Corporeità danzanti e coreografie d’attrice: Eleonora Duse e la danza

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Oggetto di ammirazione da parte degli spettatori coevi, obiettivo di studio e imitazione per le giovani attrici del suo tempo, tensione inesausta per i fotografi che hanno cercato di immortalare, il gesto della Duse, al pari della sua voce, ha certamente attirato l’attenzione della critica che a questo riguardo ha sottolineato la consapevolezza dell’attrice riguardo all’aspetto comunicativo della postura e dell’azione corporea.  Per quanto riguarda i rapporti tra Duse e la nuova danza, che si afferma in Europa tra XIX e XX secolo, essi sono rintracciabili nei personaggi che d’Annunzio immagina per lei, nell’amicizia con Isadora Duncan, ma anche in occasioni mancate che riguardano il suo lavoro di attrice: il ballo di Nora in Casa di bambola o la danza immaginata per lei da Hofmannsthal nell’Elektra.  Oltre a questi aspetti, l’analisi di alcune sequenze del film Cenere, suggerisce l’ipotesi di poter valutare quale influenza abbia avuto la nuova danza nella capacità di Duse di affidare al corpo la propria grafia emotiva. Dovendo consegnare la propria arte a una pellicola priva di sonoro, Duse affronterà infatti una preparazione fisica inedita il cui risultato è non solo straordinariamente espressivo dal punto di vista attoriale, ma in alcune sequenze il controllo della dinamica, la cura della postura e dell’intensità dell’azione ci inducono a leggere il suo movimento come danza, una danza presaga che contiene le anticipazioni del futuro.

Object of admiration for contemporary spectators, target of study and imitation for younger actresses of her time, inexhaustible tension for photographers who tried to immortalize it, Duse's gesture has certainly attracted the attention of critics who have underlined the actress's awareness of the communicative aspect of posture and bodily action. As regards the relationship between Duse and the new dance, which was established in Europe between the 19th and 20th centuries, they can be traced inside d'Annunzio’s dramaturgy, in her friendship with Isadora Duncan, but also in missed opportunities regarding her work as an actress: Nora's dance in Doll's House or the dance imagined for her by Hofmannsthal in Elektra. In addition to these aspects, the analysis of some sequences of the film Cenere (Ashes), suggests the hypothesis of evaluating the influence of new dance on Duse's physical writing. In delivering her art to a silent film, Duse will in fact face an unprecedented physical preparation whose result is not only extraordinarily expressive from the acting point of view, but in some sequences the control of dynamics, the care of posture and the intensity of the action lead us to read that movement as a dance, a presaging dance that contains the anticipations of the future.

I testimoni e la letteratura critica hanno provato a indagare il mistero della seduzione che Eleonora Duse esercitava sul pubblico anche grazie al movimento espressivo di tutta la sua persona: un movimento che, come quello di una danzatrice, irradiava da un centro – coincidente con il motore psichico del personaggio – per propagarsi con intensità fino alla periferia delle mani, coinvolgendo la perdita di equilibrio, l’inciampo, il cambiamento repentino di direzione.[1] Nelle varie fasi della propria evoluzione artistica, Duse esprime sulla scena un movimento corporeo molto diversificato, in cui la sensualità del felino si alternava all’agitazione nervile dell’isterica, il gesto automatico si declinava nella posa ieratica della vestale. La consapevolezza di Duse riguardo il linguaggio corporeo ci suggerisce quindi di riconoscere come danza alcuni suoi ‘stati’ di presenza o sequenze gestuali e di immaginarla danzare quando i personaggi interpretati lo richiedevano. Tuttavia, sebbene l’integrazione tra materiali fotografici, recensioni e testimonianze, riveli come il corpo scenico di Duse sia attraversato dai fermenti della danza del suo tempo,[2] le danze di Eleonora Duse sono danze mancanti, mancate o addirittura presunte e presaghe, sottotraccia al lavoro d’attrice e anticipazioni del futuro, come avrò modo di chiarire. Dunque, per quanto indiziario, il discorso su Eleonora Duse e la danza ci sembra contribuire da un lato alla trasversalità degli studi che la riguardano, dall’altro sottolineare l’attualità del suo ruolo di intellettuale, attenta anche all’evoluzione delle corporeità danzanti del suo tempo.

