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Ludovico Ariosto, Orlando Furioso, Illustrazioni ed interpretazione grafica con testo e firma autografa di Riccardo Bacchelli e incisioni originali di: Giuseppe Ajmone, Enrico Baj, Arturo Carmassi, Bruno Caruso, Bruno Cassinari, Luciano De Vita, Franco Gentilini, Giuseppe Guerreschi, Giuseppe Migneco, Luciano Minguzzi, Franco Rognoni, Aligi Sassu, Milano, La Spirale, 1979

Il cenacolo de «La Ronda» è stato certamente, dopo la prima Guerra, uno dei più vivaci focolai dell’amore novecentesco per il Furioso e Riccardo Bacchelli, in quegli anni ancora conteso tra la poesia, il teatro e la passione che sarà poi predominante per la narrativa, fu da allora tra i più fedeli seguaci di Ariosto nella contemporaneità letteraria italiana. Come notò Gadda, altro ‘ariostesco’ d’eccezione, il grandioso épos de Il mulino del Po deve molto alle ottave del capolavoro rinascimentale, e basta scorrere i titoli della sua saggistica, quasi tutta dedicata al «poeta della poesia», per confermare il legame di Bacchelli con Ariosto, omaggiato per l’anniversario del 1974 con un ulteriore tardo contributo apparso accanto a quelli di Borges e Calvino su «Italianistica». Uno degli episodi più interessanti di questa lunga passione è costituito da una cartella di incisioni originali dedicate al Furioso raccolte a Milano nel 1979 presso la galleria La Spirale, che affidò proprio a Bacchelli, la cui firma autografa è impressa su ogni esemplare, la cura del testo introduttivo. I dodici artisti coinvolti, ognuno impegnato con una tavola, appartengono a orientamenti visuali diversi a volte in netto contrasto: se, ad esempio, l’espressionismo figurativo di Giuseppe Migneco – in quegli anni già decisamente associato al realismo socialista – intaglia il corpo candido di una formosa Angelica sulle vesti nere dell’eremita pronto ad assalirla nel sonno, con il suo eclettico ‘antistile’ post-surrealista Enrico Baj immagina una rossissima Angelica buffa e nasuta, distinta dal suo Medoro anche lui monocromo (ma verde) nel forte stacco tra i colori primari. Non è chiaro quanto Bacchelli abbia contribuito alla selezione degli illustratori ma è certo che alcuni, come Gentilini e Sassu, avevano già tratto dal poema di Ariosto l’ispirazione per altri lavori. Il primo, proprio negli stessi mesi impegnato nella realizzazione di una rara cartella di incisioni sul canto xxviii, ricorre al suo classico motivo architettonico ispirato alle città e alle cattedrali dipinte nel tardo medioevo e nella prima modernità per disegnare un paradiso urbano cinto da mura alla cui soglia, armato e accompagnato dall’ippogrifo, si avvicina Ruggiero. Il secondo, che pochi anni prima aveva firmato quindici illustrazioni ariostesche, indulge nella sua ossessione figurativa per i cavalli scegliendo il canto xxxviii per poter realizzare, in linea col suo stile pittorico, la torma di cavalcature generate miracolosamente dai massi dell’Atlante. Altri artisti sono più agevolmente ascrivibili alla pittura milanese che a cavallo tra anni Settanta e anni Ottanta gravitava intorno a La Spirale: è il caso di Giuseppe Ajmone e Bruno Cassinari, attivi presso la galleria fin dagli esordi e riconoscibili, tra gli altri coinvolti nella cartella ariostesca, per la particolare inclinazione al disegno, nuda accumulazione di segni lineari che generano volumi umani nella tavola del primo e stilizzati cavalli alati in quella del secondo, dedicata a Bradamante e all’ippogrifo. Merita particolare attenzione lo splendido lavoro di Bruno Caruso, che immerge la classica immagine di Angelica in fuga in un’insolita atmosfera di sogno, spogliandola da ogni ansia e rapidità e aggiungendo una falce di luna appena colorata per congiungere la cavalcata dei primi canti al volo di Astolfo ancora da venire. Interessante poi, anche per la peculiarità del soggetto, il Ricciardetto vestito da donna di Arturo Carmassi, altro protagonista della scena milanese, che rende l’immagine del canto xxv in modo quasi informale, sovrapponendo sagome dal profilo essenziale in una sorta di gioco tonale di trasparenze.

