1. Francesco Cairo e i segreti della carne
Il battesimo ufficiale di Testori come critico d’arte avviene sul numero 27 di Paragone (1952), la rivista di Roberto Longhi. Testori si è già occupato di pittura, fin da giovanissimo: ha scritto su Dosso Dossi nella rivista del GUF bolognese, ha scritto su Leonardo e Giorgione in una rivista forlivese (Pattuglia), e di qui a pochi mesi, sempre su Paragone, pubblicherà il primo discorso critico su Ennio Morlotti, l’artista contemporaneo a lui più caro.
Ma ora, sia per l’argomento – il pittore lombardo Francesco (del) Cairo – sia per il piglio del saggio, sembra che l’impegno vada nella direzione esplicita di critica d’arte impostata su una scrittura fortemente espressiva, secondo il modello longhiano. In realtà il saggio ancor oggi si rivela un tour de force stilistico e interpretativo, tanto che – volendo ripercorrerlo – bisogna tener presente che è un discorso magmatico che affonda, e si nutre, nel magma pittorico. La scrittura vuole essere l’equivalente della materia pittorica.
Testori conduce il suo ragionamento su due livelli, che continuamente interagiscono uno sull’altro: un livello di ‘critica’ tradizionale (formazione del pittore, modelli, evoluzione) e un livello di interpretazione più ampia, avvolgente, dove il Cairo diventa l’esempio di una prospettiva che riguarda il fare artistico in senso generale, anzi potremmo dire un’idea stessa di pittura. E da qui questa idea si evolverà, saggio dopo saggio, intervento dopo intervento, per tutto il percorso di Testori critico d’arte.