 

1. La danza di nuove donne e nuovi corpi

Il rinnovamento avvenuto tra XIX e XX secolo nella danza teatrale permette di evidenziare il fatto che «la ribalta della scena diventava anche la ribalta della storia».[3] In questo periodo si gettano infatti le basi di un progressivo allontanamento dal balletto in favore di una concezione moderna della coreografia, e dello spettacolo di danza, in cui nuove esigenze artistiche, unitamente a nuovi gusti del pubblico, acquistano visibilità. Grazie alla danza, un diverso modello femminile diviene finalmente soggetto attivo di un lungo processo che offre materiali di indagine significativi anche all’ambito degli studi di genere.[4] Tra XIX e XX secolo, il cambiamento nella percezione e presentazione del corpo della donna assume infatti in ambito coreutico i connotati di una vera e propria rivoluzione, ben rappresentata dallo scarto fra la ballerina ottocentesca e la danzatrice di inizio Novecento. La celebrazione di un femminile idealizzato, stigmatizzato dalla silfide, anima di fanciulla ontologicamente incorporea, viene quindi affiancato dalla danzatrice-menade che, pur nei contorni dell’immaginario Liberty, incarna la complessità del presente e traduce simbolicamente (unitamente alle paure e alle costrizioni del male gaze), anche la rivendicazione di nuovi ruoli e nuovi spazi d’azione per le donne. Le danzatrici, tenute in una considerazione persino peggiore delle attrici a causa di una professione che esibisce i corpi, si inseriscono così nella società individualistica, patriarcale e industriale del tempo come interlocutrici disturbanti eppure necessarie.

In questo momento storico, l’aria di cambiamento e le inquietudini, che permeano il mondo della danza sotto l’influenza del pensiero di Nietzsche, sono infatti leggibili anche nelle fisicità delle danzatrici. Straordinariamente evocativo risulta così il doppio confronto tra le raffigurazioni dell’eterea Marie Taglioni (diva del balletto romantico) e le foto della muscolosa Pierina Legnani, (ballerina scaligera di fine secolo), comparate alla sinuosità delle forme ‘naturali’ di Isadora Duncan e all’androginia di Ida Rubinstein. La differenza tra i corpi di queste danzatrici è infatti eloquente non solo riguardo all’evoluzione dei canoni estetici e dei requisiti tecnici necessari all’arte, ma esprime un contesto culturalmente mutato. Un orizzonte nel quale evidenziare anche la progressiva affermazione di autorialità poetica e autonomia imprenditoriale: contrariamente alle ballerine inserite nella struttura gerarchica dei corpi di ballo, le danzatrici (come le attrici-capo) sono rivoluzionarie anche nella creazione di una propria identità artistica, nell’avocare a sé la scelta dei collaboratori e nella partecipazione alla gestione di tournée e economie produttive.[5]

Le danzatrici e le attrici sono dunque protagoniste del rinnovamento dei linguaggi teatrali e della società dello spettacolo di inizio Novecento, società della quale letteralmente incorporano i fermenti e anticipano le domande. In questo processo inedito di consapevolezza, anche il corpo di Eleonora Duse è dunque il palinsesto sul quale provare a decodificare i segni di una scrittura nuova che, nel superamento della netta separazione fra teatro e danza, esprime l’esigenza di un ripensamento esistenziale e antropologico.

 

2. Danze mancanti, mancate, presunte, presaghe

Il nostro percorso comincia con una danza mancante. La questione della Tarantella danzata dalla protagonista di Casa di bambola di Ibsen infatti è intrigante. Si tratta di un momento essenziale del dramma in cui la danza è il luogo della metamorfosi, della guarigione. Ibsen sceglie infatti per Nora il tipico ballo del sud Italia, consapevole delle radici sacre e purificatrici della danza. Secondo Hofmannsthal, Duse danzava la Tarantella nell’allestimento del 1892, mentre nella ripresa del 1906 il ballo fu invece tagliato. In quell’occasione, Duse si presentò vestita da Arlecchino, suscitando l’apprezzamento da parte della critica inglese che percepiva la danza come una stonatura all’interno del dramma.[6]

