«Ch’io sono finito perché volli ricominciar troppe cose». Su Giovanni Papini e il visibile parlare

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Nel 2023 sono usciti per Scalpendi tre volumi dedicati al rapporto tra Giovanni Papini e le arti visive a cura dello storico della critica d’arte Tommaso Casini: Scritti sull’arte e gli artisti, Giovanni Papini e il «non finito» cinematografico (co-curato da Gianluca Della Maggiore) e Giovanni Papini e il visibile parlare, nel quale sono raccolti gli atti del convegno omonimo tenutosi presso l’Università IULM di Milano nel 2022. Il contributo intende proporre una sintetica panoramica relativa a questa operazione di riscoperta della produzione critica dell’intellettuale toscano condotta attraverso il fil rouge tematico del ritratto e dell’autoritratto, figurativo e letterario, offrendo a chi legge la possibilità di entrare in relazione con una concezione singolarmente attuale dell’atto critico. 

In 2023 three volumes dedicated to the relationship between Giovanni Papini and the visual arts were published by Scalpendi, edited by the historian of art criticism Tommaso Casini: Scritti sull’arte e gli artisti, Giovanni Papini e il “non finito” cinematografico (co-edited by Gianluca Della Maggiore) and Giovanni Papini e il visible parlare, in which the proceedings of the conference held at the IULM University of Milan in 2022 are collected. The contribution intends to propose a concise overview relating to this operation of rediscovery of critical production of the Tuscan intellectual conducted through the thematic fil rouge of portrait and self-portrait, figurative and literary, offering the reader the possibility of entering into a relationship with a singularly current conception of the critical act. 

Il biografo seleziona quanto gli serve a comporre una forma

che non assomigli a nessun’altra.

M. Schwob

Ho sempre avuto la passione dei ritratti e per contentarla ho cercato di conoscere quanti più pittori ho potuto. Da quasi quindici anni pratico gli studi e poso, in piedi o seduto, dinanzi ai miei amici. […] La mia casa è una specie di odiosa galleria dove almeno tre stanze son riempite di faccie [sic] mie di tutte le età […]. Ho un corridoio un po’ buio che n’è pieno da tutte e due le parti. Confesso che verso sera mi secca doverci passare: quei visi, tutti ineguali e che pure si rassomigliano tutti, mi turbano, mi fanno quasi paura. Mi pare di avere dato un po’ dell’anima mia a ognuno de’ miei doppi di tela e colore, e d’esser rimasto con un’anima impoverita, e stupefatta.[1]

Lo stralcio è tratto da un racconto scritto da Giovanni Papini apparso per la prima volta su La Riviera Ligure nel marzo del 1912, Il ritratto profetico: una narrazione a metà tra il fantastico e l’autobiografico inserita all’interno della prima sezione (‘Articoli vari’) che compone il volume Sull’arte e gli artisti, edito da Scalpendi con la curatela dello storico della critica d’arte Tommaso Casini. Il libro, che segue un criterio cronologico, raccoglie una serie piuttosto eterogenea (tanto per provenienza quanto per forma) di scritti pubblicati tra il 1903 e il 1957, dedicati ai maestri del Rinascimento (Leonardo, Leon Battista Alberti, Michelangelo), ad artisti contemporanei e ad amici (Soffici, Spadini, Viani, Picasso, Dalì, etc.) ma anche a questioni estetiche di ordine generale.

Sull’arte e gli artisti vede la luce insieme ad un altro testo, Papini e il “non finito” cinematografico, edito sempre da Scalpendi e curato da Casini, stavolta in collaborazione con Gianluca della Maggiore. I due lavori sono l’esito di un più vasto progetto di riscoperta di questo complesso e trascurato intellettuale affetto da un «dongiovannismo cerebrale»[2] che non poteva esimerlo dall’interessarsi diffusamente del polimorfico universo visuale tanto del suo passato che del suo presente. Prima tappa di questo rinnovato interesse casiniano era stata l’organizzazione del convegno tenutosi nell’ottobre del 2022 presso l’Università IULM di Milano, dal titolo Il visibile parlare. Giovanni Papini e le arti visive, i cui atti vengono oggi pubblicati dalla medesima casa editrice, contribuendo ad aggiungere un ulteriore tassello utile a ri-comporre il ritratto critico di una figura quanto mai centrale per il dibattito culturale dei primi decenni del Novecento italiano.

