La danza mancata di Eros e Thanatos. Hofmannsthal, Duse e Craig per Elektra

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Eleonora Duse acquista i diritti per l’allestimento di Elektra di Hugo von Hofmannsthal nel novembre del 1904, ma lo spettacolo non si realizzerà mai. Il ritrovamento della prosa francese dell’Elektra, che Hofmannsthal ha scritto appositamente per l’attrice (a partire dalla prima versione in tedesco messa in scena da Reinhardt nel 1903), è opera di Taglioni nel 1977. Del fallimento di questa produzione, imputabile alla difficoltosa collaborazione tra Craig e la divina, si sono già occupati Cotticelli, Caretti, Mango, Simoncini. Non interessa perciò qui ricostruire «la cronaca di una morte annunciata», bensì capire quali informazioni sulle potenzialità attoriche di Duse possiamo ricavare da questa riscrittura, individuandone le varianti dal testo originario. L’autore tedesco aveva previsto alcune norme sceniche (Szenische Vorschriften), che sono state pubblicate per la prima volta nel 1903 dalla rivista «Das Theater». Vi sono poi le immagini di Craig per l’allestimento, compresi due bozzetti sui costumi e sulla danza finale, snodo chiave dell’intera opera. Facendo dialogare queste fonti con la corrispondenza tra il regista/scenografo e il conte Kessler, direttore dell’intero progetto, pare di poter intuire quale partitura mimico-gestuale, coreografica, luministica fosse stata pensata per Duse, la quale avrebbe dovuto, interpretando questa Elektra amletica e bacchica, compiere il primo passo di quel rinnovamento teatrale tanto auspicato da Kessler quando decise di mettere insieme i tre grandi artisti.  

Eleonora Duse bought the rights for a production of Elektra by Hugo von Hofmannsthal in November 1904, but the play never came to fruition. The rediscovery of the French prose of Elektra, which Hofmannsthal wrote especially for the actress (from the first German version staged by Reinhardt in 1903), was the work of Taglioni in 1977. Cotticelli, Caretti, Mango and Simoncini have already dealt with the failure of this production, attributable to the difficult collaboration between Craig and the divine. It is therefore of no interest here to reconstruct ‘the chronicle of a death foretold’, but rather to understand what information on Duse's acting potential we can derive from this rewriting, identifying the variants from the original text. The German author had provided some stage rules (Szenische Vorschriften), which were first published in 1903 by the magazine ‘Das Theater’. Then there are Craig's pictures for the staging, including two sketches of the costumes and the final dance, a key junction of the entire work. If we compare these sources with the correspondence between the director/scenographer and Count Kessler, director of the entire project, we can guess what mimic-gestural, choreographic and luministic score was intended for Duse, who, by interpreting this Hamletic and Bacchic Elektra, was to take the first step in the theatrical renewal so much desired by Kessler when he decided to bring the three great artists together.  

Eleonora Duse ottiene i diritti per la messinscena di Elektra di Hugo von Hofmannsthal nel novembre del 1904, a seguito del ritiro di Mario Fumagalli, capocomico dell’omonima compagnia. Il ritrovamento della prosa francese di Elektra, che Hofmannsthal ha realizzato appositamente per l’attrice (a partire dalla prima versione in tedesco messa in scena da Max Reinhardt nel 1903)[1], è opera dello studioso e regista Antonio Taglioni, il quale scopre il testo nel 1977 tra le carte dell’Archivio Biblioteca Burcardo di Roma.

L’autografo recita così:

Hugo von Hofmannsthal
Elektra
Tragédie en un acte
Traduction.
Exemplaire unique, pour servir à Madame Duse. H.H.
(NB. Les instructions nécessaires pour le peintre qui fera le décor et pour les lumières seront mises à part.)[2]

Finalmente Taglioni, settant’anni dopo, porterà a compimento il lavoro che spettava a Giovanni Pozza, critico del «Corriere della Sera», il quale, su consiglio di Marco Praga, avrebbe dovuto tradurre l’opera per la Divina.

Nel 1905 la traduzione di Pozza non è ancora pronta. Il termine massimo che Eleonora Duse aveva concordato con il critico è il maggio del 1906 e sussistono dubbi sulla quantità di tempo concessa per una traduzione che poteva essere consegnata più velocemente. Altrettanto incomprensibile è la questione che impedisce a Hofmannsthal di comunicare direttamente con Pozza senza ricorrere a intermediari, come invece avvenne.

