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  • Arabeschi n. 15→

‘Cucire’ insieme saggi di critica letteraria, cinematografica, teatrale, sociale imperniati attorno a un campo tematico condiviso può essere relativamente semplice. Ben altra complessità presenta l’operazione quando è caratterizzata da un processo che, mutuando il termine dalla geologia, si potrebbe definire diagenetico, ovvero che prevede continui, a volte anche impercettibili, mutamenti della sedimentazione teorica e tematica su cui essa si basa. Le questioni inerenti la sessualità, intesa come insieme di «relazioni tra società, corpo e sesso» (p. 8), non sono infatti teoricamente fissabili in quanto costituiscono un oggetto ermeneutico strettamente connesso alla pratica sociale e dunque sfuggente a ogni definizione, secondo la lezione di Foucault e della sua fondamentale storia della sessualità a cui, non a caso, variamente ricorrono gli autori dei saggi che compongono il volume Sex(t)ualities.

Questa inafferrabilità del tema, presente già dal saggio di apertura di Carla Locatelli che definisce la sessualità come «un sistema semiotico di senso» (p. 26), è il fil rouge della costellazione di letture critiche di testi intermediali presenti nei contributi del volume, il quale rientra a buon titolo all’interno della collana di Mimesis Media/Eros. Sessualità, tecnologie, rappresentazioni. La miscellanea ha il merito di declinare il discorso sulla sessualità analizzando i dispositivi narrativi differenti sottesi a testi letterari (Giulio Iacoli), cinematografici (Giovanna Maina, Enrico Biasin, Mirko Lino, Luca Zenobi, Federica Timeto), teatrali (Zenobi), televisivi (Timeto), diversi ma accomunati da un processo di testualizzazione del sesso che lo permea e inevitabilmente modifica l’immaginario della corporeità, assecondandone il carattere intrinseco di fluidità. Attraversa inoltre i saggi la volontà di contribuire alla costruzione di un discorso sul corpo in grado di mettere a fuoco non soltanto l’interazione col sistema di potere e di produzione economica ma, a partire da questa, le possibilità di ampliamento culturale e di superamento della teoria del genere e di una visione patriarcale, binaria e omofoba del sesso.

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Crediamo che il desiderio

possa prendere molteplici forme

e vogliamo essere finalmente libere di rappresentarle.

Le Ragazze del Porno

 

 

In svariate esperienze contemporanee si osserva come la prassi di registe, ma soprattutto di collettivi femminili, abbia ridato nuovo slancio e linfa vitale ai film narrativi pornografici che, nell’era del net porn e dei porn tube, hanno forse perso la centralità (soprattutto simbolica) che avevano in passato. Il porno al femminile in questo senso non solo lavora in modo importante sull’estetica del genere, ma svolge una funzione decisiva a favore del piacere dello sguardo femminile rendendolo libero e legittimandolo, oltre a instaurare relazioni importanti tra donne nella scoperta e nel confronto dei propri desideri ed esperienze attraverso il lavoro della messa in scena. Un lavoro e una messa in scena in cui nessuna delle parti viene esclusa a favore di una sola – come il porno ‘maschile’ ha spesso fatto – ma rileva la differenza e l’affermazione di entrambi proprio nell’incontro e nell’unione dei corpi e dei desideri.

Anche in Italia è nata e si sta affermando questa tendenza grazie all’operazione del collettivo Le Ragazze del Porno che, attraverso una strategia di finanziamento crowdfunding, ha prodotto una serie di opere, che stanno cominciando a circolare nell’ambito di importanti festival di cinema [fig. 1].

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‘Essere (almeno) due’, e quindi anche sette, dieci o dodici… Sono questi i numeri del collettivo Le Ragazze del Porno, un gruppo di registe italiane unite nell’obiettivo di produrre in Italia dei film porno-erotici al femminile. L’idea nasce prendendo spunto da un articolo del 2011, a firma della giornalista Tiziana Lo Porto, dedicato alla raccolta dei corti pornografici femministi Dirty Diaries, diretti dalla regista svedese Mia Engberg, prodotti in Svezia nel 2009 e finanziati dal governo. A supporto di questo progetto cinematografico anche un manifesto di dieci punti a favore della libertà sessuale delle donne, che Le Ragazze del Porno italiane fanno proprio. «Difendi il diritto di essere eccitata alla tua maniera», senza adattarti ai bisogni degli uomini, è il punto due, mentre il punto sette incita a combattere «il vero nemico!», ovvero la censura, perché, fino a quando le immagini sessuali resteranno dei tabù, anche la rappresentazione delle donne non cambierà.