Copertina del volume Sull’arte e gli artisti, a cura di Tommaso Casini (Scalpendi 2023)

Il volume contenente gli scritti di critica d’arte consta di varie sezioni: la prima e più cospicua raccoglie articoli, racconti e interventi pubblici apparsi perlopiù su riviste; le successive sono costituite soprattutto da testi estrapolati da singole opere – Gog (1931), Passato remoto (1948), Vita di Michelangelo nella vita del suo tempo (1949), Il libro nero. Nuovo diario di Gog (1951) – e infine da alcuni appunti e da frammenti desunti dallo studio sul Diavolo (1935) e dall’incompiuto e postumo Giudizio Universale (1957).

La nota introduttiva del curatore e l’apparato iconografico, anch’esso significativamente posto in apertura del libro, offrono al lettore una chiave d’accesso attraverso cui leggere l’insieme degli scritti, dotando la selezione di un carattere più unitario di quel che possa sembrare a prima vista. È interessante notare come l’inserzione di questa inedita galleria di ritratti (dipinti, disegnati, scolpiti) attraverso i quali si dispiega una vera e propria ‘iconografia papiniana’, si qualifichi non come mera appendice dei testi bensì quale loro controparte fondamentale: per un verso essa costituisce una biografia per immagini che corre parallela all’autoritratto per interposte persone scaturito dal montaggio degli articoli, per l’altro funziona come soglia paratestuale, orientando l’interpretazione complessiva del lettore-osservatore, al pari dell’introduzione.

A partire da un autografo inedito che Casini cita nelle prime righe del suo saggio, ove Papini elencava una serie di argomenti sui quali si era proposto di scrivere e da cui sarebbe dovuta venir fuori «una sorta di storia letteraria del volto e della sua rappresentazione, sul filo delle arti visive»[3] si dipana il fil rouge che tiene insieme la raccolta: il tema del ritratto.[4]

Giovanni Costetti, Gian Falco, 1903, olio su tela, coll. privata

La scelta e l’organizzazione dei testi mette bene in evidenza come la scrittura critico-teorica di Papini, «erudito disordinato»,[5] si muova incessantemente attraverso gli spazi liminali tra differenti saperi, facendo dell’antispecialismo il proprio tratto distintivo e della scrittura un luogo di convergenza intermediale ed esistenziale. La sua penna abita l’interstizio che si apre tra sé e l’altro, mescola il ritratto e l’autobiografia, storia e fantasia (alla maniera di Schwob nelle Vite immaginarie), la parola con l’immagine; Papini intreccia la linea del pennello con la sintassi del discorso, ibridando saggistica e finzione, attraverso un’operazione al tempo stesso spontanea e consapevole di ‘anamorfosi critica’.[6] La locuzione, coniata da Paolo Gervasi a proposito del metodo saggistico di Cesare Garboli, può tornarci utile anche in questa sede per descrivere quel ‘terzo spazio’ generato dalla commistione non solo tra scrittura critica e invenzione ma anche tra vita e atto di lettura (e di visione), il cui risvolto principale consiste nell’«attrazione quasi feticistica per la scena primaria della creazione»,[7] tanto frequente negli scritti papiniani, producendo un’estensione del coevo concetto di Gesamtkunstwerk dilatato sino ad inglobare l’atto interpretativo.

