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  • [Smarginature] «Ho ucciso l'angelo del focolare». Lo spazio domestico e la libertà ritrovata →
Abstract: ITA | ENG

Quando una regina del grande schermo (una diva) è chiamata a interpretare un’altra regina (realmente esistita sul palcoscenico della storia), si crea un amalgama fotogenico di corpi e fantasmi che rende la personaggia di fatto illeggibile. Prendendo in esame alcuni casi particolarmente significativi, sia riferibili al cinema classico sia alla contemporaneità, si vuole riflettere sul modo in cui l’ingombro di questi corpi regali si inscrive nella planimetria degli spazi che gli sono propri, individuando le possibili stanze della libertà – una libertà che, in fondo, si esprime anche nel nascondimento, nella fierezza estrema della posa, essendo ogni regina il radioso simulacro di un’attrice, come suggerisce Shakespeare nel finale de Il racconto d’inverno.

When a screen queen (a diva) plays another queen (really existed on the stage of history), a photogenic amalgam of bodies and ghosts takes place and the character results unreadable. Considering some of the most significant examples, both from classical cinema and from contemporaneity, we would like to reflect on the way the volume of these royal bodies is inscribed in the planimetry of its own spaces, by locating the possible rooms of freedom – a freedom which can express itself also in concealment, in the extreme pride of the pose, since every queen is the bright simulacrum of an actress, as Shakespeare suggest in the final scene of The Winter’s Tale.    

Elisabetta non divenne mai reale nel senso in cui era stata reale la regina Vittoria, eppure non divenne mai creatura di invenzione nel senso in cui lo sono Cleopatra e Falstaff. La ragione sembrerebbe il fatto che si sapeva poco […] la sua invenzione era sotto controllo. Così la regina si muoveva in un mondo ambiguo, fra fatto e finzione, né corporea né incorporea. C’è un senso di vuoto e di sforzo, di tragedia senza crisi, di personaggi che si incontrano ma non cozzano.

Virginia Woolf

Fuori continua a nevicare. Non c’è pace per la regina Cristina. Non è sola nella stanza della locanda, ma un velo di inquietudine le impedisce di godere a pieno del tepore del fuoco e delle attenzioni del suo amante, totalmente ignaro di trovarsi al cospetto della potente sovrana di Svezia. Così abbandona il giaciglio, si alza in piedi e inizia a muoversi nell’ambiente, sfiorando le superfici dei mobili e delle pareti, accarezzando gli oggetti. Quando l’uomo le chiede spiegazioni, la sua risposta evoca lo spettro di un’esistenza stritolata in una morsa di doveri e convenzioni: «Sto memorizzando questa stanza. In futuro, nella mia memoria, trascorrerò tante ore in questa stanza… Ho immaginato la felicità, ma è qualcosa che non si può immaginare. La felicità bisogna provarla, è una gioia infinita. Oh, sapessi quanto mi sento felice adesso!… Questo deve avere provato il signore quando ha finito di creare il mondo e tutte le sue creature, a cui aveva dato vita…».

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Abstract: ITA | ENG

Figura tra le più rappresentative della regia d’opera contemporanea, Davide Livermore ha firmato una nuova edizione di Elisabetta regina d’Inghilterra di Gioachino Rossini per il Rossini Opera Festival 2021. Il Konzept di Livermore è la voluta ibridazione tra le icone delle due regine Elisabetta, I e II, filtrato attraverso recenti esperienze cinematografiche (The Queen) e di fiction (The Crown). Il regista crea una successione di ‘ambienti’ che hanno lo scopo di acclimatare lo spettatore, fornendo un esempio significativo di ‘rimediazione’ di un personaggio iconico e di drammaturgia crossmediale, capace di fondere elementi di provenienza eterogenea in uno spettacolo di forte coerenza e impatto teatrale.

One of the most representative figures of contemporary operatic direction, Davide Livermore has realized a new production of Gioachino Rossini’s Elisabetta regina d’Inghilterra for the Rossini Opera Festival 2021. Livermore’s Konzept is the hybridation on purpose of the iconic two Queen Elizabeth, the I and the II, filtered through recent cinematographic (The Queen) and fictional (The Crown) experiences. The director has created a sequence of settings with the aim of making the audience accustomed to the subject, thus giving a significant example of ‘remediation’ of an iconic character and of crossmedial dramaturgy, and blending elements of heterogeneous origin in a performance of strong coherence and deep theatrical impact.

 

1.«Possa ognor, felice appieno, teco l’Anglia giubilar!»

 

Uneasy lies the head that wears a crown.

William Shakespeare, King Henry Fourth, Second part, III, 1 (1598)

 

 

Nobile e silente, l’ombra di un cervo si aggira sul palcoscenico. Rappresenta il richiamo della natura, violata e assente, un eden d’incorrotta perfezione. Ma fors’anche qualcosa in più: è la prima di una lunga serie di citazioni con cui Davide Livermore costella la sua produzione di Elisabetta regina d’Inghilterra di Gioachino Rossini, nell’agosto del 2021, per il cartellone del Rossini Opera Festival di Pesaro.[1]

Programmato (casualmente?) nel 2020, in tempi di Brexit, il dramma per musica rossiniano è stato ‘recuperato’ l’anno successivo: appuntamento lungamente atteso per la caratura storica dell’opera, titolo di esordio del Pesarese a Napoli, il 4 ottobre del 1815, «giorno onomastico di Sua Altezza Reale il Principe ereditario delle Due Sicilie», come recitava il frontespizio del libretto del debutto; ma anche atto di battesimo di un settennato che avrebbe consacrato, al tempo stesso, la gloria imperitura di Rossini e le fortune di Domenico Barbaja, impresario dei Reali Teatri di Napoli.[2] Su libretto di Giovanni Schmidt, Elisabetta era dunque il primo titolo di quell’«engagement» che presto si sarebbe rivelato come il più significativo e duraturo nella carriera di Rossini, perfezionato proprio dopo il successo dell’opera in un contratto destinato a estendersi su «plusieurs années»,[3] fino al 1822.[4] Di più: dietro la scelta del soggetto, di fonte francese e italiana, si celava il desiderio di un uso celebrativo del «Teatro del Re», che proprio nelle tormentate vicende della regina Tudor coniugava un tributo alle milizie britanniche, strategiche nella restaurazione dell’ancien régime, come alla clemenza del nuovo – e al tempo stesso vecchio – corso, di cui si esaltava programmaticamente la lungimiranza politica.[5]

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