2.1 . «Come una sorta di necessità». Gomorra in scena

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L’idea che Gomorra potesse mutare dimensione e divenire forma teatrale sembrava essere parte del suo destino. Ancora non era uscito che mi si avvicinarono in due, un regista e un giovane attore, a chiedermi di poter trasformare qualsiasi cosa avessi scritto in forma teatrale. Come se avessero in mente cosa fare sin dal primo momento in cui ci eravamo incontrati. Come una sorta di necessità. Qualcosa che puoi affrontare solo assecondandolo (Saviano, 2009).

Così Saviano ricorda l’incontro con il regista Mario Gelardi e l’attore Ivan Castiglione, che di lì a qualche tempo avrebbero curato l’adattamento teatrale di Gomorra. Rimasto un po’ in ombra, rispetto al clamore suscitato dal film di Garrone e dalla serie televisiva, lo spettacolo risponde in realtà a una precisa strategia retorica, legata al potere della parola e alla pregnanza del gesto. Per cogliere fino in fondo la ‘necessità’ di tale riduzione occorre ricordare l’importanza che lo stesso autore attribuisce al teatro, considerandolo il luogo che «permette una diffusione di verità fatta di timpani e sudore, di sguardi e luci fioche» (ibidem). Lungi dall’essere un fatto meramente occasionale, il rapporto con la scena si configura subito come importante momento di verifica e di espressione di sé, come dimostreranno più avanti le incursioni in prima persona ai bordi del palco con il monologo La bellezza e l’inferno (2009) prodotto addirittura dal Piccolo Teatro per la regia di Serena Sinigallia [fig. 1].

Dopo l’incontro con Gelardi e Castiglione, Saviano alterna la correzione delle bozze alla stesura del copione, così da testare in tempo reale la potenza scenica del libro. Fin dall’inizio si intuisce la necessità di concentrare la drammaturgia solo su alcune delle tante storie intrecciate nel testo, e quasi subito saltano fuori i corpi di Pasquale, Mariano, Pikachu, Kit Kat e lo stakeholder (per una curiosa coincidenza si tratta quasi degli stessi profili presenti poi nel film). L’idea è quella di rappresentare due camorre, quella imprenditoriale dei colletti bianchi (declinata dal tono enfatico dei ‘laureati’ Mariano e lo stakeholder) e quella delinquenziale della bassa manovalanza (incarnata dagli umori sanguigni di Kit Kat e Pikachu); oltre la linea di fuoco di questi due schieramenti si situa la parabola tragica del sarto Pasquale, deciso a non assecondare la crudele regia della malavita.

Il clima di grande fervore maturato intorno al progetto teatrale viene però bruscamente interrotto da quella che il regista e l’attore hanno soprannominato «l’invettiva di Casale».

Ricordo i giorni seguenti, quelli davvero duri e difficili. I giorni della lontananza, dei telefoni muti, delle notizie lanciate dai giornali. I giorni del silenzio che dopo un rincorrersi continuo venne, finalmente, interrotto.
La nostra amicizia, ma anche il nostro rapporto di lavoro, è dovuto necessariamente cambiare. Vederlo accompagnato sempre da tre carabinieri, incontrarlo in luoghi sempre diversi, rincorrerci via e-mail per scrivere un dialogo o correggere una scena è stata un’esperienza decisamente unica nella sua irrazionalità (Gelardi, 2007).

Con lo scatenarsi delle minacce dei casalesi i tempi di lavorazione si allungano. Alle difficoltà logistiche dell’autore, tra l’altro, si aggiungono incertezze produttive, rifiuti che vengono superati solo grazie alla tenacia degli interpreti coinvolti e al coraggio del Mercadante di Napoli.

Dopo una genesi travagliata, lo spettacolo finalmente debutta il 29 ottobre del 2007 nel Ridotto del Teatro Mercadante [fig. 2]: nella sua versione definitiva, i personaggi non sono più cinque ma sei, perché Ivan Castiglione accetta la sfida di vestire i panni di Roberto Saviano. Questa scelta si rivela decisiva perché consente al regista di riannodare i destini dei protagonisti attraverso lo sguardo unificante del loro ‘autore’, onnipresente sulla scena. Quelli che nel libro erano orizzonti umani distanti e irraggiungibili, sul palco diventano vissuti condivisi, esistenze lacerate dal comune sforzo di guadagnare denaro e potere, contro cui Castiglione/Roberto ingaggia una battaglia di verità e giustizia.

