplificano la dimensione visiva già presente in Perrault e sostanziano la sessualità allusa nella seconda morale. In riferimento al contenuto della stanza proibita nei picture books dalle origini ai nostri giorni, Laura Tosi declina il tema dello sguardo in senso autoriale (mostrare e non mostrare, dire e non dire). Se la sessualità costituiva già il cuore dell’interpretazione di Bruno Bettelheim, il superamento della «visée morale» che la condizionava è proposto da Éric Le Toullec: al centro della sua lettura psicoanalitica il rinnovamento dello sguardo e il processo di emancipazione del principio femminile. Fausto Ciompi propone un’analisi delle implicazioni del tema dello sguardo alla base delle riletture del mito di Barbablù in capitoli rilevanti della poesia anglofona. Alessandro Cecchi mostra come questo complesso intreccio si rifletta in un film opera di Michael Powell, che tematizza lo sguardo accentuando il simbolismo erotico dell’azione scenica di Herzog Blaubarts Burg di Bartók.

Questa sessione si connette alla successiva, intitolata Wuppertal 1977-2019: Blaubart di Pina Bausch dal debutto a oggi, che offre la testimonianza artistica di una coppia di collaboratori storici della compagnia di Pina Bausch: i danzatori Jan Minarik (primo interprete di Blaubart) e Beatrice Libonati, interprete della protagonista Judith poco dopo la prima rappresentazione. La performance fa uso di una registrazione dell’opera di Bartók e Balázs (quella incisa per Deutsche Grammophon nel 1959 da Dietrich Fischer-Dieskau e Hertha Töpper, sotto la direzione di Ferenc Fricsay, come segnalato da Beatrice Libonati) del quale prevede una riproduzione frammentaria, dato che il nastro magnetico viene spesso interrotto e riavvolto da Blaubart. L’intervista è introdotta da una presentazione di Elena Randi sul metodo di lavoro di Pina Bausch e sullo snodo rappresentato da Blaubart nella storia delle sue performance.

La sezione finale, Zone d’ombra, disobbedienza, verità, entra da un lato nel laboratorio teatrale tramite l’autopresentazione di Lisa Guez di una riscrittura recente del mito nella quale si interroga il non detto del racconto, e Barbablù viene come interiorizzato da figure di donna eterogenee, che coniugano introspezione psicologica e dinamiche sociali di genere; dall’altro affronta il rapporto tra verità, trasgressione e possibile redenzione (variamente presenti nel racconto di Perrault) alla base delle profonde appropriazioni e riscritture del Novecento intercettando figure di Barbablù nella letteratura degli ultimi decenni. Le analisi spaziano dalle dinamiche di genere poste in relazione alle vicende della seconda guerra mondiale nel quadro di un’ampia autoriflessione artistica (Alessandro Fambrini sul romanzo Bluebeard di Kurt Vonnegut), all’analisi del rapporto tra sensi di colpa, verità scomode, senso etico della disobbedienza e del ricorso all’aiuto degli altri (Héliane Ventura sul racconto The Love of a Good Woman di Alice Munro), a un percorso su sabotaggio, ricerca e paura della verità a partire dal mitologema dell’apertura della porta di Barbablù con la conseguenza della macchia indelebile di sangue sulla chiave (Serena Grazzini su Tieck, Dea Loher, Max Frisch e Uwe Timm).

 

Testi

di Alessandro Cecchi, Alessandro Cifariello, Fausto Ciompi, Alessandro Fambrini, Florence Fix, Michele Flaim, Cristiano Giometti, Serena Grazzini, Lisa Guez, Eric Le Toullec, Daniela Pierucci, Elena Randi, Marina Riccucci, Francesca Romoli, Barbara Sommovigo, Valeria Tocco, Chiara Tognolotti, Laura Tosi, Héliane Ventura.

Con un’intervista

di Elena Randi a Beatrice Libonati e Jan Minarik (traduzione dal tedesco, trascrizione e cura di Serena Grazzini).

 

Ringraziamenti

Anche a nome di Fausto Ciompi, Daniela Pierucci, Francesca Romoli, Barbara Sommovigo e Valeria Tocco (Dipartimento di Filologia, Letteratura e Linguistica dell’Università di Pisa), i curatori della galleria desiderano ringraziare Marina Riccucci che, nel rendere partecipe Serena Grazzini dell’idea di un momento di studio da dedicare alla traduzione italiana di Blaubart di Max Frisch, uscita nel 1984 presso Einaudi, ha dato lo spunto fondamentale al lavoro di ricerca sul mito di Barbablù. Da quello stimolo iniziale è nato il desiderio condiviso di ampliare lo sguardo alle diverse letterature nazionali europee oltre che alla musica. Dopo un seminario di approfondimento, il gruppo di lavoro citato ha sentito l’esigenza di coinvolgere altri esperti al fine di allargare ulteriormente l’orizzonte ad altri linguaggi, fenomeni e autori. Si ringraziano dunque Alessandro Cifariello (Viterbo), Alessandro Fambrini (Pisa), Florence Fix (Rouen), Michele Flaim (Trento), Cristiano Giometti (Firenze), Eric Le Toullec (Toulouse), Chiara Tognolotti (Pisa), Laura Tosi (Venezia), Héliane Ventura (Toulouse) per aver accettato di condividere il percorso di ricerca e per il loro contributo a questa galleria. Un ringraziamento particolare va a Beatrice Libonati e a Jan Minarik per la loro preziosa testimonianza sul lavoro al Blaubart di Pina Bausch, e a Elena Randi (Padova) per aver stabilito il contatto e per la sua introduzione alla sezione dedicata. Si ringraziano, infine, il Dipartimento di Filologia, Letteratura e Linguistica e l’Ateneo pisano per il finanziamento di momenti di incontro e di confronto sulla ricerca, e la Direzione della rivista Arabeschi per aver voluto dedicare alla presentazione di alcuni risultati della ricerca lo spazio di questa galleria.

 The Fairy Tales of Charles Perrault, illustrato da Harry Clarke, London, Harrap, 1922 (Wikimedia Commons)

 

 Immagine del frontespizio di The Story of Bluebeard and Other Stories, con illustrazioni di J. Watson Davis, A. L. Burt Company, Publishers, New York, 1905