Insondabile abisso / ove bellezza nasce da sconcezza, / da efferata dismisura la misura, / da disgrazia / la grazia.

G. Testori

 

«Io, critico – veramente – critico, mai fui; né, tanto meno, lo risulto e lo sono, adesso». Così dichiara Giovanni Testori in quella prefazione sui generis che introduce il pregiato libro edito da Franco Maria Ricci nel 1989 in riferimento alle «schede-poematiche» o «schede-versicoli», recentemente ripubblicate per i Classici Bompiani, che accompagnano le diverse raffigurazioni della Maddalena, dando vita a un singolare percorso, a un «maddalenesco tragitto», che si dispiega attraverso il dialogo tra immagini e parole.

Queste originali critiche in forma di poesia trovano posto nell’ultimo volume delle Opere (Vol. 3, Classici Bompiani, Milano, 2013) accanto agli scritti venuti alla luce tra il 1977 e il 1993, anno della morte dell’autore, fino ad oggi difficilmente reperibili, trattandosi di testi inediti o pubblicati soltanto in una prima edizione, come nel caso di quelli che introducono cataloghi d’arte, plaquettes, edizioni a tiratura limitata, e che qui ci interessano.

Testori non abbandona la forma del saggio, all’apparenza canonica, tuttavia non può fare a meno di trasformarla, per una sorta di necessità esistenziale, in un racconto-incontro di cui egli resta sempre, quantomeno, attore co-protagonista. Nella sua ricerca di umane consonanze non può sfuggire al bisogno di avere con l’opera e l’artista un contatto quasi carnale, un ‘corpo a corpo’, indispensabile per giungere ad una comprensione che sia davvero profonda, eppure, da critico, non è mai dimentico dei fatti concreti dell’arte, rifuggendo da astratte generalizzazioni, memore anche dell’insegnamento longhiano.

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Il 10 ottobre del 1959 sulle pagine di «Vie Nuove» Pasolini firma un articolo (La colpa non è dei teddy boys) in cui prende posizione sul fenomeno dei teddy boys, avviando quella lunga inchiesta sulla nuova gioventù che lo condurrà nei decenni successivi alla polemica sui i fatti di villa Giulia, al Discorso dei capelli e poi giù fino a Petrolio e a Salò. L’occasione è data dal convegno sul disagio giovanile che si era tenuto a Venezia a settembre di quello stesso anno e che pare offrire a Pasolini, non per i risultati dei lavori ma come fatto in sé, la spiegazione del caso in questione. La «presunzione pedagogica», la «cecità reazionaria», lo «sciocco paternalismo», la «superficiale visione dei valori» e il «represso sadismo» della società italiana messi a fuoco in quella sede sono a suo parere la causa della presenza in tante città di «una gioventù insofferente e incattivita». Pasolini riprende e fa sue le osservazioni di Musatti, che sottolinea la natura conformista, borghese e moralistica della ribellione dei giovani. Analizza poi le differenze della «gioventù traviata» del Nord e del Sud del nostro paese evidenziando la dimensione moralistica e borghese dei teddy boys, «prodotto della società neocapitalistica irrigidita moralisticamente nelle sue sovrastrutture» dell’Italia settentrionale. In altra occasione scriverà: «i teddy boys sono numericamente proporzionali agli elettrodomestici: là dove non è reperibile nemmeno un elettrodomestico non è sicuramente reperibile nemmeno un teddy boy» («Nuova generazione», 21 novembre 1959). In realtà, però, l’interesse sociologico di Pasolini non si può scindere del tutto dalla passione per l’universo giovanile, che è la matrice originaria dei tanti ritratti e delle tante storie friulane e romane che popolano i suoi versi, i suoi romanzi e i suoi primi film. È all’interno di questo contesto che va collocata, infatti, la stesura della sceneggiatura della Nebbiosa, realizzata nel 1959 su commissione del produttore milanese Tresoldi, il quale poi decise di non utilizzarla per il film Milano nera, diretto nel 1963 da Gian Rocco e Pino Serpi. Il testo, per la prima volta proposto nella sua versione integrale dal Saggiatore (a cura di Graziella Chiarcossi, con la prefazione di Alberto Piccinini e la nota al testo di Maria D’Agostini), aggiunge un tassello importante al capitolo altrettanto significativo dell’apprendistato pasoliniano della scrittura per il cinema e offre un inedito ritratto della gioventù milanese degli anni Sessanta.

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