Lo stesso nome che da dieci anni conclude e attualizza il percorso sul Guernica di Picasso nella sala 206.11 del Museo Reina Sofía, dove si proietta Canciones para después de una guerra: la pellicola più molesta per il regime franchista dopo Viridiana di Luis Buñuel, realizzata nel 1971, ma proibita fino alla morte del dittatore. Novantasei minuti di canzoncine estremamente popolari nella Spagna di allora e apparentemente innocue, ma saldate con un montaggio diabolico alle immagini d’archivio della guerra civile, fino a ottenere un ordigno corrosivo.
Allo stesso Patino si deve quello che è considerato il vertice della Nouvelle Vague iberica: Nueve cartas a Berta, il suo primo lungometraggio, presentato nelle sale nel 1967, in versione forzosamente ‘emendata’.
Basilio Martín Patino è anche l’autore del primo film su Francisco Franco realizzato da un non franchista: si intitolava Caudillo, esisteva clandestinamente dal 1974 e nel 1977 ne veniva ritirata la locandina dal padiglione spagnolo del Festival di Berlino, anche se la dittatura era finita. Cineasta di idee anarchiche, fino a quel momento Patino si era divertito a finire nel carcere di Carabanchel due giorni sì e uno no. E nel 1973 aveva rischiato la pelle per girare Queridísimos verdugos (Carissimi boia), documentario che, con Franco ancora in vita, nel 1975 veniva proiettato in una sala prove di Madrid alla presenza di Alberto Moravia. Tre anni dopo, il Festival di Taormina avrebbe premiato questa sinfonia macabra che sbatteva in faccia al regime l’umanità delle rughe di Vicente Copete, Bernardo Sánchez e Antonio López: los tres verdugos, cioè i tre esecutori di sentenze capitali nella Spagna del 1971, il volto inconfessabile del regime e i visi che nessuno voleva vedere.