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La genesi di un film è preclusa agli occhi di chi non vi è direttamente coinvolto.* Tutto quello che accade prima e dopo il ciak, dietro la macchina da presa, durante la preparazione, le prove e poi, ancora, in sala di montaggio, è un processo alchemico di cui è molto difficile dar conto dall’esterno. E ogni volta che si tenta di andare a ritroso, di ricostruire i passaggi che stanno dietro al risultato ultimo, si ha la sensazione di violare uno spazio intimo e segreto. Eppure, se abbiamo la possibilità di vedere o intravvedere, attraverso le riprese o gli scatti di backstage, le persone che il film non ci mostra, di cogliere cosa sta dietro o intorno a un’immagine, un volto, un’espressione, un taglio di luce, una location, siamo colti da un’emozione e, almeno personalmente, da una fascinazione estrema e da un po’ di paura. Simile a quella che si prova di fronte a un apiario, mondo precluso a chi non ne comprende le leggi e non si protegge adeguatamente. Maurice Maeterlinck nella sua La vita delle api scrive che un’arnia, agli occhi di chi non la conosce, appare come un ammasso confuso, e invece racchiude

Un’immagine vivida e suggestiva che, mutatis mutandis, potrebbe descrivere le tante competenze e i mestieri che entrano in gioco sul set di un film che è, appunto, «un insieme stupefacente di capacità», tutte protese alla realizzazione di un progetto. La similitudine è forse ovvia, ma è difficile sfuggire alla tentazione di riferirla al cinema di Alice Rohrwacher, e non soltanto per un’assonanza tematica con il secondo lungometraggio, Le meraviglie, o per il mero dato biografico (il padre della regista è infatti un apicultore). Il suo modo di fare cinema ha infatti qualità affini a quelle delle api di Maeterlinck, perché restituisce un’idea di comunanza di persone, intenti, industriosità, attraverso una visione che è autoriale e plurale, personale eppure corale [figg. 1 e 2]. Come in un alveare. Ora però lascio da parte la metafora e cerco di avvicinarmi – sperando di non violarlo né di tradirlo – al lavoro del set, per provare a riflettere sulla qualità specifica delle relazioni umane e professionali che fanno sì che un’idea, uno script, prendano forma, trovino corpi, voci, luoghi, luci, atmosfere. Così come nei suoi film le donne (e le giovanissime protagoniste) costituiscono il perno attorno al quale ruota la storia, sono lo sguardo sul mondo e la tessitura profonda dei legami, allo stesso modo il set di Rohrwacher è una comunità caratterizzata da una spiccata componente femminile. Molte sono le donne della sua troupe, donne che circondano Alice e la accompagnano nei lunghi periodi di gestazione dei suoi film. Non si tratta di una scelta a priori, né di una scelta esclusiva, ma di una specie di caso che sembra, almeno a oggi, essere diventato un destino. La stessa Rohrwacher, del resto, in un’intervista su De Djess (cortometraggio in cui alle consuete collaborazioni se ne sono aggiunte altre, creando un set prettamente femminile) afferma:

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Catania/Napoli, luglio 2015

Mario Spada, nato a Napoli, classe 1971, entra nel mondo della fotografia nel 1986. È un reporter che ama la sua terra e la sa raccontare. Nel 2007 lavora come fotografo di scena al film Gomorra di Matteo Garrone e nel 2009 pubblica il suo primo libro personale Gomorra on set. Mario Martone lo chiama quando decide di far rivivere sul grande schermo, con Il giovane favoloso, l’immensa anima del poeta di Recanati, Giacomo Leopardi. Il 3 luglio di quest’anno, in occasione del compleanno di Giacomo Leopardi, gli scatti inediti del set del film sono stati esposti a Recanati in occasione della mostra Il giovane favoloso outdoor. Ecco cosa ci ha raccontato Mario Spada di entrambe le esperienze.

 

D: In che modo la fotografia è intervenuta nella ri-costruzione degli ambienti de Il giovane favoloso?

R: La ricostruzione degli ambienti del film è dovuta allo studio dello scenografo e di Mario Martone. Quello che deve fare il fotografo di scena, cioè io, è scattare delle fotografie che possano servire all’ufficio stampa che però, il più delle volte, ha un’idea della fotografia molto ‘classica’ (per esempio i posati fuori dalla scena), e quindi spesso le foto pubblicate o quelle scelte dall’ufficio stampa non corrispondono sempre a quello che avrei scelto io. Il fotografo di scena, nel mondo del cinema, è considerato ‘superato’, inutile alla produzione del film, perché non fa di certo IL FILM. Quando però il fotografo di scena ha un occhio particolare, tutto suo, può creare una storia all’interno del film che può essere d’aiuto per la distribuzione dell’opera, per la sua pubblicità. La cosa buona che qui è successa è che le foto de Il giovane favoloso le ho scelte insieme a Martone. Mario ha voluto che partecipassi a questo film dopo una prima collaborazione per lo spettacolo teatrale La serata a Colono tratto da Il mondo salvato dai ragazzini di Elsa Morante, con Carlo Cecchi e le musiche di Nicola Piovani. Non voleva il classico fotografo di scena e con lui abbiamo fatto una selezione di foto interessanti che poi ha anche utilizzato nel libro sulla sceneggiatura pubblicato per Mondadori. In più il manifesto del film, realizzato da Patrizio Esposito, è costruito a partire da una mia foto: rovesciando l’immagine Esposito rafforza l’idea di un Leopardi ribelle, non più triste e pessimista. In questo caso l’idea-guida del film nasce da un corto circuito di sguardi.

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