C’è un elemento di ambiguità nell’uso della musica e della vocalità musicale nel cinema di Pasolini. Come ebbe modo di dichiarare, Pasolini non era un grande esperto di musica, eppure il ruolo che il regime musicale riveste nei suoi film è decisivo, necessario, quasi fosse del tutto connaturato all’immagine stessa. Scrive infatti ne La musica del film: «le immagini cinematografiche, riprese dalla realtà, e dunque identiche alla realtà, nel momento in cui vengono impresse su pellicola e proiettate su uno schermo, perdono la profondità reale, e ne assumono una illusoria». È solo la fonte musicale «che non è individuabile sullo schermo, e nasce da un “altrove” fisico per sua natura “profondo”» a sfondare «le immagini piatte, o illusoriamente profonde, dello schermo, aprendole sulle profondità confuse e senza confini della vita» (Pasolini 1979, pp. 114-115).
La musica è dunque una componente necessaria e dialettica dell’immagine cinematografica perché le consente di aprirsi alla vita, trasformando il suo rispecchiamento mimetico in un vero e proprio dispositivo totalizzante in grado di dare conto delle componenti noumeniche e fenomeniche del reale. È un aspetto decisivo della poetica pasoliniana che emerge chiaramente dall’uso che il regista fa, per esempio, del repertorio operistico ne La ricotta (1963) e Uccellacci e uccellini (1966). Se in Accattone (1961) e ne Il Vangelo secondo Matteo (1964) la colonna musicale seguiva uno sviluppo interamente orientato verso un’autocoscienza della realtà stessa nell’immagine – si pensi all’uso enfatico e ripetuto della Matthäus passion di Bach in Accattone o della Maurerische Trauermusik di Mozart nella scena della crocifissione del Vangelo –, con La ricotta l’opera lirica entra per la prima volta nel repertorio pasoliniano in chiave interamente dialettica, in funzione di una totalizzazione in cui ciò che l’immagine mostra assume senso proprio a partire dal suo accompagnamento sonoro. È la melodia manipolata e stilizzata di «Sempre libera degg’io» da La traviata di Verdi a commentare beffardamente la corsa tragica all’acquisto della ricotta di Stracci, e poi la scena del banchetto fino alla sua morte sulla croce ne La ricotta [fig. 1]. La ‘libertà’ di Traviata di «folleggiar di gioia in gioia» diventa quella, rovesciata, di Stracci di correre libero nella campagna romana del set del film sulla passione di Cristo. Il brano musicale, in altre parole, costruisce con il visibile dell’immagine un vero e proprio rapporto dialettico, perché ne commenta in modo contrastivo e oppositivo l’azione (il dramma della morte di Stracci) portandola a quel livello di significato che non potrebbe appartenere semplicemente al suo registro visivo.