Conoscevo alcuni lavori del coreografo e della compagnia Karas, e insieme a colleghi e colleghe del corso DAMS di Padova avevamo individuato nel suo lavoro una possibile tappa di un progetto pluriennale e interdisciplinare.[1] E difatti Teshigawara, che inizia il suo percorso artistico come artista visivo, si confronta via via con una molteplicità di linguaggi e generi: dalla danza alle installazioni, dal cinema al teatro d’Opera, oltre a portare avanti una importantissima attività pedagogica; ha fondato a Tokyo Karas Apparatus,[2] centro di creazione artistica e trasmissione.
Non sorprende che nelle sue opere per la scena rifluiscano pratiche e linguaggi diversi: ne cura costumi, scenografie, luci, scelte musicali.[3] La luce, senza dubbio insieme al gesto motivo portante del suo processo creativo, costituisce spesso anche la zona osmotica tra i vari linguaggi; pensiamo alla scena di Kazahana (2004, Fiore nel vento grossomodo la traduzione): una struttura di elementi verticali che diventa una sorta di sipario di luce[4] simile ad una installazione.
Teshigawara enumerando i suoi interessi fa riferimento anche alle peculiarità dei singoli linguaggi. Al ‘restare’ della scultura (cita Rodin) compara l’inarrestabile movimento del corpo vivente. Nel suo lavoro coreografico in più occasioni la velocità con la quale si susseguono i movimenti ci è apparsa come sfarfallio dell’immagine nella luce, nell’impossibilità per il nostro sguardo di fermarla.