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Il rapporto che la cultura letteraria e artistica occidentale intrattiene con Barbablù sta sotto il segno dell’ambivalenza: da una parte ne è attratta, dall’altra corre spesso ai ripari di questa attrazione, quasi a ricalcare nel complesso la dinamica narrativa su cui si innesta la vicenda dell’uxoricida fiabesco e della sua ultima moglie. Dimensione intrinseca alla storia, l’ambivalenza ne accompagna, d’altronde, la fortuna fin dal momento in cui Charles Perrault la codifica narrativamente e, con la pubblicazione delle Histoires du temps passé, avec des moralitez (1697), dà avvio al processo della sua sedimentazione nella memoria culturale europea.

Anche grazie al lavoro di artisti che illustrano numerose riedizioni del testo in Francia e in altri paesi, i personaggi e i momenti salienti del racconto si imprimono progressivamente nell’immaginario collettivo occidentale, che non smette di rielaborarli, conferendo loro, col passare del tempo, un’aura vieppiù esotica o estetizzante, significativamente assente nel testo e nelle sue primissime illustrazioni.

Vero è, comunque, che tra avvicinamento e distanziamento si muove già Perrault, in un gioco sottilmente ironico che non permette a nessuno dei due poli di prevalere. Conviene seguire a somme linee la sua operazione.

Innanzitutto, in sintesi, il racconto: un uomo estremamente ricco chiede a una gentildonna sua vicina di dargli in moglie una delle sue due figlie, ma entrambe le ragazze sono riluttanti a causa della barba blu del pretendente (motivo per cui tutte le donne lo trovano spaventoso e rifuggono alla sua vista) e per il fatto che nessuno sa che fine abbiano fatto le sue mogli precedenti; invitate dall’uomo a passare alcuni giorni nella sua casa di campagna, passano insieme a lui, alla madre, a quattro amiche e ad alcuni giovani, otto giorni di piaceri, tanto che, alla fine, la figlia minore si convince che la sua barba non sia così blu e che egli sia un gentiluomo; accetta quindi di sposarlo e va a vivere nella sua dimora cittadina; dopo un mese, il marito le comunica di doversi assentare per un certo periodo e le consegna la chiave di tutti i suoi appartamenti, come anche delle stanze, dei forzieri e delle casse contenenti oro, argento e pietre preziose, affinché ne possa godere invitando anche amiche; con fare estremamente minaccioso, le vieta però di entrare in un unico stanzino collocato al pianterreno, di cui le consegna comunque la chiave; la donna non fa passare tempo in mezzo e alla partenza dell’uomo, mentre le amiche godono alla vista di tutte le ricchezze nelle altre stanze ai piani superiori, lei si precipita giù per le scale e, tremante all’idea delle possibili conseguenze della sua disobbedienza, apre la porta dello stanzino; appesi alle pereti e riflessi nel sangue scopre i corpi sgozzati delle precedenti mogli; in preda al terrore, fa cadere la chiave nel sangue e i tentativi successivi di ripulirla sono inutili: il sangue ricompare costantemente; al suo rientro, il marito le chiede di riconsegnargli tutte le chiavi e, vedendo la macchia su quella dello stanzino, comprende che la moglie ha infranto il divieto decretando così la propria morte; si accinge quindi ad ammazzarla, ma le concede sette minuti di tempo per la preghiera con cui la donna chiede di poter prendere commiato dalla vita; in realtà, sfrutta quei minuti per implorare la sorella Anne di salire sulla torre per vedere se i fratelli (mai citati prima) stiano arrivando per fare loro la visita promessa e per pregarli di affrettarsi; i fratelli (un dragone e un moschettiere), in effetti, arrivano, e, trafiggendolo con la spada, uccidono Barbablù che, con il coltello in mano, sta ormai per tagliare la gola alla moglie; ereditate tutte le ricchezze del marito, la donna le usa per maritare la sorella e per acquistare ai fratelli il grado di capitano; infine, si risposa con un gentiluomo che le farà dimenticare i brutti momenti passati con il primo marito.

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Benché le varianti folcloriche della fiaba di Barbablù siano sostanzialmente riconducibili a tre sole tipologie – AT 312 «Bluebeard», a cui appartiene la versione di Perrault, AT 311 «The Heroine Saves Herself and Her Sisters», in cui si classifica Fitchers Vogel dei Grimm, e AT 955 «The Robber Bridegroom» (Aarne [1928] 1981) –, il protagonista presenta tratti molto eterogenei quanto a identità sociale, nazionalità e carattere: egli è prevalentemente marchese, barone, sultano; generalmente francese, inglese, Moro, turco, italiano. Sempre molto, molto ricco. Oltre che assassino è orco, gigante, vampiro, cannibale e, in Naso d’Argento (Calvino 1968), perfino diavolo. In ogni caso è «inevitably presented as Other, belonging to a different class, land, or world altogether» (Bacchilega 1997, p. 139).

L’attribuzione di responsabilità legata alla carneficina non viene registrata da Barbablù. Il sangue, mentre sporca la chiave, sposta la colpa dal pluriomicida alla moglie che ha aperto la porta: uno degli aspetti inquietanti della fiaba è proprio il trasferimento spregiudicato della colpa dall’assassino alla potenziale vittima, trasferimento assecondato dalla celebre interpretazione di Bettelheim ([1977] 1981) della disobbedienza come metafora dell’infedeltà coniugale, dove la curiosità è il sommo peccato femminile.

Al centro della fiaba – e del saggio – la stanza proibita e l’atto trasgressivo della sua apertura. Come in un gioco di specchi (non marginali nella vicenda), la fiaba sovrascrive la trasgressione ai crimini efferati di Barbablù. Motore di ogni fiaba, la trasgressione, unita a proibizione e punizione, è presente anche nel mito (dal vaso di Pandora ad Amore e Psiche). Non a caso, nella versione illustrata da Crane (1899, p. 2), sullo sfondo del riquadro dedicato alla moglie compare un arazzo raffigurante Eva che ha colto il frutto dell’albero della conoscenza, sul quale è avvolto il serpente-diavolo: la caduta di Eva è palinsesto per la moglie che, con la chiave in mano, scende le scale verso gli inferi della conoscenza. A tal proposito Barzilai (2009, p. 17) avanza un’ipotesi teologica: Barbablù si è appropriato delle prerogative divine della proibizione biblica ed è ucciso per la sua imitatio dei, non per i suoi crimini.

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