Non occorre soffermarsi troppo sulla «storia di [questo] fallimento, tra il 1904 e il 1905»,[3] imputabile alla difficoltosa collaborazione tra Edward Gordon Craig e l’attrice, che è già stata oggetto di studio, con declinazioni diverse, per Francesco Cotticelli, Laura Caretti, Lorenzo Mango, Francesca Simoncini. Mango, nel capitolo dedicato a Elektra nel volume L’officina teorica di Edward Gordon Craig (2015)[4], spiega diffusamente il progetto di rinnovamento del teatro tedesco voluto dal conte Harry Kessler, che sta alla base di tutta questa vicenda, illustrando grazie ad un’attenta lettura della corrispondenza tra Craig e Kessler[5] come tutta la trattativa fosse nelle mani del conte («sotto la mia personale responsabilità», scrive il conte[6]), intenzionato a dar vita a un esperimento «modernista e simbolico»[7].

Interessa però capire quali informazioni sulle potenzialità attoriche di Eleonora Duse è possibile ricavare da questa riscrittura, provando a individuarne le apparentemente microscopiche varianti dal testo originario, confrontando le indicazioni sceniche di Hofmannsthal con i bozzetti di Craig e soprattutto intrecciando i fili che legano la recitazione ‘nervosa’ della divina con l’espressività coreica immaginata dall’autore per la danza finale. Un’estetica che incrocia le suggestioni derivate dai grandi cambiamenti sull’arte del movimento tra la fin de siècle ottocentesca e la prima metà del Ventesimo secolo (l’autore austriaco intraprende contatti con Ruth St. Denis, le sorelle Wiesenthal, Isadora Duncan e Vaclav Nižinskij) con l’interesse per la statuaria classica. Non bisogna dimenticare, infatti, che Hofmannsthal di lì a poco, nel 1908, sulla scorta delle letture di Nietzsche, Bachofen e Maillol, effettuerà quel viaggio in Grecia dedicato all’incontro con le Korai del museo di Atene[8].

L’autore, come è noto, aveva previsto alcune indicazioni di messinscena come accompagnamento alla première, pubblicate per la prima volta nel 1903 dalla rivista «Das Theater»[9], diretta da Christian Morgenstern. Le Szenische Vorschriften zu Elektra, tradotte in italiano dalla studiosa di letteratura tedesca Paola Maria Filippi,[10] illuminano su vari aspetti interessanti. Suddivise in Bühne (palcoscenico), Beleuchtung (illuminazione) e Kostüme (costumi), queste norme forniscono non solo la cornice funzionale alla comprensione del testo, ma anche la caratterizzazione dei personaggi, oltre naturalmente a indicazioni specifiche sull’ambientazione, sugli oggetti di scena, sulle luci e sui costumi, secondo le intenzioni dell’autore, che irrimediabilmente non saranno in sintonia con le intuizioni di Craig.

Quel che colpisce in prima battuta è la volontà di escludere dalla scena «banalità antichizzanti», «immagini convenzionali», come ad esempio le colonne, puntando piuttosto all’«ineluttabilità, alla ristrettezza, all’isolamento»[11] del palazzo reale e dunque della vita di Elettra, chiusa tra mura con pochissime finestre, ovvero aperture di dimensioni diverse e disposte in modo irregolare.[12] L’idea di grecità che Hofmannsthal ha in mente, in accordo con lo Zeitgeist, rimanda a Nietzsche, a lui familiare, a Burckhardt, a Bachofen e Rohde, che offrivano l’immagine di una Grecia anti-winckelmanniana, selvaggia, dionisiaca, sensuale, più vicina se si vuole alla visione aorgica dell’Hölderlin traduttore di Sofocle, che per primo aveva messo in dubbio il classicismo tedesco e che Hoffmansthal ammira manifestamente, come dichiara su «The Dial». I riti orgiastici e le credenze demoniache assumono un peso centrale nella sua riscrittura, dove l’eco dell’Amleto shakespeariano dell’incipit – con l’impossibilità di agire – cede il passo, nell’esodo, alla danza estatica che rappresenta per Elettra la ‘manìa’ in quanto saggezza, ossia il superamento della dimensione della parola che opprime, verso una libertà che però si traduce in afasia (si pensi all’intimazione conclusiva «taci e danza»[13]) e infine in morte.