Le didascalie dei drammi scritti da d’Annunzio per «Eleonora Duse dalle belle mani»,[7] e da lei interpretati, rivelano invece un immaginario coreutico che si compenetra con l’accreditata qualità di presenza nel gesto e con lo stile recitativo dell’attrice. Per esempio, nel poema tragico Sogno di un mattino di primavera (1897), la Demente «tende le braccia verso il sole; poi vacilla abbagliata», «si inclina verso gli innumerevoli fiori, in ascolto», «si ritrae con un passo lieve e tacito, quasi che ella sia calzata di musco», «si piega su un fianco, tocca il suolo con una tempia».[8] Se poste una accanto all’altra, queste indicazioni compongono una sequenza cinetica, la danza di una ninfa dal corpo flessuoso ed elastico, legata simbioticamente alla natura. Menade flessuosa, colta nell’ebrezza con il capo riverso all’indietro, caratteristico segno di incontrollato e sensuale abbandono dell’immaginario simbolista,[9] è anche la Comnéna, protagonista del dramma La Gloria (1899),[10] mentre più drammatico è il gesto che d’Annunzio immagina per Anna, la veggente cieca de La città morta (1898). Anna lentamente «si scopre il viso e protende le palme concave»,[11] o ancora a «un tratto si lascia cadere a pie’ della colonna, senza alcun rumore, con la leggerezza tacita d’un velo che si ripieghi».[12]

La parola di d’Annunzio accarezza la forma del gesto e impreziosisce la sua dinamica in modo da suggerire la continuità dell’azione, che è propria della danza. Ciò accade, a nostro avviso, non per la sola sovrapposizione della fascinazione di d’Annunzio per la danza (ben analizzata da Veroli), quanto anche per una serie di intuizioni e impulsi di Duse che il poeta traduce nel corpo della sua parola e registra nelle didascalie.[13]

Anche la preziosa biblioteca di Duse,[14] rivela inoltre il suo interesse per la danza: qui troviamo una copia di Histoire de la danse à travers les âges di Ménil de Félicien, un volume pubblicato nel 1905 in cui l’autore, compositore ed esperantista, traccia le fasi principali di evoluzione della danza, dalle forme più istintive a quelle codificate, dividendo il saggio in due parti (le danze sacre e le danze profane).[15]

Nel primo Novecento, la danza entra inoltre in modo evidente nella vita di Eleonora grazie all’amicizia con Isadora Duncan, per mediazione della quale Duse conoscerà lo scenografo Edward Gordon Craig. A giudicare dai messaggi scambiati fra loro, e dalla testimonianza lasciata da Duncan nella sua biografia, il legame fra le due donne, inaugurato nel 1903, era fondato su una reciproca stima e su un affettuoso sostegno nei momenti più difficili delle loro esistenze, come la separazione da d’Annunzio per Duse e l’atroce lutto per la morte dei figli per Isadora.[16] Eleonora e Isadora, sebbene differenti per età e cultura, avevano diversi tratti in comune: autodidatte, precoci lavoratrici, abilissime nella promozione del loro lavoro, femministe e impegnate nei confronti delle nuove generazioni di artiste.[17] Profondissimo è il segno che entrambe hanno lasciato nella storia del Novecento, un segno che travalica i rispettivi ambiti disciplinari per fondersi nell’ipotesi della creazione congiunta di una nuova idea di interprete femminile.

Sebbene Duse e Duncan non abbiano mai collaborato artisticamente, esse sembrano infatti essersi reciprocamente influenzate, o sembrano quanto meno esprimere tensioni analoghe a proposito della costruzione di una nuova drammaturgia fisica, leggibile nell’utilizzo di segni espressivi coerenti in relazione allo spazio e allo specifico del corpo in scena. La contiguità della loro ricerca induce anche Stanislavskij a comparare il lavoro delle due artiste.

Ma a chi servono le parole? Senza parole è possibile trasmettere esattamente diversi sentimenti. Ad esempio, quale attrice trasmette sulla scena i sentimenti più fedelmente della Duncan? Se vi è da mettere a confronto la Duncan e la Duse, allora io preferisco la Duncan. Il teatro deve giungere a quest’arte, svilupparla così da trasmettere ogni cosa senza le parole.[18]

Stanislavskij, come è noto, ammirava e fu profondamente influenzato dal magistero di Duse, dunque, il nostro interesse nella citazione non è nel giudizio in sé, ma nel fatto che le due dive siano paragonate in relazione alla necessità che esprimono di sottrazione della parola, in favore dell’espressione globale del corpo.[19]

L’accostamento Duse-Duncan diventa invece quasi una sovrapposizione nell’immaginario di Craig per l’Elektra di Hugo von Hofmannsthal, opera della quale Duse ottiene i diritti nel 1904. Hofmannsthal realizza infatti appositamente per l’attrice una versione francese in prosa del testo e chiama Gordon Craig per la realizzazione delle scene e dei costumi. Il drammaturgo, oltre che cultore della danza, è un grande estimatore di Duse nonché attento osservatore della sua gestualità.[20]

 Eleonora Duse nel film Cenere, 1916. Screenshot da terzi.