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Ludovico Ariosto, Orlando furioso: canto ventesimottavo; con quattro incisioni di Franco Gentilini, Pesaro, Edizioni della Pergola 1979

In queste brevi e icastiche affermazioni risiede gran parte della fortuna di Franco Gentilini, artista nato a Faenza nell’agosto del 1909 e trasferitosi a Roma negli anni Trenta del Novecento, noto per i suoi rapporti con molti letterati e altrettanto famoso per i numerosi ritratti femminili che realizzò durante la sua carriera. Romano per scelta, per attrazione – potremmo dire; un’attrazione irresistibile esercitata – come egli stesso ha raccontato – da alcune illustrazioni realizzate da Scipione per la «Fiera Letteraria» e che portò il giovane artista faentino a frequentare e divenire membro dell’elitario circolo di artisti e scrittori che si riuniva nella saletta del famoso caffè Aragno. Lì divenne amico di protagonisti della vita intellettuale romana di quegli anni: da Emilio Cecchi ad Ardengo Soffici, da Giuseppe Ungaretti a Bruno Barilli.

Sin dalla sua formazione, Gentilini mostrò dunque la sua propensione per la grafica e per il fruttuoso sodalizio tra arti visive e scrittura, che segnò tutta la sua esistenza e gli procurò l’appellativo di «pittore prediletto dai letterati». Ma il suo incontro con la letteratura non si limitò esclusivamente al contemporaneo (come ad esempio un’acquaforte per Frammenti di una sconfitta di Vittorio Sereni o i sei disegni per La formica argentina di Italo Calvino); egli mise alla prova la propria arte confrontandosi anche con opere cronologicamente distanti e disparate: dalla Metamorfosi di Kafka (1953) alla Commedia dantesca (1959).

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Paul e Gaëtan Brizzi, L’Orlando furioso. Le illustrazioni di Paul e Gaëtan Brizzi dell’opera dell’Ariosto, Firenze, Pagliai Polistampa, 2005

Nell’Orlando Furioso. Le illustrazioni di Paul e Gaëtan Brizzi dell’opera dell’Ariosto – elegante volume pubblicato da Polistampa con progetto grafico degli stessi Brizzi nel 2005 – il sottotitolo non è ridondante. Non siamo di fronte infatti a un Furioso illustrato, ma bensì a una suite di quarantasei tavole, affiancate soltanto dalla singola ottava che gli autori hanno trascelto all’interno di ciascuno dei canti del poema, a rappresentarne un momento significativo.

Non un gruppo di ottave, non un episodio condensato, ma un singolo ‘fotogramma’ estratto dal complesso montaggio delle azioni poematiche ariostesche. E se il libro dei Brizzi fa ricordare in effetti un volume illustrato con immagini tratte da un cartone animato, c’è poco da stupirsi, perché i nostri fanno parte del gotha internazionale dell’animazione. In Francia, oltre ad avere vinto premi per le loro produzioni originali, hanno firmato un Asterix; fuori casa, hanno collaborato a lungo con la Disney (loro, ad esempio, lo storyboard dei Pirates di Polanski). Fu proprio durante la lavorazione di un Chisciotte a cartoni che i due scoprirono il Furioso: se Cervantes lo volle salvare dal rogo dei libri di cavalleria, una ragione ci sarà pure stata. Dalle rovine di un cartone sul Chisciotte di produzione americana, dunque, nasce in Francia una serie completa di illustrazioni del Furioso. Singolare. Ma nel frattempo si era anche consumato il colossale evento del Signore degli anelli di Jackson, che (se mai ce ne fosse stato bisogno) ha rilanciato potentemente l’immaginario fantasy.