L’idea registica principale sottesa alle intenzioni dell’autore è volta a evidenziare la forza evocativa delle parole concretizzandone l’aspetto coloristico (si vedano le numerosissime occorrenze, sia in tedesco che in francese, dei termini «sangue» e «rosso»)[14] con chiazze di luce vermiglia, accostate al nero cupo, come per l’ombra del fico o per il riflesso delle macchie di sangue sul muro, come accade nel lungo monologo di Elettra che l’autore immagina vestita di un abito cencioso, troppo corto per lei, dilaniato come il suo animo. Tuttavia, è noto come Craig, dal canto suo, abbia vagheggiato tutt’altre vesti per Elektra-Duse, ossia tre tuniche sovrapposte: nera, grigia, bianca. Anche l’aspetto relativo alla decisione dei costumi sembra non sia stato ben accolto da Duse, la quale non soltanto disapprova la proposta di Craig, ma è del parere che la scelta spetti a lei in quanto prima attrice (regina del teatro italiano), come avveniva di fatto nelle compagnie dei ruoli ottocentesche. Per l’allestimento di Rosmersholm di Ibsen a Firenze, Craig scrive significativamente:

Con Isadora in Italia, lì per preparare le scene per Rosmersholm per Eleonora Duse, soprattutto per amor di Isadora. Tempo perso a causa dell’incapacità di Duse di essermi di qualsiasi aiuto – e lei un’italiana in Italia e la regina del teatro italiano![15]

L’incontro ufficiale tra l’attrice e il giovane regista-scenografo avviene per intercessione di Isadora Duncan, a Berlino, nell’autunno del 1906, ma i due avevano già avuto modo di intraprendere la via di una collaborazione, ai primi mesi dell’anno precedente pur senza «trattative dirette»[16], per alcuni progetti mai realizzati.

 Ritratto di Eleonora Duse, 1905, ph. Mario Numes Vais, Archivio Duse, Istituto per il Teatro e il Melodramma, Fondazione Giorgio Cini, Venezia

Eleonora Duse in quegli anni [Fig. 1] è desiderosa di avviare nuove collaborazioni non soltanto con autori che ammira, ma anche con personalità del teatro in cerca di un rinnovamento culturale – D’Annunzio prima, poi Lugné-Poë e Craig.[17] L’attrice non è esente dal fascino che su di lei esercita la possibilità di ‘montare’ la scena (termine che usa per Rosmersholm, per esempio)[18], di essere di fatto metteur en scéne e costumista (come accade per Hedda Gabler di Ibsen). Francesca Simoncini intitola un intero volume proprio a Eleonora Duse capocomica (2011)[19], e in un capitolo della sua ultima fatica, di recente pubblicazione (Eleonora Duse. Storia e immagini di una rivoluzione teatrale, 2023), Mirella Schino tratta di Duse ‘attrice-capo’[20]. Pertanto, è comprensibile che ella, dotata di talento e ambizione, non accetti le intromissioni del «pittore inglese»[21] (come aveva l’abitudine di chiamarlo), il quale, presentato spesso nelle vesti di scenografo, di fatto ricopre una funzione registica, ruolo che comprende anche la direzione degli attori. Craig, peraltro, afferma di aver iniziato a disegnare i bozzetti dopo aver letto una dozzina di volte il testo di Hofmannsthal, la cui traduzione non gli piace, non lo ispira abbastanza. Solo dopo molte riletture cominciano a configurarsi linee, colori, movimenti, permettendo dunque il passaggio dal testo al disegno di scena. Una delle sue preoccupazioni principali, quando alcune idee cominciano a prendere forma, è «persuadere la Duse che non sarà sommersa dalla scena».[22] In effetti si tratta di screens che sovrastano la black figure di Elettra, che si staglia sul muro del palazzo degli Atridi, incappucciata. L’enorme portale viene poi ridimensionato in proporzione all’altezza dell’attrice. Nel finale, che qui più interessa, la veste nera a lutto diviene una spirale bianca e il volto di Eleonora appare velato e per questo più misterioso. Alcuni critici paragonarono la danza di Elettra immaginata da Hofmannsthal a quella di Salomé, ma il disegno di Craig ci mostra tutt’altro: non esibizionismo, non oscenità, ma un movimento drammatico appena accennato, uno slancio in aria che è presumibile Duse potesse apprendere dall’amica Isadora [Fig. 2].[23] Viene da chiedersi, a questo punto, come Duse avrebbe pensato di indossare il corpo dell’Elektra di Hofmannsthal e cosa, viceversa, pensava Hofmannsthal per Duse in vesti di Elektra.

