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L’articolo analizza i rapporti tra il mondo cattolico e la censura del cinema osceno nei primi due decenni dell’Italia repubblicana. Dopo aver sottolineato l’importanza che il tema ha rivestito per il mondo cattolico, ricostruisce attraverso documentazione d’archivio inedita l’azione censoria messa in atto dai cattolici nel contesto della censura amministrativa statale e nell’ambito della revisione dei film da essi operata per le sale parrocchiali.

The article deals with the relationship between the Catholic world and the censorship of the obscene movie in Italy during the first two decades of Italian Republic. It stresses the importance that the theme of obscenity has had for the Italian Catholics, and then it sheds light on censorship exercised by Catholics on the one hand in the context of the State Censorship Office and on the other reviewing movies for the church halls. 

1. Il tema dell’osceno

Alla fine del 1961 (nel bel mezzo del dibattito intorno alla nuova legge sul cinema) viene pubblicato La porpora e il nero nel quale Aristarco mette a punto un argomento polemico cui Brunetta darà quindici anni dopo dignità scientifica: «si punisce Rocco e L’avventura mentre si lascia libero corso a tanti altri film non solo d’ignobile livello artistico, ma, questi sì, profondamente volgari, immorali, allusivamente lascivi, diseducatori»;[1] o ancora: «come mai si prendono provvedimenti […] contro film artistici» e «si indulge nei confronti di film pornografici?».[2]

Nel 1976, in uno dei primi scritti di Brunetta sui cattolici e il cinema, viene ripresa e approfondita questa tesi, che ha influenzato in profondità gli studi sulla censura cattolica dell’osceno. Sulla scia di Aristarco, anche Brunetta ritiene infatti la censura dell’osceno pretestuosa riconoscendo le reali intenzioni della macchina censoria cattolica nella difesa dal film politico: «La crociata in difesa della morale, l’allineamento ai programmi della Legion of Decency […] tradiscono […] altre intenzioni, tra cui […] proteggersi dalle aggressioni del film bolscevico».[3]

Nel 2001, in uno studio per molti aspetti ingenuo ma dalla collocazione prestigiosa, indicativo dello stato dell’arte, Franco Vigni rispolvera la vecchia tesi secondo cui è «impercettibile e labile […] la linea di confine tra la (presunta) difesa della morale e della pubblica decenza e il fine politico e ideologico, che sovente si confondono».[4]

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