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Il saggio è un primo stimolo alla riflessione sulle forme e le strategie della museologia d’opera per i musei del XXI secolo attraverso il caso studio del Museo Zeffirelli a Firenze. Esso ripercorre la nascita e gli obiettivi del patrimonio del regista, scenografo e costumista fiorentino, rimessi in ‘opera’ dal 2015 dalla Fondazione Zeffirelli Onlus e dal nascente Centro Internazionale per le Arti e lo Spettacolo realizzato all’interno del Complesso di San Firenze nella città natale. Archivio, museo e scuola, esso lavora oggi in maniera complementare alla trasmissione della sua opera divisa fra cinema, teatro e opera. Partendo dal riconoscimento dei rapporti legati alla cultura visuale dell’artista si analizzano qui le strategie espositive e le attività legate ai percorsi operistici.

This paper aims to stimulate a reflection on the museology of opera during the 21st century through the study case of the Zeffirelli Museum in Florence. The essay analyses the birth and the objectives of the heritage collected by the director, set and costume designer. They are reused since 2015 by the Fondazione Zeffirelli Onlus and the International Centre for the Arts and the Performing Arts, set up inside the Complesso di San Firenze in his hometown. As an integrated archive, museum, and school, it now works on the transmission of his heritage divided between cinema, theatre and opera. For this reason, the analysis starts from the recognition of the visual culture embedded inside the opera paths and exhibition activities of the intermedial museum.

La vita non è che un continuo passaggio di esperienze,

da una generazione all’altra: prima imparare e poi insegnare

a chi viene dopo di noi.

Franco Zeffirelli

1. Dai materiali d’archivio al museo intermediale

Messa in movimento, trasmissione e ricezione di un’esperienza molteplice sono i motivi guida espressi dal regista fiorentino Franco Zeffirelli a proposito della raccolta (durante la sua vita) e della destinazione di una serie di materiali legati alla propria attività e all’arte dello spettacolo in toto. Votandosi a questi principi, ha promosso con forza il riconoscimento di quest’insieme patrimoniale come ‘vivente’, non solo per l’azione di conoscenza storica che esercita nel presente verso il futuro ma, si legge tra le righe del suo pensiero, per la capacità di accogliere e far percepire i caratteri stessi della vita e delle arti.

Dal 2015 parte di questi materiali[1] sono gestiti e rimessi in opera a Firenze dalla Fondazione Zeffirelli Onlus, nata in quell’anno proprio con l’obiettivo di «promuovere la cultura e l’arte, attraverso la tutela e la valorizzazione di beni di interesse artistico e storico».[2] Sulla scorta del pensiero dell’artista, l’istituzione ha destinato i propri spazi all’incontro, lo studio e la produzione artistica attraverso il patrimonio zeffirelliano.

Così nella città natale dell’artista, all’interno del Complesso di San Firenze, nel corso del 2015 è stato istituito il CIAS - Centro Internazionale delle Arti dello Spettacolo,[4] che oggi ospita e anima al suo interno un archivio, una biblioteca, un museo, una sala musica da centocinquanta posti che funge anche da spazio di proiezione ed esposizione (nello splendido ex oratorio dei padri filippini caratterizzato da alcuni palchi laterali che ne fanno quasi un teatro), un bookshop, alcune aule dedicate alla didattica (ma tutti gli spazi sono riutilizzati in tal senso), laboratori e un’area ristorativa. In questi spazi si svolgono un insieme di attività formative, artistiche e di progettazione. Le diverse parti, che includono anche la direzione curatoriale, sono pensate come sezioni complementari di uno stesso corpo, sia per gli scambi tra biblioteca, archivio e museo (anche in termini di visite guidate dedicate), sia e soprattutto per gli ulteriori percorsi che fruitori e studiosi possono attivare autonomamente passando da una parte all’altra.[5]

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L’interesse di Elsa Morante per il medium cinematografico era noto sin dai tempi delle sue collaborazioni ai film di Pasolini, da Accattone (1961) a Medea (1970); in più, già nel 1988, grazie alla Cronologia presente nel primo Meridiano, si era riannodata la memoria della rubrica radiofonica Cinema. Cronache di Elsa Morante, trasmessa dall’inizio del 1950 al novembre del 1951. Con Morante e il cinema (ETS, 2014) si apre però tutto un nuovo capitolo della questione, in primo luogo grazie ai materiali riportati alla luce da Marco Bardini, studioso che fin dal seminale Morante Elsa. Italiana. Di professione poeta del 1999 ha supportato il lavoro interpretativo sulla scrittrice con il recupero di testi inediti oppure dispersi in pubblicazioni d’occasione o sedi eccentriche.

Dopo una premessa sulle ragioni della ricerca e un capitolo dedicato alla deludente trasposizione cinematografica di Damiano Damiani dell’Isola di Arturo nel 1962, il volume alterna i capitoli critici di Bardini alla trascrizione delle carte di Morante, che testimoniano di un rapporto con il cinema tutt’altro che episodico. Innanzitutto scopriamo che, al di là del giovanile Il diavolo, non più che un abbozzo ispirato ad alcuni racconti del periodo, Morante scrisse, rispettivamente con Alberto Lattuada e Franco Zeffirelli, due trattamenti cinematografici non andati a buon fine e rimasti sinora inediti: Miss Italia (1949) e Verranno a te sull’aure… (circa 1951-1952). Le ragioni della mancata realizzazione dei due progetti sembrano di segno quasi opposto. Miss Italia si configura come un film «indiscutibilmente e profondamente lattuadiano» (p. 73) in cui l’apporto di Morante si misura soprattutto nella declinazione narrativa del soggetto, di Lizzani oltre che del cineasta lombardo, e nella «costruzione del personaggio di Anna» (ibidem), che al termine del suo percorso di formazione preferirà il lavoro in fabbrica alle chimere del successo. Proprio per il realismo con cui il film avrebbe dovuto affrontare l’immersione di una giovane di provincia nel circo del celebre concorso di bellezza, mito intoccabile dell’Italia del dopoguerra, il produttore Carlo Ponti non ebbe fiducia nella «lezione di Lattuada sulla “verità” che sa uscire dalla “favola”» (p. 126); ciò non gli impedì, però, di sfruttare l’idea dell’ambientazione concorsuale per finanziare una versione rosa della storia che fu affidata al ben più rassicurante Duilio Coletti e uscì nel 1950 mantenendo il titolo Miss Italia. Riguardo invece alla collaborazione con Zeffirelli – non l’ultima, dato che Bardini dimostra come sia da ascriversi alla penna morantiana, per quanto non accreditata, il testo italiano del canto del menestrello Leonardo alla festa dei Capuleti in Romeo e Giulietta (1968) –, incisero nella rinuncia alla sua messa in atto i molteplici impegni del regista fiorentino, ma certo ebbe un peso anche la qualità melodrammatica, da opera buffa, del soggetto, imperniato sulle coincidenze e sugli equivoci amorosi creati da due fanciulle, Angela e Pinuccia, pressoché identiche nell’aspetto ma diversissime nel carattere: vanesio soprano veneziano la prima, timida pianista pugliese la seconda. Una voce off avrebbe dovuto introdurre la vicenda affermando come, nonostante l’apparente inverosimiglianza, si trattasse di una storia realmente accaduta, ma senza dubbio l’intreccio stride sia con il predominante clima neorealista del periodo sia con il macchiettismo incipiente della nuova commedia italiana, spesso avversata da Morante nelle recensioni radiofoniche del periodo.

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