Categorie



Questa pagina fa parte di:

Abstract: ITA | ENG

Negli anni Sessanta si assiste a una radicale trasformazione che investe non soltanto la politica e gli assetti sociali, ma anche la riflessione e i processi artistici. Sul fronte delle arti figurative e della dimensione scenica – ma anche del cinema, della musica, della letteratura – va maturando una crescente esigenza di rifondazione, che sfocia nel sovvertimento dei tradizionali canoni estetici e in una progressiva caduta – se non in un vero e proprio collasso – dei confini linguistici. Sempre più specifici diversi entrano in dialogo, confondendosi e contaminandosi; sempre più spazi con destinazioni differenti diventano luoghi di incontro e di scambio osmotico tra linguaggi codificati. Tale fermento attraversa l’intera penisola, interessando geografie diverse; a Napoli, in particolare, si assiste alla fioritura di esperienze estremamente significative che spaziano tra arti visive e teatro. Molti sono i luoghi in cui questi due specifici si incontrano e interagiscono, alimentando dinamiche artistico-operative giocate su un’estetica interdisciplinare. Molte sono le gallerie o le cantine che si aprono al confronto con le suggestioni provenienti da altri ambiti disciplinari. Il presente saggio si propone di tracciare una sorta di ‘cartografia’ di alcuni luoghi napoletani in cui prende forma questo processo di ‘riunificazione’ delle arti attraverso proposte e tentativi di rinnovamento che gradualmente andranno a definire un nuovo sistema linguistico.

The radical transformation of the Sixties affected not only politics and social structures, but also artistic thought and processes. On the front of the figurative arts and the scenic dimension - but also of cinema, music, literature - a growing need for refoundation emerges, which leads to the subversion of traditional aesthetic canons and a progressive fall – if not a total downfall – of linguistic boundaries. More and more different specific linguistic codes interact, becoming mixed and contaminated; more and more spaces with different functions become places of encounter and osmotic exchange between codified languages. This ferment crosses the entire country, affecting different geographies; in Naples, in particular, it produced the flowering of extremely significant experiences ranging from visual arts to theatre. There are many places where these two specific codes meet and interact, fuelling artistic-operational dynamics played on an interdisciplinary aesthetic. And many galleries or ‘cantine’ open up to the confrontation with suggestions coming from other subject areas. The aim of this essay is to trace a sort of ‘cartography’ of some Neapolitan places in which this process of ‘reunification’ of the arts takes shape through proposals and attempts at renewal that will gradually define a new linguistic system.

1. Gli spazi ‘di frontiera’ dell’arte

1960. Napoli, Via San Pasquale a Chiaia, 43: Renato Bacarelli, insieme con i fratelli Armando e Arturo Caròla, apre la Galleria Il Centro.

1963. Napoli, Via Port’Alba, 20/23: nell’ambito della Libreria-Galleria Guida viene inaugurata la Saletta rossa.

1965. Napoli, Parco Margherita, 85: Lucio Amelio inizia la sua attività di gallerista dando vita alla Modern Art Agency.

Sono solo alcuni dei luoghi che segnano la geografia culturale napoletana nella prima metà degli anni Sessanta. Una geografia dai confini spesso molto precisi: quasi tutti questi spazi si trovano entro un perimetro piuttosto circoscritto, un’area compresa tra Chiaia e Port’Alba.

Attorno a questi luoghi si riuniscono artisti visivi, architetti, uomini di teatro, poeti, critici, giornalisti alimentando incontri e sperimentazioni, dibattiti e discussioni, conversazioni e polemiche. Che si tratti di gallerie, librerie o cantine, l’idea comune è interrogarsi sul fare artistico, verificando il rinnovamento linguistico che, nel decennio in questione, sta investendo tutti campi dell’estetico, prima e a prescindere dal singolo specifico. In questi luoghi, anzi, costante risulta la fluttuazione tra codici diversi, la contaminazione e lo sconfinamento – più o meno consapevole – tra esperienze e ambiti disciplinari differenti.

Sulla scia di quanto sta accadendo a livello nazionale ed internazionale,[2] anche a Napoli, tra gli anni Sessanta e gli anni Settanta, si assiste a un processo di ibridazione performativa delle arti, influenzato anzitutto dall’Happening. In tal senso, cambia progressivamente il modo di fare pittura nella misura in cui si verifica un rifiuto della cornice e del quadro in favore di una sorta di ‘teatralizzazione’; parallelamente, la scena tende sempre più ad assorbire e far propria la lezione delle arti visive, privilegiando, tra l’altro, la dimensione iconica e l’elemento fisico-gestuale a discapito del testo letterario. Al contempo, avviene un graduale superamento della compiutezza dell’opera d’arte in quanto oggetto nonché del tradizionale rapporto con l’osservatore/spettatore, chiamato ora a svolgere un ruolo più attivo. Questa tensione innovativa interessa in primo luogo le arti figurative; come osserva Marta Porzio,

* Continua a Leggere, vai alla versione integrale →

Categorie



Questa pagina fa parte di:

La sfida cinematografica, forse ancora più ardua di quella drammaturgica, propone una valida rilettura complessiva della biografia leopardiana, frutto di un accurato lavoro preparatorio condiviso con bravi interpreti, primo tra tutti Elio Germano, davvero eccellente nel ruolo del protagonista.

Il tono complessivo del film è di profondo rispetto verso uno dei più grandi poeti italiani e infatti l’attenzione al Leopardi-uomo dà sì spazio alle sue fragilità e debolezze soprattutto corporee (efficaci i cenni alle idiosincrasie alimentari e igieniche di Giacomo), ma senza mai infierire troppo sulle sue miserie umane. Di contro, Martone, coadiuvato nella sceneggiatura da Ippolita di Majo, mostra di aver ben colto molti nodi cruciali della pur contraddittoria Weltanschauung leopardiana, a cominciare dal netto rifiuto dell’angusta etichetta di ‘pessimismo’ entro cui racchiudere il multiforme pensiero del poeta, sino ad arrivare alla valorizzazione della costante aspirazione all’infinito più volte richiamata nel film. Nelle prime scene è soltanto suggerita attraverso musica e immagini; poi diviene esplicita nella recitazione intimista e sommessa della celebre poesia del 1819 proposta da Germano, fino all’efficace resa filmica della «vertigine cosmica» durante la conclusiva lettura de La ginestra.

Le scelte registiche insistono volentieri sulla componente rivoluzionaria insita nel pensiero del Recanatese (il grido ribelle di Leopardi-Germano: «Odio questa vile prudenza che ci agghiaccia e lega e rende incapaci di ogni grande azione» è già un cult) che si mostra in grado di sfidare i dettami del padre ed è anche capace di superare i suoi stessi limiti fisici quando qualcosa gli sta veramente a cuore (ad esempio trovando la forza di correre incontro a Pietro Giordani al suo arrivo a Recanati).

* Continua a Leggere, vai alla versione integrale →