Quando si pensa a Elio Vittorini e Albe Steiner viene subito in mente l’avventura del Politecnico (1945-1947), e forse anche le parole di Franco Fortini, che ricorda scivolare tra le mani del grafico quelle «sue strisce nere e rosse» (Steiner, Huber 1977, p. 14). Le pagine del periodico, fondato nella Milano del ’45, non sono solo il primo segno di una grafica moderna, ma anche il banco di prova della collaborazione tra lo scrittore e il designer, che avvia un’osmosi tra i loro rispettivi mestieri. Entrambi infatti sono attratti da quel politecnicismo che guarda alla cultura come ricerca, alla ricerca intesa come «dialogo democratico» tra diverse forme espressive e artistiche (Lupo 2011, p. 7). Capiterà spesso, infatti, che Vittorini si faccia prendere dal «vizio della tipografia», citando un articolo di Giuseppe Trevisani (Trevisani 1947, p. 22), così come Steiner diventi quasi co-autore delle decisioni più propriamente editoriali.
Un passo indietro può aiutarci a comprendere meglio le premesse che hanno portato alla rivoluzione grafica del Politecnico, seguendo come via privilegiata quella delle immagini. Siamo negli anni della Resistenza, quando nel 1943 Lica Covo-Steiner, rimasta a Milano come staffetta, incontra Vittorini. I coniugi Steiner sono entrambi partigiani comunisti e tramite il siciliano Salvatore (detto Totò) Di Benedetto – che nel ’43 è capo della sezione di Milano del fronte antifascista clandestino – iniziano a lavorare con lo scrittore. Svolgono attività di propaganda, curando la grafica di materiale politico di stampa clandestina, tra i quali il noto volantino Dieci giugno, composto nel 19° anniversario dell’eccidio di Giacomo Matteotti, zio di Steiner [figg. 1-2]. La scritta a mano del grafico si legge sul retro del volantino originale: composto presso il Corriere della Sera, redatto da Vittorini, Di Benedetto (Manfrè), stampato clandestinamente da Lica (Matilde) e Albe (Aldo Stefani) nel loro studio utilizzando come torchio un copia-lettere. Il volantino è uno dei primi lavori svolti clandestinamente, ma che già delinea la loro attività di comunicazione militante e prepara il terreno al «programma resistenziale» del Politecnico (Vittorini 2008, p. 1105). In questi anni, sono diversi gli incarichi di propaganda che verranno affidati allo scrittore, che spesso si occuperà della stampa in senso stretto, quindi della mise en page, acquisendo parte di quelle competenze tipografiche a cui farà ricorso di frequente durante la sua esperienza editoriale.