 Elaborazione grafica di Lindita Adalberti del figurino di Edward Gordon Craig per Eleonora Duse in Elektra di Hugo von Hofmannsthal, che si trova alla Bibliothèque Nationale di Parigi

Sappiamo che, a differenza di Adelaide Ristori, precedente grandattoriale che interpreta quasi esclusivamente monumentali eroine tragiche, Eleonora Duse non ha mai amato le interpretazioni classiche, prediligendo figure melodrammatiche, donne caratterizzate dal disagio esistenziale, da una certa alienazione nei confronti della società, abituate a dissimulare emozioni e sentimenti, esprimendo in una cosiddetta ‘maniera moderna’ la crisi della recitazione tradizionale, che è specchio della crisi della società del tempo. Come scrive Donatella Orecchia: «la sua recitazione non esprime naturalezza bensì frattura e artificio; non compiutezza armonica bensì disarmonia e conflittualità di tratti».[24]

Malgrado questa avversione per il tragico antico ella – ricorda Simoncini – ha già recitato come Elettra a ventuno anni nell’Oreste alfieriano, accanto a grandi attori e attrici tra cui Giovanni Emanuel (Pilade), Achille Mayeroni (Oreste) e Giacinta Pezzana (Clitemnestra).[25] Armando Petrini cita il commento critico di Gaspare di Martino che, nel 1902, alla morte di Emanuel, menziona la recita di quell’Oreste alla stregua di un ‘duello’ tra due modi interpretativi diversi, quello di Emanuel-Pilade, appunto, e quello di Majeroni-Oreste, affermando come nel confronto la voce di Emanuel suonasse ‘nuova’, vincente. Majeroni e Pezzana rappresentavano dunque il passato, mentre Emanuel e verosimilmente Duse incarnavano il nuovo, volto a bandire la ‘recitazione classica’.[26] Hofmannsthal, d’altro canto, è consapevole di non desiderare una tale recitazione da parte di Eleonora, ed anzi il conte Kessler vuole l’attrice-divina proprio perché il suo stile è rivoluzionario, attuale, nervoso.[27] Hofmannsthal aveva capito, vedendola recitare a Vienna,[28] che ella era in grado di interpretare quel che sta ‘in mezzo al testo’, o per dirla con un termine a noi più vicino, il sottotesto. Come scrive Schino già nella sua pubblicazione del 1992, l’attrice era in grado di dare voce ai «vuoti dei personaggi e dei testi»,[29] ai silenzi, ai dettagli, alle ambiguità dei chiaroscuri, ai micro-movimenti della testa, delle mani, delle spalle. In poche parole, con lei divengono fondamentali le cosiddette ‘controscene’.

Dal canto suo, Hofmannsthal, insoddisfatto di come erano messe in scena le sue opere, sfiduciato nei confronti della capacità espressiva della parola, non solo si dedica a ‘opere mute’ (pantomime e balletti), ma intride alcuni suoi drammi, tra cui Elektra, dei colori del movimento mimico e coreografico, della luce espressionista e simbolica, della potenza vitalistica del ritmo, del suono, anche nelle opere non in musica.

Da un lato, quindi, una «sublimazione della danza» come «risposta alla crisi del linguaggio e, nel dettaglio, alla sua identità di poeta»,[30] dall’altro la volontà di filtrare il mito classico attraverso una sensibilità tutta moderna veicolata dalla nuova danza e da una nuova idea di corpo:[31] l’autore intende parlare alla sua generazione. Una generazione che, sul crinale tra Ottocento e Novecento, sta conoscendo i primi approcci del pensiero psicoanalitico, gli scritti di Freud, il suo modo di attingere ai miti per spiegare la complessità delle relazioni umane e i conflitti interiori; e sta conoscendo anche gli studi sull’isteria di Freud e Breuer. Hofmannsthal annovera Studien über Hysterie (1895) dei due psichiatri tra le letture preparatorie alla stesura di Elektra.[32] È in quest’ottica che si deve leggere la forma anticlassica della sua versione del mito, un atto unico con personaggi fortemente connotati psicologicamente, soprattutto quelli femminili: la protagonista, la sorella Crisotemide e la madre Clitemnestra, che hanno un diverso approccio alla sessualità e al femminino. Elettra, che secondo un’etimologia meno frequentata[33] è a-lektros, nubile, che vive della sorellanza con Oreste e del fardello della vendetta incompiuta (in Hofmannsthal ella sarà talmente impotente da non riuscire neanche a consegnare la scure al fratello); Crisotemide, desiderosa di nozze e di prole, alla quale però Elettra prospetta una vita nubile come la sua, secondo il destino spettante a una figlia cui muoia uno del genitori e l’altro si risposi; infine Clitemnestra, tutta letto e sangue, agli occhi della figlia solo bestia in calore («Elektra: è mostruoso pensarlo, è mostruoso dirlo colla propria bocca! Essere donna! Essere l’altro in cui gode a penetrare l’assassino dopo avere commesso il suo delitto. Fare la parte della bestia per dar piacere alla peggiore delle bestie»)[34].

