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Muovendo da un passo di Aulo Gellio (Noctes Atticae 13, 17) e soffermandosi su testi di Eschilo, Varrone, Firmico Materno e Erasmo da Rotterdam, nonché tenendo conto di testimonianze vascolari dell’antica Grecia, questo contributo intende mostrare come nella figura di Prometeo possa incarnarsi il mitico fondatore di uno dei concetti portanti del pensiero romano classico, quello di humanitas.

Starting from a passage by Aulus Gellius (Noctes Atticae 13, 17) and dwelling on texts by Aeschylus, Varro, Firmicus Maternus and Erasmus of Rotterdam, as well as taking into account vase evidence from ancient Greece, this contribution aims to show how the mythical figure of Prometheus can embody the founder of one of the most important concepts of classical Roman thought, that of humanitas.

La figura di Prometeo all’interno del panorama mitologico classico, soprattutto greco, gode di particolare fortuna nell’ambito legato ai cosiddetti miti del progresso, ovvero quelle narrazioni in cui la storia del mondo e del ruolo dell’uomo al suo interno è presentata come una continua evoluzione da condizioni più arretrate culturalmente, e perciò meno agevoli per la vita umana, a situazioni migliori, più evolute, più civilizzate.[1] Emblematica, in questo contesto, è la versione contenuta nel Protagora platonico (320d-322d), secondo cui Prometeo rimedia alle mancanze del fratello Epimeteo nei confronti degli uomini consegnando loro il fuoco e la sapienza tecnica, dopo aver sottratto con l’inganno il primo a Efesto e la seconda ad Atena.[2] Proprio per il furto del fuoco Eschilo aveva definito Prometeo philánthropos in un passo del Prometeo incatenato su cui ritorneremo, chiamando così in causa la philanthropía, da identificarsi, come chiarirà bene un passo di Aulo Gellio, come una componente fondamentale del concetto latino di humanitas, che nel suo senso più ampio indica proprio la nozione di civilizzazione – ovviamente secondo i parametri romani e con sfumature diverse in relazione agli autori e ai periodi della storia di Roma – ovvero il risultato del progresso umano descritto nei miti e cui i Greci non diedero mai una denominazione vera e propria.[3]

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Procedendo dall’analisi di Hes. Th. 507-613 e di altre testimonianze puntuali, si ricostruiscono le sequenze fondamentali del mito prometeico del furto del fuoco, a partire dal retroscena della spartizione di Mecone. L’insieme dei dati, posto in relazione con le fonti letterarie e iconografiche relative ai Promethia, permette di illuminare la funzione cultuale di Prometeo nella città di Atene e le prerogative del fuoco che il Titano dona agli uomini: intermediario tra il fuoco inestinguibile di Zeus e quello perfettamente addomesticato di Efesto, il fuoco prometeico resta nascosto ma non si spegne. È dunque divenuto a ‘misura d’uomo’, ma conserva, dell’antico fuoco cosmogonico, quella vigorìa che lo mantiene acceso, rendendolo ‘instancabile’.

Proceeding from the analysis of Hes. Th. 507-613 and other punctual testimonies, the fundamental sequences of the Promethean myth of the theft of fire are reconstructed, starting from the background of the partition of Mecon. The set of data, placed in relation to the literary and iconographic sources relating to the Promethia, allows us to illuminate the cultic function of Prometheus in the city of Athens and the prerogatives of the fire that the Titan bestows on mankind: an intermediary between the unquenchable fire of Zeus and the perfectly tamed fire of Hephaestus, Promethean fire remains hidden but is not extinguished. It has therefore become 'human-sized', but retains, of the ancient cosmogonic fire, that vigour that keeps it burning, making it 'indefatigable'.

Anche il “mito” di Prometeo – come altri racconti complessi e stratificati di dèi ed eroi tramandati nelle fonti antiche – si frastaglia nella letteratura e nell’iconografia greca segmentandosi in diverse imprese, senza che vi sia la possibilità di ricostruire genesi e articolazione dell’insieme delle gesta che al Titano sono attribuite. Prometeo portatore del fuoco agli uomini, Prometeo che inaugura il sacrificio bovino insegnando ai mortali come lasciare agli dèi le sole ossa tenendo per sé la carne, Prometeo che plasma il protògonos al quale Atena infonde la psyché, Prometeo che subisce la punizione sul Caucaso e che poi viene liberato da Eracle. A queste si aggiungono ulteriori imprese, meno celebri, nelle quali il Titano è ricordato insieme a Deucalione e a Chirone, fino alla rilettura platonica del furto del fuoco. Nella letteratura antica, dunque, è difficile imbattersi in una rassegna completa delle imprese prometeiche, mentre prevalgono i resoconti e le riletture focalizzati su una particolare sezione del mito; unica e attesa eccezione è il resoconto della Biblioteca dello Pseudo Apollodoro. Nella selettività delle fonti visive, connaturata al mezzo, si segnala tuttavia l’originale e inattesa riproduzione di più momenti del mito di Prometeo su un celebre sarcofago, che ne riproduce in sequenze alcuni dei momenti più significativi.[1]

Sia pure trattate quasi sempre in modo separato, le imprese di Prometeo lasciano intuire una stretta relazione tra il dio e il genere umano. Una relazione già individuata da Kerényi nella struttura espositiva della Teogonia esiodea, ove la genealogia di Giapeto segue a quella della linea Urano-Crono.[2]

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