Anche il “mito” di Prometeo – come altri racconti complessi e stratificati di dèi ed eroi tramandati nelle fonti antiche – si frastaglia nella letteratura e nell’iconografia greca segmentandosi in diverse imprese, senza che vi sia la possibilità di ricostruire genesi e articolazione dell’insieme delle gesta che al Titano sono attribuite. Prometeo portatore del fuoco agli uomini, Prometeo che inaugura il sacrificio bovino insegnando ai mortali come lasciare agli dèi le sole ossa tenendo per sé la carne, Prometeo che plasma il protògonos al quale Atena infonde la psyché, Prometeo che subisce la punizione sul Caucaso e che poi viene liberato da Eracle. A queste si aggiungono ulteriori imprese, meno celebri, nelle quali il Titano è ricordato insieme a Deucalione e a Chirone, fino alla rilettura platonica del furto del fuoco. Nella letteratura antica, dunque, è difficile imbattersi in una rassegna completa delle imprese prometeiche, mentre prevalgono i resoconti e le riletture focalizzati su una particolare sezione del mito; unica e attesa eccezione è il resoconto della Biblioteca dello Pseudo Apollodoro. Nella selettività delle fonti visive, connaturata al mezzo, si segnala tuttavia l’originale e inattesa riproduzione di più momenti del mito di Prometeo su un celebre sarcofago, che ne riproduce in sequenze alcuni dei momenti più significativi.[1]
Sia pure trattate quasi sempre in modo separato, le imprese di Prometeo lasciano intuire una stretta relazione tra il dio e il genere umano. Una relazione già individuata da Kerényi nella struttura espositiva della Teogonia esiodea, ove la genealogia di Giapeto segue a quella della linea Urano-Crono.[2]