Il rischio di cadere in un eccesso didascalico viene evitato innanzitutto grazie alla convincente interpretazione degli attori, capaci di restituire con decisione di tratti e pose la temperatura emotiva dei personaggi [figg. 3-7]. Francesco di Leva/Pikachu si muove nervosamente sul palco, è robusto e violento, come ci si aspetta da un aspirante boss; Adriano Pantaleo/Kit Kat esprime, invece, la grazia sfrontata dell’apprendista, la sua è una parabola sacrificale densa di pathos, che non esclude qualche accenno di riso; Giuseppe Miale Di Mauro/Stakeholder è preciso e sempre lucido nel tessere le sue trame; Antonio Ianniello/Mariano si lascia conquistare dalle spire della malavita in un crescendo di ostinazione e smanie di controllo; Ernesto Mahieux/Pasquale smorza i toni, a volte ammicca, facendo emergere tutta la complessità del suo ruolo di mezzo. Oltre alla qualità espressiva degli attori il buon esito dello spettacolo si deve anche al sapiente uso del montaggio delle scene; la traiettoria non è lineare ma procede per flash incisivi e dirompenti, grazie anche a qualche efficace soluzione visiva. Lo spazio scenico simula il perimetro di un cantiere edilizio, attraversato e circoscritto da quattro pilastri; la scenografia di Roberto Crea, inoltre, prevede la scansione del palco in due ordini (alto e basso), che visualizzano la divaricazione fra camorra imprenditoriale e delinquenziale. A spezzare l’andamento realistico della rappresentazione intervengono le videoproiezioni di Ciro Pellegrino, che recuperano l’astrazione simbolica dello stile narrativo di Saviano. Può darsi che la forte tensione dialogica che si sprigiona in ogni quadro allenti la straordinaria polifonia dell’io narrante presente nel romanzo, ma in fondo la sovranità dell’autore è comunque certificata se Roberto risponde all’accusa di scrivere cazzate lanciatagli da Mariano dicendo: «Io scrivo quello che tu mi racconti» (Saviano, Gelardi, 2007).

La scelta di gettare nella mischia il corpo di Saviano contribuisce a superare la soglia testuale di Gomorra e ad alzare il tasso ‘civile’ della messa in scena. Fin dal prologo appare chiaro allo spettatore quale sia il legame con la realtà e quanto la finzione serva a illuminare le zone d’ombra del presente. Avvolto nel buio della sala, Castiglione/Roberto entra in scena, si aggrappa al microfono e comincia a recitare alcuni stralci del discorso pronunciato da Saviano a Casal di Principe il 13 settembre del 2006 [fig. 8].

Non credete, non credete quando vi dicono che tutto sommato il potere dei clan non esiste, pretendete di non implorare quello che vi si deve dare per diritto. Guardate in faccia e sappiate che conoscere come funziona il meccanismo degli appalti, conoscere come un politico viene eletto, è l’unico modo che avete per difendervi, e soprattutto non fatevi strappare la vostra terra da nessuno. La terra è vostra, è di chi la ama e di chi la tutela, non di chi la rapina.
Verità e potere non coincidono mai.
Basta! (Saviano, Gelardi, 2007).

L’interpretazione di Castiglione nei panni dello scrittore è impressionante per forza e capacità mimetica, obbedisce a una logica profonda, racchiusa nella verità di queste note:

Ogni sera nel tratto di palcoscenico che mi accompagna al microfono, penso all’ultima frase del libro: “Bastardi sono ancora vivo” e mi sento un uomo solo, forte solamente della sua anima e delle sue parole e di una rabbiosa disperazione. Allora mi sale il fiatone, trattengo ogni emozione nella bocca dello stomaco; l’indice della mia mano sinistra inizia a sfregare come un ossesso sul dito medio, e mi ritrovo nel centro della piazza di Gomorra (Castiglione, 2007).

È qui che il teatro diviene luogo altro, «altro dai media, altro dai fogli» (Saviano, 2009).

 

Bibliografia

I. Castiglione, Essere Roberto Saviano, <http://www.robertosaviano.it/documenti/10011/120> [accessed 12 november 2012].

R. Di Giammarco, ‘Gomorra, la Napoli di Saviano’, la Repubblica, 12 novembre 2007.

M. Gelardi, ‘Note di regia’, in «Gomorra». Programma di sala, Mercadante Teatro Stabile di Napoli, 2007.

S. Rimini, ‘Gomorra fra teatro e cinema’, in Ead., ImmaginAzioni. Riscritture e ibridazioni fra teatro e cinema, Acireale-Roma, Bonanno, 2012, pp. 175-192.

R. Saviano, Gomorra, Milano, Mondadori, 2007.

R. Saviano, M. Gelardi, Gomorra, da un’idea di Ivan Castiglione e M. Gelardi, copione inedito, 2008.

R. Saviano, ‘La verità, nonostante tutto, esiste’, in Id., La bellezza e l’inferno. Scritti 2004-2009, Milano, Mondadori, 2009, pp. 49-54.

R. Saviano, ‘Io attore per sentirmi meno solo’, la Repubblica, 29 maggio 2009.

F. Urbano, ‘Gomorra, dal libro al teatro civile’, Roma, 31 ottobre 2007.