Il gesto raffinato di Duse manifestava dunque, agli occhi dell’osservatore esperto, una specificità che è tipica della danza tanto da poter considerare l’attrice un riferimento per decodificare l’arte di Ruth St. Denis. La recitazione danzata di Duse e la danza apparentemente statica di St. Denis sono dunque assimilabili, sono entrambe «tacita musica del corpo», sequenza motoria animata dalla fluidità di un ritmo interiore che non «conosce punti morti».[21]

Non stupisce dunque che nella riscrittura di Elektra Hofmannsthal abbia dato spazio alla danza estatica di una menade disegnata sul corpo di Eleonora.[22] A Eleonora-Elektra viene addirittura rivolto il celebre monito «taci e danza»: un’intimazione che lascia prefigurare lo slittamento a favore dell’arte di Tersicore che Craig accoglie nei suoi disegni. I bozzetti della danza di Elektra mostrano infatti una evidente affinità con le pose di Isadora Duncan, mentre due didascalie dell’opera appaiono particolarmente eloquenti nel restituire le caratteristiche della danza folle ed ellenizzante della protagonista:

 

Elektra scende dai gradini della porta, la testa rovesciata come una menade; alza nell’aria le ginocchia, tende le braccia. È una danza indescrivibile quella che compie avanzando lentamente.

Colpisce in questa didascalia l’indicazione delle ginocchia alzate in associazione all’avanzata lenta e al capo rovesciato: un insieme di prescrizioni che, richiedendo abilità in termini di equilibrio e scioltezza del movimento delle anche, sembrerebbero pensate per una danzatrice piuttosto che per l’attrice che aveva allora quarantasei anni. Assimilabile nel dinamismo ad alcune didascalie dei drammi dannunziani è invece quella che recita: «Fa ancora qualche passo trionfale, in preda all’esaltazione folle e cade come fulminata».[23]

A conferma di questa circolarità di rimandi fra drammaturgia e danza, vale la pena ricordare che per la morte di Elektra, Hofmannsthal avrebbe preso ispirazione dalla lirica dannunziana e soprattutto dall’interpretazione di Duse ne La città morta, tragedia che il poeta austriaco aveva avuto modo di apprezzare a Vienna nel 1902, ricevendone una forte suggestione e «un’immagine precisa, di spiccato timbro dionisiaco».[24]

Purtroppo, a causa delle incomprensioni con Craig, lo spettacolo non andò mai in scena e Duse perse un’occasione per sperimentare una partitura scenica che probabilmente poteva spingersi fino ad includere microsequenze di una danza nuova, portando quindi per prima a compimento la tensione verso un’idea di ‘interprete totale’ che attraversa la ricerca teatrale novecentesca.

Le danze di Eleonora sono dunque anche danze presunte: ne cerchiamo la prefigurazione nell’ecfrasi e nella reticenza di chi ha cercato di descrivere l’arte della Divina con parole che, nel loro essere inadeguate a dipingere, sono invece capaci di rivelare gli spazi del nuovo. «Le pause e i silenzi erano per lei quasi più significanti delle irruzioni di parole» annota Borgese, che nel cercare di descrivere lo stile recitativo ‘contemporaneo’ di Duse si sofferma su uno stato di presenza corporea che dobbiamo immaginare alimentato da un intuito musicale, abitato da una condizione di ascolto somatico profondissimo in cui il corpo è considerato nella sua globalità.[25] Ancora Hofmannsthal ci consente di immaginare la qualità di Duse nella trasmissione del movimento fra le varie membra del corpo e la sua capacità di gestire impulsi che comportano un sofisticato equilibrio tra perdita e controllo della postura eretta:

Meravigliosa è l’eloquenza del suo braccio verticalmente eretto, della sua nuca elastica, del suo modo di appoggiarsi, di rannicchiarsi, di scivolare, di cadere, di sussultare e di afflosciarsi.[26]

Riguardo alla possibilità di riconoscere, ben oltre i limiti biografici, l’eco delle intuizioni e della ricerca espressiva sul corpo compiuta da Duse, vale la pena anche solo accennare che la dinamica nel movimento di Duse, fotografata da Hofmannsthal e precedentemente registrata dalle didascalie delle tragedie dannunziane, trova un interessante rispecchiamento nella ricerca dell’americana Doris Humphrey (1895-1958), una delle madri fondatrici della modern dance, la quale si concentrò sulla dialettica tra caduta e recupero come elemento sostanziale del movimento nella sua componente fisiologica e psicologica.[27]

 Eleonora Duse e Febo Mari nel film Cenere, 1916. Screenshot da terzi.