In questa che è una delle immagini più crude della riscrittura del poeta austriaco rantoli di morte e lamenti di piacere si confondono nelle orecchie della figlia che ascolta e spia dietro le porte del palazzo. Elettra si addentra nella descrizione macabra della madre che si accoppia con il marito Agamennone occludendogli la vista con i propri seni mentre fa cenno a Egisto di entrare con l’ascia in pugno per ucciderlo. Dall’altra parte, Clitemnestra accusa la figlia di «parlare come un medico» («wie ein Artz»), mentre tenta di spiegare alla madre con un linguaggio ambiguo e allusivo il significato dei suoi incubi, ossia la rivelazione onirica del senso di colpa per l’assassinio di Agamennone.

Nell’opera i due piani del mito e della psicanalisi si intrecciano e la figura femminile primonovecentesca, con la sua complessità interiore e relazionale, si sovrappone alla morfologia della menade, alla follia della baccante che sprigiona la propria essenza per superare un trauma, attraverso un movimento incontrollato e sensuale così lontano dai canoni della danza d’école.

A tal proposito è interessante ricordare che una personalità molto vicina all’autore austriaco è Hermann Bahr, di cui nel 1903 Hofmannsthal legge Dialog vom Tragischen[35], in cui le teorie di Freud e Breuer sull’isteria come condizione causata dalla repressione e sul suo rilascio attraverso l’abreazione sono applicate alla tragedia greca.[36]

Allora, nel finale, culmine di questa tragedia che incontra il dramma psicologico, Eleonora Duse avrebbe dovuto ballare come una menade? A piedi nudi come Isadora Duncan? L’autore austriaco la vede come una danzatrice estatica, pertanto l’attrice avrebbe potuto verosimilmente assumere la posa più nota di Isadora, con l’inarcamento parossistico del busto all’indietro e la testa reclinata come nelle raffigurazioni delle Baccanti in vesti svolazzanti e tirso tra le mani.

Già Mango e Simoncini hanno fatto notare come i bozzetti di Craig per la danza di Duse-Elektra ricalchino le pose di Isadora Duncan; e Patrizia Veroli, rievocando le ricerche di Charcot alla Salpétrière[37], scrive che

quando Jean-Martin Charcot esplora all’Ospedale parigino della Salpêtrière i segni esterni di un disagio che chiama “isteria”, ritiene di trovarlo in quelle “pose plastiche” del corpo con cui la “malata” assume “atteggiamenti passionali” ed “estatici”. In una di queste pose, l’arc de cercle, il busto è inarcato e le parti del corpo femminile legate all’erotismo e alla riproduzione sono esposte in piena vista. La testa è riversa, gli occhi sono chiusi.[38]

Si tratta di un inarcamento della parte superiore della colonna vertebrale, un movimento familiare tanto all’iconografia attica a figure rosse o nere raffigurante il corteo dionisiaco quanto al repertorio moderno delle ginnaste, delle danzatrici o delle acrobate. D’altra parte, lo ‘stigma’ della danzatrice rapita dall’estasi che trasgredisce le norme del pudore borghese, come già insegna Veroli, e che ricorda i segni apotropaici della trance dionisiaca – il Pathosformel spiraliforme della baccante –[39] è diffusissimo in Francia e in Europa tra fine Ottocento e Novecento soprattutto negli ambienti colti; così come per tutto il diciannovesimo secolo – di nuovo Orecchia – «l’immaginario del corpo nervoso inva[s]e la cultura europea».[40]

