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Fotografie, frammenti pittorici, successioni cinematografiche: la declinazione plurale dell’immagine si adatta alla poliedrica attitudine alla visualità e ai ricettivi interessi manifestati da Elio Vittorini nel corso della sua intensa attività intellettuale. Lo scrittore siciliano rivela in più occasioni un’attenzione tutt’altro che saltuaria nei confronti dei linguaggi visivi e figurativi, talvolta elaborando personali possibilità di impiego delle immagini e oggettivando le proprie riflessioni in precise opere letterarie o in esperienze giornalistiche ‘d’autore’. La Galleria propone una panoramica ad ampio spettro del rapporto tra Vittorini e i codici visuali e, situando nel corpus dello scrittore un ideale punto di partenza, invita ad un’indagine che spazia dai contributi di matrice teorica e critica ai romanzi illustrati, alle curatele, alle collaborazioni con la stampa periodica, ai lavori editoriali che, a vario titolo, si pongono come specola di un’apertura alle potenzialità espressive delle immagini.

A inaugurare la mostra virtuale è la sezione intitolata L’impurità dello scatto, dedicata alla concezione e all’utilizzo della fotografia da parte di Vittorini; vi rientrano le dibattute forme fototestuali dell’antologia Americana e della settima edizione di Conversazione in Sicilia. La sezione ospita, inoltre, un recupero critico delle dichiarazioni dell’autore intorno allo statuto della fotografia e nuove letture della dimensione diegetica che contamina gli scatti disposti in sequenza, tanto nel campo narrativo, quanto nel settore della pubblicistica, all’interno del quale svetta lo straordinario laboratorio verbo-visivo del Politecnico e l’elaborazione del genere del ‘fotoracconto’ a firma di Luigi Crocenzi.

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Quando si pensa a Elio Vittorini e Albe Steiner viene subito in mente l’avventura del Politecnico (1945-1947), e forse anche le parole di Franco Fortini, che ricorda scivolare tra le mani del grafico quelle «sue strisce nere e rosse» (Steiner, Huber 1977, p. 14). Le pagine del periodico, fondato nella Milano del ’45, non sono solo il primo segno di una grafica moderna, ma anche il banco di prova della collaborazione tra lo scrittore e il designer, che avvia un’osmosi tra i loro rispettivi mestieri. Entrambi infatti sono attratti da quel politecnicismo che guarda alla cultura come ricerca, alla ricerca intesa come «dialogo democratico» tra diverse forme espressive e artistiche (Lupo 2011, p. 7). Capiterà spesso, infatti, che Vittorini si faccia prendere dal «vizio della tipografia», citando un articolo di Giuseppe Trevisani (Trevisani 1947, p. 22), così come Steiner diventi quasi co-autore delle decisioni più propriamente editoriali.

Un passo indietro può aiutarci a comprendere meglio le premesse che hanno portato alla rivoluzione grafica del Politecnico, seguendo come via privilegiata quella delle immagini. Siamo negli anni della Resistenza, quando nel 1943 Lica Covo-Steiner, rimasta a Milano come staffetta, incontra Vittorini. I coniugi Steiner sono entrambi partigiani comunisti e tramite il siciliano Salvatore (detto Totò) Di Benedetto – che nel ’43 è capo della sezione di Milano del fronte antifascista clandestino – iniziano a lavorare con lo scrittore. Svolgono attività di propaganda, curando la grafica di materiale politico di stampa clandestina, tra i quali il noto volantino Dieci giugno, composto nel 19° anniversario dell’eccidio di Giacomo Matteotti, zio di Steiner [figg. 1-2]. La scritta a mano del grafico si legge sul retro del volantino originale: composto presso il Corriere della Sera, redatto da Vittorini, Di Benedetto (Manfrè), stampato clandestinamente da Lica (Matilde) e Albe (Aldo Stefani) nel loro studio utilizzando come torchio un copia-lettere. Il volantino è uno dei primi lavori svolti clandestinamente, ma che già delinea la loro attività di comunicazione militante e prepara il terreno al «programma resistenziale» del Politecnico (Vittorini 2008, p. 1105). In questi anni, sono diversi gli incarichi di propaganda che verranno affidati allo scrittore, che spesso si occuperà della stampa in senso stretto, quindi della mise en page, acquisendo parte di quelle competenze tipografiche a cui farà ricorso di frequente durante la sua esperienza editoriale.