A conclusione di questa nostra ricerca di segni e ritmi coreutici nel gesto di Duse, ci pare affascinante avanzare l’ipotesi di una lettura in chiave somatica e coreologica di alcune sequenze del film Cenere, diretto da Arturo Ambrosio e Febo Mari (anche protagonista maschile della pellicola) nel 1916. Il film, privo di sonoro, è l’unico documento in cui il movimento di Duse ci è restituito nel suo svolgersi pressoché naturale e costituisce un riscontro prezioso sulla qualità del lavoro dell’attrice. Di Duse in pellicola stupisce e commuove non solo l’essenzialità drammatica, che abbiamo imparato a riconoscere nelle fotografie, ma la raffinata fluidità interna che le permette di sostenere il gesto in economia di sforzo e legare un movimento all’altro, senza tuttavia perderne l’espressività specifica. Che si tratti di allargare le braccia, chinandosi in segno di umiliazione [Fig. 2], di portare le mani disperate sul capo o di porgere i palmi al figlio in direzione del figlio quale richiesta di accoglienza e di resa [Fig. 4], l’intero corpo di Eleonora aderisce in profondità all’azione, mutando impercettibilmente la curva della schiena, la tensione tendinea e la densità muscolare per tradurre il flusso delle emozioni. Ciò avviene ora in una concatenazione fluida, ora in un gesto repentino e lineare che riguarda un solo segmento corporeo, come quando indica alzando il braccio orizzontalmente [Fig. 1].

Il movimento di Duse in Cenere, che evidenzia l’autorialità di una grafia psichica affidata al corpo, fatta di segni chiari, articolati e coerentemente legati fra loro, è dunque assimilabile a una scrittura coreografica. Il gesto quotidiano assume qui tale valenza poetica da venire sostanzialmente straniato, tratto altrove rispetto alla stretta esigenza semiotica e diviene materiale per una seminale ‘coreografia d’attrice’. Non si tratta infatti, a nostro avviso, esclusivamente della possibilità di evidenziare la naturalità espressiva della tecnica dusiana, che il paragone con la recitazione inevitabilmente più enfatica di Mari rende palese, ma sottolineare il fatto che la conciliazione fra naturalismo e simbolismo, che Duse letteralmente incarna, si traduca anche in scrittura di danza. Una danza che, nelle parole di Duncan, è da riconoscersi in un movimento che veicola l’anima mentre esprime una visione del mondo.

Per me, la danza non è solo l’arte che attraverso il movimento consente all’anima umana di esprimersi, è anche il fondamento di una concezione più sciolta, armoniosa, naturale della vita.
Non consiste, come spesso si crede, di un insieme di passi più o meno arbitrari, esiti di combinazioni meccaniche, utili forse come esercizi di tecnica, ma privi di artisticità: semplici mezzi, non un fine.[28]

In alcuni istanti di Cenere il gesto di Duse si astrae anche dalla sua mera intenzione espressiva per divenire quasi ‘puro’ movimento:[29] per esempio, dopo essersi chinata di fronte al figlio Anania/Mari [Fig. 2], Rosalia/Duse lascia cadere repentinamente le braccia lungo i fianchi senza mutare la curvatura della schiena. Si tratta di una dinamica innaturale dal punto di vista fisico, ma che Duse utilizza eloquentemente. Ripetuto e impercettibilmente variato, dunque estraniato rispetto al gesto quotidiano o emotivamente mimetico, è anche il movimento delle braccia e della testa che Rosalia/Duse compie nel parlare con il figlio [Fig. 3]. Se in altri passaggi del film colpisce la capacità di Duse nella gestione del proprio peso corporeo nella camminata lenta all’indietro o la sua flessuosità nel chinarsi, nella sequenza compresa tra 23’e 30” e 24’ e 58” apprezziamo la millimetrica mobilità dell’intera parte superiore del corpo di Duse che, pur nella posizione seduta, si protende in avanti, si ritrae, si tocca il capo, si concede a una leggera spirale che scopre il profilo, mentre quasi infila la testa nello spazio del gomito.

