La figura di Prometeo all’interno del panorama mitologico classico, soprattutto greco, gode di particolare fortuna nell’ambito legato ai cosiddetti miti del progresso, ovvero quelle narrazioni in cui la storia del mondo e del ruolo dell’uomo al suo interno è presentata come una continua evoluzione da condizioni più arretrate culturalmente, e perciò meno agevoli per la vita umana, a situazioni migliori, più evolute, più civilizzate.[1] Emblematica, in questo contesto, è la versione contenuta nel Protagora platonico (320d-322d), secondo cui Prometeo rimedia alle mancanze del fratello Epimeteo nei confronti degli uomini consegnando loro il fuoco e la sapienza tecnica, dopo aver sottratto con l’inganno il primo a Efesto e la seconda ad Atena.[2] Proprio per il furto del fuoco Eschilo aveva definito Prometeo philánthropos in un passo del Prometeo incatenato su cui ritorneremo, chiamando così in causa la philanthropía, da identificarsi, come chiarirà bene un passo di Aulo Gellio, come una componente fondamentale del concetto latino di humanitas, che nel suo senso più ampio indica proprio la nozione di civilizzazione – ovviamente secondo i parametri romani e con sfumature diverse in relazione agli autori e ai periodi della storia di Roma – ovvero il risultato del progresso umano descritto nei miti e cui i Greci non diedero mai una denominazione vera e propria.[3]