Da questo tipo di approccio discende una concezione che vede nelle azioni del ritrarre e del biografare pratiche che contribuiscono alla conoscenza dell’animo umano, proprio e altrui, e perciò se «il grande ritrattista contribuisce, anche senza saperlo, allo studio dell’uomo. Le raccolte di ritratti sono un documentario di antropologia superiore».[8] In un articolo dedicato a Oscar Ghiglia, «un pittore poeta […] un pittore psicologo, un pittore cristiano», ad esempio, Papini descrive il rapporto tra artista e soggetto ritratto nei termini di una relazione umana prima che estetica, in una sorta di messa in abisso del suo stesso ‘metodo’:

Ogni pittore, in quanto uomo risuscitatore di uomini, è un Narciso – e la sua anima sente la difficoltà maggiore: quella di mantenere sé stessa pur accettando la vita altrui. Ogni ritratto considerato nel suo aspetto drammatico è una battaglia fra l’io che contempla e l’io ch’è contemplato.[9]

Una «battaglia» che si tramuta in fraterno abbraccio per giungere, talvolta, alla reinvenzione della persona storica in quanto proiezione delle proprie «tendenze profonde».[10] Si ricordi in questo senso il più emblematico degli esempi: ‘Il mio Leonardo’ (Leonardo, 19 aprile 1903), ove il possessivo del titolo suona evidentemente come programmatico. Il maestro di Vinci diventa, infatti, la personificazione di un’istanza interiore, quella positivistica e vitale, e rappresenta per l’autore «lo sforzo della vita personale, l’uomo che tende a possedere veramente sé stesso e perciò fa che il mondo diventi suo per mezzo di immagini e pensieri».[11]

La già citata tendenza allo sconfinamento e alla divagazione, messa efficacemente in luce attraverso la selezione dei testi, trova argine nella presenza di una forza centripeta che dirige in maniera pervasiva l’intenzione autoriale: una ‘via unitiva’ che porta Papini a ricondurre sempre (e sarà allora questo anche ciò che egli chiede ai suoi esegeti) l’opera al carattere dell’artefice, poiché – come scrive nel testo dedicato a Medardo Rosso – essa «è figlia di tutto l’uomo, della sua natura e della sua carne».[12] Un’attitudine, questa, che lo porta ad interessarsi in maniera particolare ad artisti dal talento plurimo (Soffici, Savinio, De Chirico) o la cui qualità sia quella di aver saputo oltrepassare i limiti di un dato linguaggio, come nel caso dello scultore torinese, «pittore senza pennelli»[13] e inventore dell’impressionismo in scultura.

Copertina del volume Giovanni Papini e il “non finito” cinematografico, a cura di Tommaso Casini, Gianluca della Maggiore (Scalpendi 2023)

A Soffici, ad esempio, Papini dedica diversi articoli, soffermandosi, di volta in volta, sull’esegesi di alcune sue opere (‘La sala dei manichini’), sui caratteri generali della sua pittura (‘L’universo pittorico di Soffici’) o ancora sul ruolo di scrittore e giornalista (‘Ardengo Soffici: l’uomo e lo scrittore’), cercando in ogni occasione di farne risaltare la natura di artista poliedrico e mettendo sullo stesso piano le sue doti di pittore, di poeta-narratore, di uomo e di intellettuale, il cui «segreto» risiede proprio «nella svariata e cangiante ricchezza dei suoi aspetti»:[14]

Soffici, ad esempio, non è soltanto pittore ma anche poeta. Il che non vuol dire ch’egli faccia pittura letteraria per i letterati o vada in cerca di quel lirismo romantico o abracadabrante che poi non è, in fondo, che manierismo riscalducciato nei gallinai dell’“avanguardia”, ma in ogni suo quadro c’è un’aura di poesia, di sobria e pudica poesia, di quella poesia che a tutto dà interno lume senza esibirsi nei primi piani con archilei demiurgici o sentimentalerie pittoresche. Ma Soffici non è soltanto poeta. È anche quel che si dice – in mancanza di vocaboli più comprensivi – un uomo di cuore e di coscienza, un uomo di giustizia e di fede.[15]

Il tema del ritratto/biografia fa da trait d’union anche rispetto all’altro volume, Papini e il “non finito” cinematografico. Trattamenti inediti per i film su Santa Caterina e San Francesco, il cui titolo contiene un riferimento esplicito a quello dell’autobiografia papiniana, Un uomo finito, come pure al carattere incompiuto dei suoi progetti cinematografici. Il proposito di mettere sul grande schermo la vita dei due santi (ancora una volta due biografie, due ritratti) diventa lo spunto per una più ampia riflessione sul ruolo sociale di quel «nuovo linguaggio che ha reso mobile l’incisione e la pittura»,[16] insistendo soprattutto sulle relazioni tra cinema e religione (siamo, naturalmente, in anni che succedono la conversione).