È indubbio, peraltro, come l’atteggiamento estatico incarnato da Isadora Duncan nelle sue esibizioni mostri un’evidente analogia non solo con le dimostrazioni pubbliche alla Salpêtrière, ma anche giust’appunto con le espressioni e le pose cosiddette “nervose” di molte attrici dell’epoca, dive del teatro e del cinema, tra cui anche Eleonora Duse, la cui recitazione – afferma Molinari – :

era un complesso tessuto di stilemi alle cui estremità si ponevano da una parte il dominante movimento automatico, frequente, disattento, e dall’altra il silenzio gestuale, ma che comprendeva anche episodi di tradizionale espressività, scoppi di movimento furioso, quel vago esaltato agitar delle braccia che pareva non aver alcun senso determinato, […] momenti di estrema teatralizzazione, di una quasi isterica esibizione di un contenuto sentimentale neppure voluto, ma semplicemente supposto. [41]

Rispetto alla prima versione, nel testo francese per la sua attrice prediletta, Hofmannsthal si spinge ancora più avanti riguardo alla caratterizzazione psicologica dei personaggi, esplorando in modo più profondo e incisivo le loro complessità interiori. In particolare, egli preme sul tasto della visione orrifica, creando un’atmosfera che amplifica le emozioni e le tensioni presenti nella narrazione. Queste piccole modifiche, sebbene possano sembrare minime a una prima lettura, segnano in realtà una differenza sostanziale nel modo in cui i personaggi vengono percepiti e interpretati. Tale aspetto porta a riflettere sulle specifiche modalità interpretative dell’attrice che avrebbe dovuto incarnare Elettra con la sua consueta straordinaria intensità. La capacità di Eleonora Duse di trasmettere emozioni profonde e autentiche nel pubblico ha lasciato un’impronta indelebile nel panorama teatrale e Hofmannsthal nel suo lavoro sembra aver avuto ben presente questa sua straordinaria abilità.

È interessante considerare, per esempio, come Hofmannsthal immaginasse la sua Elettra come una figura folle, passionale e cruda, che incarna le tensioni e le contraddizioni dell’animo umano. Questa visione di Elettra non è solo un riflesso dei suoi studi, ma anche un omaggio alla potenza espressiva di Duse, che ha saputo dare vita a personaggi complessi e sfaccettati. A tal proposito, il testo francese arricchisce la comprensione del processo creativo che ha legato l’autore all’attrice, evidenziando come la loro interazione abbia influenzato la riscrittura dell’opera.

La tavola sinottica sottostante illustra alcune varianti delle due edizioni del testo, in particolare nella versione francese l’aggiunta di didascalie e la ricerca di alternative semantiche:

 

1903, in tedesco

Trad. it. Bemporad

1904-5, in francese

Trad. it. Taglioni

Chrysothemis: Du bist entsetzlich!

[p. 29] No, tu sei tremenda!

Tu fais horreur! (Tu es affreuse - terrible)

[p. 35] Mi fai orrore! (Sei spaventosa – terribile)

Elektra: Du Kind! Du Kind! Du kommst, verstohlen bist du gekommen, von dir selber redest du als wie von einem Toten, und du lebst!

[p. 119] Bimbo! Bimbo! Tu vieni, di nascosto sei venuto, e tu parli di te stesso come di un morto, e tu sei vivo!

(pleine de fiévre) Ah, l’enfant, l’enfant! Tu arrives furtivement, de toi même tu parles comme on parle d’un mort, et te voilà vivant!

[p. 99] (In preda alla febbre) Ah, ragazzo, ragazzo! Arrivi di nascosto, parli di te come si fa di un morto, ed ecco che sei vivo!

Aegisth: erschrickt vor der wirren Gestalt im zuckenden Liht, weicht zurück

Was ist das für ein unheimliches Weib?

[p. 133] trasalisce davanti alla figura sconvolta nella luce oscillante, indietreggia

Chi è questa donna spettrale?

(recule un peu devant cette forme vague dans la lumière mal-sûre) Quelle est cette

femme inquiétante

louche

spectrale

hagarde

[p. 108] (arretra un poco davanti a quella forma vaga nella luce incerta). Chi è questa donna spettrale?

Aegisth: Bis zur Tür. Was tanzest du? Gib Obacht.

[p. 109] Sì, fino alla porta. Perché danzi? Sta’ attenta.

Jusqu’à la porte. Fais attention.

[p. 109] Fino alla porta. Attenta!

