1. Il volto degli antenati
L’attività di autoriflessione di artisti e scrittori è fenomeno ben noto e prezioso per la critica letteraria, dal momento che negli spazi di autocommento spesso si annidano rivelazioni illuminanti sui testi e la loro genesi.[1] Se in molti casi gli autori sono stati parchi nel fornire commenti alle proprie opere, Italo Calvino, per contro, si è dedicato a tale attività in modo potremmo dire sistematico e cospicuo. L’autore ligure non soltanto ha frequentato in modo estensivo la forma saggio, autoinvestigando attraverso gli strumenti della saggistica le proprie scelte poetiche, ma in più occasioni ha dichiarato intenti e significati dei suoi scritti in introduzioni e prefazioni prodighe di dettagli e spiegazioni sui testi che accompagnavano.
La Prefazione del 1964 al Sentiero dei nidi di ragno è forse lo scritto più noto della produzione calviniana di autocommento. Non meno rilevanti e illuminanti, però, sono altri testi prefatori, come ad esempio i due scritti, uno edito e l’altro emerso grazie ai Meridiani mondadoriani, che illustrano genesi e significati della trilogia araldica dei Nostri antenati.
Nel 1960, in occasione della pubblicazione dei tre romanzi in un volume complessivo, Calvino sente infatti la necessità di illustrare le ragioni che fanno di queste opere un ciclo unitario e compiuto. I volumi che compongono i Nostri antenati, benché nati in momenti lievemente differenti (’52, ’57, ’59) – e fortemente ancorati alle circostanze storiche in cui vennero concepiti –, condividono una matrice genetica comune, sulla quale Calvino insiste sia nella versione edita della Postfazione sia nello scritto che non venne pubblicato: questi romanzi – come molte altre opere calviniane – non sono nati da concetti ben distinti e chiari per l’autore, che attraverso la trasfigurazione fantastica li ha voluti descrivere, sono sorti invece da tre immagini, dalle quali poi hanno preso forma delle questioni che in seguito rimangono sempre centrali per Calvino.