Il libro, oltre che dai due trattamenti inediti, è costituito da una sezione di ‘Ritagli iconografici’, da uno scritto teorico di Giovanni Papini, ‘La filosofia del cinematografo’ (La Stampa, XLI, 18 maggio 1907), da un’ampia intervista rilasciata dall’autore a don Giuseppe de Luca relativa al film sulla santa senese, e infine, da due saggi critici, uno di Gianluca della Maggiore (curatore insieme a Casini che qui firma di nuovo l’introduzione) e l’altro di Dario Boemia, dedicato al fervido dibattito suscitato nella stampa coeva dal film mai ultimato.

‘Ritagli iconografici’ dal volume Giovanni Papini e il “non finito” cinematografico

Il contributo di della Maggiore ricostruisce in maniera storicamente dettagliata i rapporti tra Papini e il cinema, la genesi dei due progetti e le ragioni del loro fallimento. Il merito del volume è quello di dare conto, attraverso il montaggio dei testi, della complessità del pensiero dell’autore intorno al nuovo mezzo, dallo scritto del 1907 fino alle riflessioni «post-Christum». Ne emerge un Papini diviso tra il suo severo giudizio di ‘antimoderno’ e l’entusiasmo derivato dal riconoscimento delle possibilità pedagogico-morali del cinema, che egli concepisce alla stregua di una contemporanea biblia pauperum: e difatti l’interesse per la dimensione ‘filosofica’ e istruttiva che egli intravede nel medium lo porta a passare «da una filosofia a una teologia del cinematografo»[17] mostrando la continuità tra i due momenti del suo pensiero.

Come accennato in apertura, il terzo atto di questo progetto ancora in corso di rilettura di Papini e dei suoi rapporti con le arti ha recentemente preso forma nel volume che raccoglie gli atti del convegno del 2022, Giovanni Papini e il visibile parlare (Scaplendi 2023), anch’esso curato da Casini, con una presentazione di Paolo Giovannetti e un’introduzione di Sandro Gentili. I contributi presenti indagano aspetti e momenti diversi della relazione papiniana con l’arte consentendo per la prima volta «un bilancio più che convincente del lato visivo» della sua avventura intellettuale senza misconoscere quel «fondo di approssimazione e di incompiutezza»[18] che ne fu insieme cifra e limite. Ad esempio, l’esercizio ecfrastico – come rileva Gentili – è uno «degli innumerevoli sentieri che consentono allo scrittore di approdare alla confezione dei ritratti e degli ambienti delle novelle giovanili» nutrendo l’immaginario dechirichiano pre-metafisico secondo un’intuizione che si deve a Maurizio Calvesi, il critico che «grandemente contribuì all’inizio degli anni Ottanta del Novecento alla riconsiderazione della statura del giovane Papini nel dibattito teorico sulle arti di inizio secolo e dell’influenza tematica e filosofica che esercitò sulla generazione di pittori a lui contemporanea».[19]

Copertina del volume Il visibile parlare. Giovanni Papini e le arti visive, a cura di Tommaso Casini (Scalpendi 2023)

Il saggio di Raul Bruni che apre la raccolta riprende proprio la suggestione calvesiana soffermandosi sulla visività implicita ed esplicita dei primi racconti fantastici dell’autore in quanto riflesso di una nuova concezione del genere che promuove, oltrepassando Poe e l’Ottocento, una diversa fonte per il fantastico, non più «materiale, esterna, obiettiva» ma interna, «scaturita dall’anima stessa degli uomini»,[20] secondo quanto scrive lo stesso Papini nella seconda prefazione a Il tragico quotidiano, quella rivolta Ai filosofi.