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Italo Calvino, Orlando furioso di Ludovico Ariosto raccontato da Italo Calvino, illustrato da Grazia Nidasio, Milano, Mondadori, 2009

L’immagine del gioco è una delle chiavi portanti dell’interpretazione che Calvino offre del poema ariostesco, tesa a rintracciare e sviscerare i modelli di visione del mondo presenti nell’opera. Il gioco, come continua scomposizione e ricostruzione del mondo in immagini, è probabilmente anche la chiave per capire l’operazione di Grazia Nidasio (Milano 1931), illustratrice di lungo corso, autrice di alcuni tra i più significativi personaggi della letteratura per l’infanzia del secondo Novecento. Il filtro della rilettura di Calvino si riflette in composizioni di grande efficacia, apparentemente semplici: in realtà, i colori forti e contrastanti e le stesure libere, tipici di Nidasio, sottendono una sottile operazione di individuazione delle iconografie e dei simboli di volta in volta più espressivi dei vari momenti del racconto, e dello spirito della narrazione ariostesca.

Come in ogni gioco che si rispetti, la semplicità è apparente, la suggestione della piacevolezza nasconde la serietà di un messaggio: in questo caso, la consapevolezza del confronto con un capolavoro, capace di dare espressione all’umanità nel suo complesso, interiore e sociale.

Il senso del confronto, della sovrapposizione di autori (Ariosto-Calvino-Nidasio), è sintetizzato al meglio nella prima illustrazione: una doppia immagine di Calvino e Ariosto – quest’ultimo mutuato dall’affascinante Ritratto Barbarigo di Tiziano a lungo creduto un’effige del poeta. Ariosto, attorniato dalle carte del poema, si staglia su una Ferrara popolata di cavalieri che ne sono l’ossatura: prassi della scrittura e immaginazione si sommano, in una combinazione che si ritrova nell’immagine di Calvino, il cui volto, desunto da una fotografia in bianco e nero, emerge dalle nebbie ferraresi, più evanescente nel suo grigiore della sontuosa cromia di Ariosto, ma più grande nelle proporzioni.

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Ludovico Ariosto, Orlando Furioso, a cura di Corrado Bologna, illustrazioni di Mimmo Paladino, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 2011

L’idea di France, riportata da Benjamin, è doppiamente efficace: sia per l’evocazione di una raffinata sensibilità decadente, cullata nella delicatezza delle porcellane, sia per il suggestivo accostamento tra la voluttà del bibliofilo (il piacere di possedere certi libri non riguarda necessariamente la loro lettura) e la bulimia visiva del collezionista (il guardare con insaziabile piacere i volumi disposti con ordine ‘warburghiano’ nella biblioteca di casa). Certo, il lettore è portato ancora di più a condividere il punto di vista di France-Benjamin dal supporto sul quale sono stampati questi caratteri (monotype corpo 12): una bella carta Zerkall-Bütten. In più, si tratta di copie numerate (l’esemplare ora sottomano di Aprendo le casse della mia biblioteca è il n. 349).

Non sembri fuorviante questa introduzione per parlare delle illustrazioni di Mimmo Paladino per l’Orlando Furioso, pubblicato dall’Istituto dell’Enciclopedia Italiana, nella collana «Classici Treccani», nel 2011. È necessario infatti provare, almeno, a immergersi in un’atmosfera rarefatta per cogliere appieno la bellezza della «qualità editoriale classica» dei tomi [da un’intervista di chi scrive a Mimmo Paladino del 4 ottobre 2013, così come le altre citazioni nel testo], «stampati al torchio piano cilindrico e rilegati a mano in pelle» [da I. Tedesco, I classici Treccani illustrati da Paladino, pubblicato in data 14 giugno 2012], dedicati dalla Treccani ai grandi classici della letteratura (tra i quali Il Milione, Il Principe, l’Orlando Furioso).

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