È proprio intorno alla riflessione sulla rappresentazione delle donne che il progetto Le Ragazze del Porno diventa realtà, grazie all’interesse e alla curiosità che l’articolo di Tiziana Lo Porto suscita nella regista Monica Stambrini, che ricorda:

Così Monica Stambrini e Tiziana Lo Porto iniziano a contattare altre autrici e registe per coinvolgerle nel progetto. Sono loro quindi le ‘almeno due’ che, in coppia e ispirate da una terza donna, la regista svedese Mia Engberg, hanno avuto il coraggio di unirsi e dare vita al collettivo Le Ragazze del Porno, che oggi è diventato un vero e proprio movimento. Mara Chiaretti, Anna Negri, Regina Orioli, Titta Cosetta Raccagni, Lidia Ravviso, Emanuela Rossi, Slavina, Roberta Torre, Erika Z. Galli e Martina Ruggeri sono le registe che vi hanno aderito, tutte tra i 25 e i 75 anni con esperienza nel cinema indipendente e mainstream, nel teatro, nella televisione e nella video arte [fig. 1].

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La storia che vorrei raccontare è una storia di collaborazioni e lavoro di gruppo. Inizia negli anni Ottanta, prosegue fino ad oggi e si sviluppa da un collettivo di artisti a una coppia di artiste, da Correnti Magnetiche a Pigreca. È una storia di pionieri e pioniere delle immagini in movimento e in particolare delle audio-visioni digitali: anzi, all’inizio siamo proprio sulla soglia, negli anni esplorativi di quelle tecnologie ancora non diffuse e soprattutto allora inesistenti al di fuori dei primi utilizzi operativi e concreti.

Il gruppo Correnti Magnetiche nasce a Milano nel 1985 ed è uno dei gruppi che caratterizzano la scena indipendente italiana, tradizione che ha radici nel campo del cinema e del video di controinformazione già in anni e decenni precedenti. Nel campo delle immagini elettroniche ‘innovative’ a Milano, nel 1982, era nato il gruppo di Studio Azzurro e a Firenze nel 1984 quello dei Giovanotti Mondani Meccanici, per fare solo due esempi di rilievo. La peculiarità di Correnti Magnetiche è quella di esplorare, prima di altri, le modalità artistiche delle tecnologie e dei software digitali (fra cui i primissimi programmi per le immagini tridimensionali), anche nelle relazioni musica-immagine. Ricerca incarnata dalle diverse provenienze degli iniziatori del gruppo: Adriano Abbado (musica elettronica e arte digitale), Mario Canali (di formazione pittore), Riccardo Sinigaglia (architetto e musicista). Il gruppo si arricchisce poi con altri apporti fra cui quello di Stefano Roveda (anche per la realtà virtuale), nel 1986 di Flavia Alman (studi in lingue, cinema e immagine pubblicitaria ma anche pittrice e scultrice) e di Sabine Reiff, nata e cresciuta in Germania, con formazione in economia aziendale, e specialista, nel gruppo (cui si unisce nel 1989), di sviluppo di software per applicazioni grafiche e interattive. Questi e altri nomi formano un insieme – intorno al quale ruotano collaboratori e collaboratrici diversi, a seconda delle opere e delle iniziative – in cui dialogano musica, informatica, pittura, grafica, teoria e tecnologia, e che di fatto, volendo sintetizzare, apre la strada in Italia alla computer grafica d’artista. Un tipo di computer grafica che sa dialogare con la ricerca internazionale (a partire dai pionieri del computer film negli USA) ma anche con la tradizione figurativa antica e moderna. Fra memoria e futuro, citazione e astrazione. E con grande attenzione a una creazione musicale originale.

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Abstract: ITA | ENG

Sulla base di una ricerca d’archivio in corso, il saggio avanza alcune riflessioni preliminari sul trattamento che la censura cinematografica dell’Italia repubblicana ha riservato alla rappresentazione dell’omosessualità, dall’iniziale vagheggiamento di un divieto assoluto al subentrare di più complesse negoziazioni a partire dalla fine degli anni Cinquanta, fino al profilarsi di una possibile riabilitazione del soggetto.

This essay presents first results of an ongoing archival research on homosexuality and Italian cinema in the after war period. It analyses how film censorship dealt with the representation of homosexuality, first trying to interdict it and then, from the late 1950s, negotiating its depiction in more refined manners, eventually envisaging the possibility of withdrawing it from the list of forbidden topics since the early 1970s.