 

Nella seconda versione allo scambio di battute tra Oreste ed Elettra l’autore aggiunge alcune didascalie sullo stato d’animo dei personaggi: Oreste «con voce affaticata» («avec une certaine fatigue dans la voix»)[42] ed Elettra «in preda alla febbre» («pleine de fièvre»),[43] quindi isterica, febbricitante di follia. Immaginiamo una Duse con la fronte imperlata di sudore e lo sguardo stralunato, come accade anche qualche battuta dopo, quando un’altra didascalia recita «selvaggiamente» («sauvage»)[44], e ancora, più avanti: «come una fiera chiusa in gabbia» («comme un animal dans sa cage»)[45], fino a «gridando come un demone» (criant comme un démon)[46], in questa climax ascendente di turbamento emotivo.

Interessante è anche la proposta di Hoffmansthal che opta per quattro varianti del modo in cui Egisto vede Elettra e quasi non la riconosce, tanto ella è «inquiétante / louche / spectrale / hagarde»:[47] varianti che si trovano solo nel testo francese e che Taglioni non traduce, limitandosi a «spettrale»[48] come indicato nel testo tedesco.

Nel testo francese Egisto, poco prima di essere assassinato dalla mano di Oreste, non chiede a Elettra cosa stia danzando o perché (a seconda di come si intenda tradurre la particella Was), ma l’eroina sta effettivamente ballando. La didascalia immediatamente successiva a questa battuta, infatti, descrive Elettra intenta in una lugubre, sinistra danza, che la porta a curvarsi improvvisamente: è questo l’arc de cercle.

Vi è poi il finale, dove la richiesta di silenzio da parte di Elettra alla sorella, e per esteso a tutti gli astanti, attraverso la celebre battuta «taci e danza»,[49] suggella il momento supremo e decisivo della tragedia. Un’assenza della parola che però farà spazio alla musica. Tale volontà di sostituire il logos con musica e movimento è incorniciata da due didascalie che, nella traduzione di Taglioni, recitano così, mettendo in risalto la somiglianza della danza ‘indescrivibile’ (letteralmente «senza nome») di Elettra con quella delle menadi: «Elektra scende dai gradini della porta, la testa rovesciata come una menade; alza nell’aria le ginocchia, tende le braccia. È una danza indescrivibile quella che compie avanzando lentamente»; «Fa ancora qualche passo trionfale, in preda a un’esaltazione folle e cade come fulminata»[50]. Qui Taglioni commenta in una nota del traduttore:

La morte di Elektra è la variante più notevole rispetto al mito come lo leggiamo in Sofocle. La musica e la danza annullano la parola mentre la menade cade fulminata. Anche Eleonora Duse nei momenti più sublimi della sua arte era vista da Hofmannsthal come una danzatrice in estasi dionisiaca.[51]

Contrariamente a quanto afferma Mango, che la definisce piuttosto una danza mistica, di esaltazione spirituale, Taglioni vi intravede una qualità orgiastica, di sfrenatezza bacchica.

Una sfrenatezza e un’estasi, che esprimono il tentativo di risanare la frattura tra logos e Körper quale fusione di corpo, anima e spirito, nella corrispondenza tra stati interiori ed esteriori, tra emozione e movimento.

Ad ogni modo, indipendentemente dalle sottigliezze esegetiche e dalle ambiguità semantiche che un testo così complesso stimola, l’incrocio delle fonti a disposizione per lo studio di questa non compiuta messinscena e fallita collaborazione tra Gordon Craig ed Eleonora Duse conduce a ipotizzare che, a dispetto di ogni reciproca incomprensione tra i due, sia per l’uno sia per l’altra l’articolazione dell’azione in Elettra sia trattata come una scrittura scenica, una drammaturgia del movimento.[52] Il silenzio, la danza, la musica che caratterizzano il finale dell’opera possono rappresentare per la grande attrice un’occasione di riflessione su come rappresentare il lato oscuro dell’essere. Un aspetto su cui Eleonora Duse da sempre lavora molto, sul piano dell’interpretazione psicologica e gestuale, del corpo nel suo farsi corpo-grafìa.

 

 

1 La prima versione al Kleines Theater di Berlino, con Gertrud Eysoldt quale protagonista, poi musicata da Richard Strauss.

