1. In principio era lo sguardo
La visività come motore dell’opera di Calvino è stata più volte messa in rilievo sia dall’autore sia dalla critica, insieme al quadro intermediale che orienta costantemente la sua attività narrativa e saggistica. Nella recente selezione dei suoi scritti intitolata significativamente Guardare, Marco Belpoliti enuncia già in copertina tutti i campi con cui Calvino entra in dialogo: Disegno, cinema, fotografia, arte, paesaggio, visioni e collezioni.[1] Il rapporto con il cinema, in particolare, è diventato materia di diversi libri dal 1990 a oggi.[2]
Lo scrittore per primo ha tracciato le coordinate della sua esperienza cinematografica in Autobiografia di uno spettatore che introduce nel 1974 la raccolta di quattro sceneggiature di Fellini.[3] Riattivando la memoria dell’adolescenza, ci racconta che il cinema hollywoodiano classico ha rappresentato per lui un itinerario di formazione all’insegna dell’«evasione», dello «spaesamento», dell’immersione in un mondo altro rispetto a quello di tutti i giorni, non importa se pieno di «mistificazione» e «menzogna».
Il trauma bellico costituisce uno spartiacque tra questa esperienza di spettatore perso in un mondo immaginario, avventuroso e fiabesco e quella di autore e ‘attore’ partecipe della cultura del dopoguerra. Alla «distanza» si sostituisce la ‘vicinanza’ ai fatti e ai personaggi rappresentati, l’immersione nel modo della contingenza e della memoria appena trascorsa.