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Abstract: ITA | ENG

Nell’immediato dopoguerra, nel clima di ritrovata libertà che succede al crollo del regime, si assiste a una straordinaria fioritura di iniziative editoriali. La stampa reagisce alle coercizioni a cui è stata precedentemente sottoposta e manifesta in un’esplosione di testate giornalistiche la volontà di comprendere uno scenario molto più complesso di quanto l’informazione ufficiale non abbia lasciato intendere negli anni precedenti. In questo contesto, la parabola breve ma ardente del «Politecnico» trova una peculiare possibilità di espressione. La rivista, con i suoi trentanove fascicoli, scardina i baluardi più stantii della comunicazione giornalistica e con atteggiamento estremamente ricettivo ritrae la realtà composita, caotica, contraddittoria di quello scorcio di secolo avanzando una proposta di rinnovamento basata su un’originale articolazione dei contenuti, delle immagini e dell’assetto grafico. Il contributo intende soffermarsi su quest’ultimo aspetto e sull’importanza del rapporto di collaborazione tra il direttore del periodico, Elio Vittorini, e il grafico Albe Steiner nell’elaborazione dello spregiudicato layout del «Politecnico».  

In the immediate post-war era, because of the regained freedom subsequent the collapse of the regime, there is an extraordinary flowering of editorial initiatives. The press reacts to coercions to which it was previously subjected and it shows the willingness to understand a complicated scenario. In this context, «Il Politecnico» find a peculiar possibility of expression. The thirty nine issues of the magazine deconstruct the most stale bulwarks of the journalistic communication and they portray, with an extremely receptive attitude, the chaotic, contradictory reality of that time making a proposal of renewal based on an original modulation of contents, images and graphic set-up. The main focuses of the article are the latter aspect and the importance of the relationship between the editor-in-chief of the periodical, Elio Vittorini, and the graphic designer Albe Steiner in drawing up the innovative layout of «Politecnico».

 

 

1. Le mani di Vittorini

Il 29 settembre 1945 viene pubblicato il primo numero del settimanale «Il Politecnico», edito da Einaudi e diretto da Elio Vittorini. Con una redazione formata da Franco Calamandrei, Franco Fortini, Vito Pandolfi, Stefano Terra e Albe Steiner come responsabile della grafica,[1] all’indomani della Liberazione la rivista lancia una proposta di rinnovamento che si articola lungo un ventaglio di temi estremamente eterogeneo. Aderendo ad una concezione enciclopedica di cultura, il periodico, con ardore di ‘manifesto squillante’ affisso ai muri,[2] insieme ai discorsi sulle correnti filosofiche e scientifiche, affronta i problemi sociali, economici e politici, orienta il gusto letterario, sia attraverso antologie ed estratti di autori affermati e di scrittori esordienti che per mezzo di scritti critici o di taglio informativo, si apre alla multimedialità inglobando discussioni e agili approfondimenti sulle arti figurative, sul teatro, sul cinema, sull’architettura. Questioni riguardanti la condizione delle donne, la riforma scolastica, la religione cattolica vengono così affiancate alle inchieste sulle grandi industrie italiane,[3] alle riflessioni sull’idealismo e il marxismo, ai cospicui suggerimenti di lettura, ai numerosi focus sulle arti visive, nonché ad un ampio e variegato corredo iconografico. La natura caleidoscopica dei testi si riflette sulle immagini presenti nel periodico, accogliendo fotografie, riproduzioni di quadri, disegni, incisioni, frame cinematografici, fumetti. Scardinando, inoltre, l’appiattimento nazionalistico caldeggiato dal regime, gli ambiti tematici restringono e dilatano costantemente la prospettiva d’indagine, spaziando da un’ottica regionale e attenta allo stato delle realtà particolari italiane a una internazionale; la Sicilia e la Puglia, dunque, come la Francia, l’Inghilterra, la Spagna, culla dell’antifascismo europeo e punto di partenza ideale per «Il Politecnico», ma anche gli Stati Uniti, l’U.R.S.S., la Cina.

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