A Giovanni Papini scrittore d’arte sulla terza pagina del Tempo, prima nel 1919 e poi per alcuni mesi tra il 1920 e il 1921, è dedicato il contributo di Andrea Aveto, mentre quello di Alessandro Del Puppo si sofferma su alcuni contributi tardi dell’autore, quelli post-conversione, prendendo le mosse da un articolo del 1940 apparso su Il Frontespizio, ‘Arte disumanata’, per ricercare una ideale continuità tra la posizione dell’ultimo Papini e le fasi precedenti del suo pensiero: «d’altra parte – si chiede Del Puppo – quanti Papini sono esistiti? Quanti i suoi mestieri, quante le “posizioni”, quanti i diversi talenti?».[21] Romanello si concentra, invece, su un aspetto particolare della scrittura di Papini, ovvero sulla funzione del «“visibile parlare” come dispositivo critico»[22] ed euristico all’interno dei contributi dedicati agli scrittori, notando come egli

si trovi particolarmente a suo agio quando parla di scrittori che sono anche pittori […] cercando di ottenere quasi un calco verbale, descrittivo e pittorico allo stesso tempo, che aderisca al massimo alla produzione dello scrittore oggetto delle sue attenzioni. In questo mimetismo empatico, in cui le parole e le cose fanno tutt’uno, Papini trova, come si è visto, toni di grande efficacia critica e descrittiva, producendo a sua volta letteratura.[23]

Segue il saggio del curatore, Tommaso Casini, dedicato ai rapporti tra Papini e l’INSR, l’Istituto Nazionale di Studi sul Rinascimento di Firenze, e all’esperienza di direzione della rivista La Rinascita negli anni che vanno dal 1937 al 1943. Attraverso prospettive molto diverse i contributi di Marta Nezzo e Giulia Beatrice indagano lo sguardo di Papini rivolto alle arti non europee: la prima si interroga sulla questione a partire dall’acquisto di due statuette comperate a Parigi e descritte in un testo dal titolo Inutilità necessarie (1916) poi chiamato Feticci (1918); la seconda, prendendo in considerazione la decorazione che Soffici realizza nella dimora di campagna di Papini, analizza la presenza di «stereotipi linguistici e visivi» impregnati di cultura coloniale nella rappresentazione dei corpi di uomini e donne africani. Successivamente Francesca Golia riflette sulla dimensione edificante assunta dal ‘visibile parlare’ papiniano ne La storia di Cristo mentre Mario Colleoni e Veronica Pesce si occupano, rispettivamente, l’uno di ricostruire la figura di Gianfalco nella Firenze futurista del primo decennio del Novecento attraverso la cronaca di Alberto Viviani, l’altra i rapporti tra Papini e l’artista Lorenzo Viani, proponendo parte del loro carteggio risalente all’arco cronologico 1922-1933 e conservato presso la Fondazione Primo Conti di Fiesole. Chiude il volume il saggio di della Maggiore su Papini e il cinema.

I testi assemblati nei tre volumi tracciano un nuovo, e non finito, ritratto di Giovanni Papini, non certo critico en titre, quale egli non volle mai essere – «io capisco pochissimo di pittura […] ma le pitture non son destinate soltanto ai pittori e alla schiatta insotterabile dei critici»,[24] come sostiene nello scritto dedicato all’amico e sodale Soffici – e piuttosto intellettuale appassionato tanto delle opere quanto degli uomini che le produssero. Sia le raccolte antologiche che i contributi degli studiosi coinvolti restituiscono la fisionomia di uno sguardo non convenzionale e onnivoro, ci mostrano i mezzi, personalissimi, di una prosa che, costretta a mediare tra l’occhio e la pagina (e poi anche tra la pagina e la cinepresa), conscia dell’impossibilità di colmare lo scarto ontologico tra i linguaggi, non se ne cruccia, poiché ciò che preme all’autore è piuttosto trasformare l’atto critico in «occasione vitale, incontro da uomo a uomo».[25] Si tratta di un approccio che informa in parte anche il progetto di riscoperta avviato da Casini, il quale, soprattutto nel volume che raccoglie gli Scritti, attua un montaggio dei materiali che lascia emergere i contorni del Papini scrittore d’arte ma che pure mostra in controluce la trama dei suoi stessi interessi teorici: la storia e la semantica del ritratto, l’attenzione per quello spazio fittamente retorico che è l’atelier dell’artista, il tentativo di cogliere il nesso inestricabile tra arte e vita che trova la propria materializzazione simbolica nella «mano “parlante” dell’artista»,[26] topos figurativo di lungo corso e luogo anatomico-simbolico di congiunzione tra visibile e invisibile. 