 Eleonora Duse e Febo Mari nel film Cenere, 1916. Screenshot da terzi.

La totalità espressiva di Duse ci sembra così preannunciare future stagioni della grafia corporea: la danza espressionista che si affermerà a breve in Europa e, ben oltre la seconda metà del secolo, persino il Tanztheater di Pina Bausch. In alcune sequenze del film, il movimento ‘svuotato’ delle braccia di Duse sembra finanche prefigurare il celebre port de bras eseguito sull’aria di Purcell da Pina Bausch in Café Muller (1978).

Il lirismo umano che sostiene la gestualità di Duse in Cenere è dunque, da questo punto di vista, una promessa, presagio di una danza ancora a venire, scaturita anche da un inedito lavoro sul corpo. Apprendiamo infatti dalle lettere alla figlia Enrichetta e all’amica Emma Lodomez Garzes, che per la lavorazione del film, Duse si sottopose a un training fisico particolarmente impegnativo, necessario a trovare la giusta dinamica delle azioni. Come Duse sapeva, per aver studiato a fondo le caratteristiche del nuovo medium prima di accettare il ruolo nel film,[30] la ripresa cinematografica tendeva infatti a rendere più accelerato il gesto, penalizzandone la drammaticità. Per ovviare a questa problematica, l’attrice affronta dunque un allenamento specifico, scoprendo una nuova intensità del lavoro fisico:

 

Il 15 luglio devo essere pronta, d’anima e di corpo, per partire e andare a fare la mia film / (…) /affrontare la mia film, è, per me, come …/ un problema spirituale,/ e sono mesi che mi esercito![31]

 

In questa coincidenza tra lavoro fisico e «problema spirituale» riconosciamo un ulteriore spazio, o addirittura lo spazio, della danza di Eleonora Duse. Nell’equilibrio tra concretezza e astrazione del gesto, tra aderenza all’esigenza interna di una presenza integrata (corpo-psiche-spirito) e la sua comunicatività, tra immobilità abitata e spazialità nel movimento, l’arte di Eleonora Duse è dunque testimone della trasversalità tra teatro e danza di un corpo nuovo che è tratto fondante per gli studi teatrali del Novecento.

 Eleonora Duse nel film Cenere, 1916. Screenshot da terzi.

 

 

 

 


1 Significativo da questo punto di vista è l’analisi sulle immagini dell’attrice proposta da M. Schino, Eleonora Duse. Storia e immagini di una rivoluzione teatrale, Roma, Carocci Editore, 2023.

2 Ampia è la letteratura sulla storia della danza tra Ottocento e Novecento (pensiamo per esempio all’opera critica di E. Casini Ropa, E. Cervellati, S. Sinisi, solo per citare i nomi di alcune studiose italiane), tuttavia a proposito dell’ontologia di un corpo nuovo si veda A. Pontremoli, La danza. Storia, teoria, estetica nel Novecento, Roma-Bari, Laterza, 2004.

3 P. Veroli, Baccanti e dive dell’aria. Donne: danza e società 1900-1945, Città di Castello (PG), Edimond, 2001, p. X.

4 In italiano, si veda la bibliografia in S. Franco e M. Nordera (a cura di), I discorsi della danza. Parole chiave per una metodologia della ricerca, Torino, UTET, 2007.

5 Sul processo di autodeterminazione delle attrici, si veda: M. Schino, ‘Potere e disordine. Donne nel teatro tra Otto e Novecento’, Teatro e Storia, n.s., 42, 2021, pp. 75-99.

6 Sulla Tarantella in Casa di Bambola si rinvia a: D. S. Alamri, N. M. Alkhalagi, ‘A Doll’s House Tarantella: the Power of Transformation’, International Journal of Humanities and Social Science Invention, v. 11, n. 4, s. 1, April 2022, pp. 58-64; S. Christensen, ‘Nora’s Tarantella: Dancing on the Edge of Gender Norms’, Kultura, 2012, n. 136, pp. 163-175.

7 Così recita la dedica che introduce il dramma La Gioconda (1898).

8 G. d’Annunzio, Sogno d’un mattino di primavera, scena III e V, in G. d’Annunzio, Tutto il teatro, Newton, Roma, 1995, pp. 15, 22, 24.

