Nel saggio (da cui è tratto il titolo di questa edizione di FASCinA) che costituisce una rielaborazione del discorso tenuto nel 1931 presso la Women’s Service League, Virginia Woolf sostiene che l’impasse più significativa della sua esperienza di scrittrice riguarda, oltre che la difficoltà di dire la verità sul suo corpo e sulle sue passioni, la sopravvivenza di un modello di femminilità incarnato dal fantasma dell’angelo del focolare che lei ha tentato di uccidere ogni volta che ha preso la penna in mano. Queste pietre d’inciampo si ripresentano secondo lei ad ogni donna che prova a fare della scrittura (romanzesca o giornalistica) un mestiere e riappaiono in tutta la loro ingombrante presenza malgrado le conquiste ottenute nel tempo. Rivolgendosi alle sue interlocutrici Woolf conclude, infatti, sottolineando la necessità di continuare a lavorare in quella direzione:
Richiamando l’immagine della ‘camera tutta per sé’, Woolf pone nuovamente la questione dell’agency delle donne proiettandola nella dimensione dello spazio, evidenziando la necessità di impegnarsi con cura negli ‘arredi’, nelle ‘decorazioni’, cioè nella traduzione visiva e architettonica della configurazione dei luoghi appena acquisiti. Insistendo proprio su questa figurazione iconica della conquista di una libera espressione della soggettività femminile si intende condurre una preliminare e sommaria esplorazione degli intrecci fra rappresentazione delle donne che amano altre donne e costruzione filmica dello spazio domestico, nell’intento di mettere a fuoco la sovrapposizione del fantasma dell’angelo del focolare e quello delle varie apparizioni di personagge lesbiche nel cinema contemporaneo, evidenziando metamorfosi, sopravvivenze stereotipiche e nuove immagini di libertà che si confrontano con la problematicità della visibilizzazione di soggetti imprevisti.