 

A partire dal secondo dopoguerra, lo sforzo della censura di contrastare la diffusione di contenuti cui viene applicata la terminologia sinonimica oscenità/pornografia/immoralità investe un territorio esteso di soggetti e di materiali, in cui il cinema rappresenta un tassello centrale ma non esclusivo. Si può ricavare un’idea di tale estensione da un fascicolo della Presidenza del Consiglio dei Ministri, intestato «Pubblicazioni immorali»,[1] in cui sono inclusi incartamenti relativi al primo decennio del dopoguerra: riviste illustrate, teatro, televisione, arte (sotto accusa i disegni di Salvador Dalì per la Divina Commedia commissionati nel 1949 dal Poligrafico dello Stato) e persino decalcomanie da «applicare a moto-scooter e calendarietti». E ovviamente il cinema: un sottofascicolo riguarda il divieto d’importazione della rivista Paris-Hollywood (che tra il 1947 e il 1973 con il cinema intrattiene per la verità un rapporto piuttosto pretestuoso, sfruttando quali pin-up per le sue copertine attrici americane frammiste a una miriade di modelle anonime); un secondo riguarda invece la proiezione di film propriamente pornografici, nel corso di serate clandestine organizzate da privati in casa propria (ma anche nella sala di una gelateria, dopo l’orario di chiusura) grazie alla compiacenza di un operatore che prestava competenze e pellicole, a sua detta senza scopo di lucro. L’irruzione della polizia, organizzata a seguito della segnalazione di un quotidiano romano, ha esiti tragicomici: si scontra infatti con l’impossibilità di procedere al preventivato arresto di tutti i convenuti (uomini e donne), a causa della presenza fra il pubblico di «membri del Corpo Diplomatico e personalità politiche».[2]

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C’è un momento, all’inizio del secondo volume di Nymph()maniac di Lars von Trier, in cui Joe (Charlotte Gainsbourg) arresta il suo flusso di coscienza sessuale e inchioda il povero Seligman (Stellan Skarsgård).

Lo fissa dal letto in cui l’avevamo lasciata nel primo volume e solo allora capisce la verità: Seligman non si eccita per le sue peripezie sessuali, per i vestiti ‘scopami subito’, per il meccanico che le prende su richiesta la verginità, per la ‘sensazione’ che può dare una corda in palestra. Seligman si eccita per le combinazioni numeriche, per il 3+5 che appare sullo schermo in entrambi i volumi a marcare una rottura, un passaggio, che appare, così quantificato, più simbolico che reale. Seligman si eccita per la serie di Fibonacci – che molti in sala, finalmente, sentono di avere capito –, per Bach e la sua polifonica matematica, che ci regala uno dei più armonici split screen della storia del cinema. Seligman insomma si eccita per le ‘slides’ di Lars von Trier, per quel saggismo che informa e sovraccarica, con ironia, il film quasi a fare il verso alla struttura invece volutamente saggistica di quest’opera, per l’appunto, in due volumi.

Seligman non può eccitarsi per nient’altro perché è vergine, non conosce donna – né uomo, ci tiene ad aggiungere – e dunque astrae, sublima, traccia coordinate auree che vorrebbero trovare il senso della ninfomania di Joe, che trasformano la sua ‘maxima vulva’ in una sorta di apocalisse, figura della condizione umana. Seligman dice di essere vergine e, subito dopo, causalmente, di essere innocente.

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This essay is aimed to demonstrate the need for an ethical and theoretical approach to contemporary pornography by analysing a group of essays that have been published in Italy since 2003. The first paragraph is a survey on the history of porn movies and the porno-critical debate; the second paragraph dwells on the theoretical consequences of the mixture of real and fictional in sex scenes; the third paragraph is devoted to the debate on the pornographic representation of women; the forth paragraph examines three possible methodological solutions for a relationship between porno-criticism and comparative literature: the pornographic topos as a thematic issue, the pornographic construction of plot as a narrative mode, the pornographic metaphor as a key to understand contemporary life

Eccoti poi otto sospiri ad un tratto, usciti dal fegato, dal polmone, dal core e dall'anima del reverendo e cetera, dalle suore e dai fraticelli, che ferno un vento sì grande che avrieno spenti otto torchi; e sospirando caddero per la stanchezza come gli imbriachi per il vino. E così io che era quasi incordata per il disconcio del mirare, mi ritirai destramente, e postami a sedere, diedi uno sguardo al cotale di vetro.

Pietro Aretino, Ragionamento della Nanna e della Antonia

Questo contributo prende origine dalla curiosità sorta di fronte al recente apparire di vari studi in lingua italiana dedicati alla pornografia: che cosa ci segnala questo fiorire di porn studies e connessi? E a proposito di che cosa: della nostra società, della nostra sessualità, della nostra facoltà immaginativa? E, dal punto di vista teorico, può la pornocritica stimolare una riflessione sui metodi e sugli obiettivi della letteratura comparata? A ben vedere, si tratta di questioni che già di per sé sono spia dell’orizzonte in cui dobbiamo muoverci per tentare di rispondere: nel passaggio da un settore specifico, sia esso letterario, figurativo o cinematografico, al mare magnum del culturale. Interrogare la pornocritica si inserisce infatti in quel confronto trasversale tra codici e linguaggi dell’immaginario tipico dei nostri anni, segnati da intrecci e contaminazioni di ambiti e livelli di fronte ai quali, tuttavia, non si dovrebbe rinunciare alla problematizzazione etica e al giudizio di valore estetico: in una parola, alla critica, per quanto curiosa e spregiudicata essa possa essere.

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