9 A proposito dell’immaginario sulla danzatrice tra XIX e XX secolo si veda: B. Dijkstra, ‘Fiori velenosi. Le menadi della decadenza e il lamento ardente delle sirene’, in B. Dijkstra, Idoli di Perversità, Milano, Garzanti, 1988.

10 G. D’Annunzio, La Gloria, atto I, scena V.

11 G. D’Annunzio, La città morta, atto I, scena I

12 G. D’Annunzio, La città morta, atto III, scena III.

13 P. Veroli, Baccanti e dive dell’aria, pp. 55-84.

14 Alla biblioteca ritrovata di Eleonora Duse è dedicato: A. Sica, A. Wilson, The Murray Edwards Duse collection, Milano-Udine, Mimesis, 2012.

15 M. De Félicien, Histoire de la danse à travers les âges, Paris, Alcide Picard & Kaan, 1905.

16 I. Duncan, La mia vita, (prefazione di Eugenia Casini Ropa), Roma, Dino Audino, 2014.

17 S. Franco, ‘Eleonora Duse e Isadora Duncan. Soggettività, immaginari, rappresentazioni’, in M.I. Biggi, P. Puppa (a cura di), Voci e anime, corpi e scritture. Atti del Convegno Internazionale su Eleonora Duse, Venezia, 2008, Roma, Bulzoni, 2009, pp. 495-509.

18 Passo citato in S. Carandini, E. Vaccarino (a cura di), La generazione danzante. L’arte del movimento

in Europa nel primo Novecento, Roma, Di Giacomo Editore, 1997, p. 151.

19 Si veda in merito: S. M. Carnicke, ‘Duse and the Stanislavsky System of Acting’, in M. P. Pagani, P. Fryer (a cura di), Eleonora Duse and Cenere (Ashes). Centennial Essay, Jefferson, North Caroline, McFarland and Company Inc. Publishers, 2017, pp. 56-89.

20 H. Von Hofmannsthal, ‘L’impareggiabile danzatrice’, 1906. in G. Bemporad (a cura di), L’ignoto che appare. Scritti 1891-1914, Milano, Adelphi, 1991, p. 236.

21 Hofmannsthal, Ibidem.

22 Si veda il contributo in questo numero di Arabeschi di E. Marinai, ‘La danza mancata di Eros e Thanatos. Hofmannsthal, Duse e Craig per Elektra, Arabeschi, 24, 2024, http://www.arabeschi.it/la-danza-mancata-di-eros-e-thanatos-hofmannsthal-duse-craig-per-elektra-/ [accessed 20 September 2025].

23 Ibidem.

24 E. Raponi, ‘L'«Elettra» (1903) di Hugo von Hofmannsthal tra Sofocle e D'Annunzio’, Studia austriaca, XXI, 2013, p. 152.

25 G.A. Borgese, ‘Contemporaneità della Duse’, Comoedia, 10 maggio 1921.

26 H. Von Hofmannsthal, Gabriele D’Annunzio e Eleonora Duse, a cura di Arturo Mazzarella, Milano, Shakespeare & Company, 1983, p. 94.

27 E. Stodelle, La tecnica di danza di Doris Humphrey ed il suo potenziale creativo, Roma, Di Giacomo, 1987; D. Humphrey, L’arte della coreografia, Barbara Pollak (a cura di), trad. it. e introduzione di N. Giavotto, Roma, Gremese. 2001.

28 I. Duncan, ‘L’art de la danse’, L’Œuvre, n. 10-11, f. 34, 1911, trad. it. di S. Carandini, in S. Carandini, E. Vaccarino (a cura di), La generazione danzante. L’arte del movimento in Europa nel primo Novecento, p. 86.

29 Vale qui la pena almeno accennare al fatto che la nozione di movimento ‘puro’ è al centro della ricerca di Trisha Brown, coreografa statunitense, pioniera della postmodern dance, cioè della danza sperimentale degli anni Sessanta-Ottanta del Novecento.

30 S.M. Carnicke, ‘Duse and the Stanislavsky System of Acting’, p. 58.

31 M. Zannoni (a cura di), «Forse tu sola hai compreso». Lettere di Eleonora Duse a Emma Lodomez Garzes, Venezia, Marsilio, 2021, p. 146.