 


1 G. Papini, Il ritratto profetico [1912], in Id., Sull’arte e gli artisti, a cura di T. Casini, Milano, Scalpendi, 2023, p. 89.

2 G. Papini, Un uomo finito [1913], Milano, Mondadori, 2016, pos. 639, ed. digitale.

3 T. Casini, Introduzione a G. Papini, Sull’arte e gli artisti, p. 13.

4 Il tema del ritratto, nelle sue multiformi declinazioni, interessa tanto la riflessione papiniana quanto quella del curatore del volume: Casini è infatti autore di una serie studi sull’argomento raccolti recentemente in T. Casini, La molteplicità del volto. Studi per la storia del ritratto dal XVI al XXI secolo, Roma, Carocci, 2023.

5 G. Papini, Un uomo finito, pos. 1119.

6 P. Gervasi, ‘Anamorfosi critiche. Scrittura saggistica e spezi mentali: il caso di Cesare Garboli’, Ticontre. Teoria testo traduzione, 9, maggio 2018, pp. 46-65.

7 Ivi, p. 52.

8 G. Papini, Sull’arte e gli artisti, p. 551.

9 Ivi, p. 151.

10 Ivi, p. 57.

11 Ivi, p. 59.

12 Ivi, p. 188.

13 Ivi, p. 184.

14 Ivi, p. 104.

15 G. Papini, L’universo pittorico di Soffici [1945], in Id., Sull’arte e gli artisti, p. 208.

16 Don Giuseppe de Luca, Giovanni Papini ci parla del suo soggetto cinematografico “Santa Caterina da Siena” [1936], in T. Casini, G. della Maggiore (a cura di), Giovanni Papini e il “non finito” cinematografico, Milano, Scalpendi, 2023, p. 135.

17 G. della Maggiore, Il “non finito” cinematografico di Giovanni Papini. Santa Caterina e San Francesco: concetti, progetti, soggetti, in T. Casini, G. della Maggiore (a cura di), Giovanni Papini e il “non finito” cinematografico, p. 156.

18 S. Gentili, Introduzione, in T. Casini (a cura di), Il visibile parlare. Giovanni Papini e le arti figurative, Atti del convegno (Milano, 28 ottobre 2022), Milano, Scalpendi, p. 9.

19 Ivi, p. 11. Si rimanda inoltre a M. Calvesi, Papini e la formazione fiorentina di Giorgio de Chirico, in P. Bagnoli (a cura di), Giovanni Papini l’uomo impossibile, Firenze, Sansoni, 1982, pp. 122-192, poi in M. Calvesi, La metafisica schiarita. Da de Chirico a Carrà, da Morandi a Savinio, Milano, Feltrinelli, 1982, pp. 15-62.

20 G. Papini, I racconti, a cura di R. Bruni, Firenze, Clichy, 2022, p. 667. La stessa casa editrice nel 2023 ha ripubblicato con la curatela di Luca Scarlini Il Diavolo.

21 T. Casini (a cura di), Il visibile parlare, p. 47.

22 A. Romanello, Aspetti figurativi e storico-artistici nel Papini critico letterario. Una prima ricognizione, in T. Casini (a cura di), Il visibile parlare, p. 63.

23 Ivi, p. 57.

24 G. Papini, Sull’arte e gli artisti, p. 126.

25 P.V. Mengaldo, Tra due linguaggi. Arti figurative e critica, Torino, Bollati Boringhieri, 2005, p. 67.

26 T. Casini, La mano “parlante” dell’artista, Predella, numero monografico Chirurgia della creazione. Mano e arti visive, 3, 2011, pp. 25-26.