2 H. von Hofmannsthal, Elektra, a cura di A. Taglioni, Milano, Mondadori, 1978, p. 3.

3 F. Cotticelli, ‘L’altra verità: Kessler, Craig e l’affaire Hofmannshal-Duse’, in M. I. Biggi, C. Franzini, C. Grazioli, M. Maino (a cura di), La scena di Mariano Fortuny, Atti del Convegno Internazionale di Studi Padova-Venezia 21-23 novembre 2013, Roma, Bulzoni, 2016, p. 213; si veda anche Id., ‘Hofmannsthal e la Duse intorno all’Elektra’, in M. I. Biggi, P. Puppa (a cura di), Voci e anime, corpi e scritture, Atti del Convegno internazionale su Eleonora Duse, Venezia, 1-4 ottobre 2008, Roma, Bulzoni, 2009, pp. 253-265.

4 L. Mango, L’officina teorica di Edward Gordon Craig, Corazzano, Titivillus, 2015, pp. 192-204.

5 Cfr. E. G. Craig, G. H. Kessler, The Correspondence of Edward Gordon Craig and Harry Kessler, a cura di L.M. Newman, Leeds, W.S. Maney, 1995.

6 Lettera del 1° febbraio 1905, in Ivi, p. 33.

7 L. Mango, L’officina teorica di Edward Gordon Craig, p. 193.

8 R. Ascarelli, ‘La danza delle Korai. Hofmannsthal in Grecia’, in Ead. (a cura di), Il classico violato. Per un museo letterario del Novecento, Roma, Artemide, 2004, pp. 57-80.

9 Cfr. H. von Hofmannsthal, Sämtliche Werke, Frankfurt am Main, Fischer Verlag, 1997, pp. 379-381. Cfr. anche P.M. Ward, ‘Hofmannsthal, Elektra and the Representation of Women’s Behaviour Through Myth’, German Life and Letters, 53, 1, 2000, p. 39.

10 Cfr. P.M. Filippi, ‘Appendice’ a ‘Una rilettura novecentesca. L’“Elektra” di Hugo von Hofmannsthal fra mito e psicanalisi’, in M. Guardini (a cura di), Elettra a scuola, Trento, Giovanni Prati, 2007, pp. 57-60.

11 M. Mayer, ‘Hugo von Hofmannsthal: Elektra’, in Große Werke der Literatur XIII, a cura di Günter Butzer, Francke, Hubert Zapf, 2015, p. 164.

12 Cfr. P.M. Filippi, ‘Appendice’ a ‘Una rilettura novecentesca’, p. 58.

13 La battuta è significativamente ripresa nel titolo del saggio di F. Gioviale, ‘“Taci e danza” (Hofmannsthal): furori e orgiasmi da Salomé a Elektra’, in R. Alonge (a cura di), L’impero dei sensi: da Euripide a Oshima, Bari, Edizioni di Pagina, 2009, pp. 261-274.

14 In tedesco il potere evocativo del significante è maggiore perché la parola Blut (sangue) è accompagnata da allitterazioni che si creano con parole di simile suono come Bad (letto), Beil (scure).

15 E.G. Craig, Index To The Story Of My Days, London, Hulton Press, 1957, pp. 290-292.

16 Cfr. F. Simoncini, Rosmersholm di Ibsen per Eleonora Duse, Pisa, ETS, 2005, p. 132, n. 94. Per l’incontro tra Duse e Duncan cfr. anche S. Franco, ‘Eleonora Duse e Isadora Duncan. Soggettività, immaginari, rappresentazioni’, in M.I. Biggi, P. Puppa (a cura di), Voci e anime, corpi e scritture, pp. 495-510.

17 Cfr. L. Caretti, ‘Craig, la Duse e l’arte del teatro’, in G. Isola, G. Pedullà (a cura di), Gordon Craig in Italia, Atti del Convegno internazionale di studi (Campi Bisenzio, 27-29 gennaio 1989), Roma, Bulzoni, 1993, p. 48; e M. Schino, Eleonora Duse. Storia e immagini di una rivoluzione teatrale, Roma, Carocci, 2023, pp. 215-229.

18 Cfr. L. Caretti, ‘Craig, la Duse e l’arte del teatro’, p. 48.

19 F. Simoncini, Eleonora Duse capocomica, Firenze, Le Lettere, 2011.

20 M. Schino, Eleonora Duse, pp. 115-118.

21 Lo chiama così nelle lettere: Cfr. Ivi, p. 50.

22 Lettera di Craig a Kessler, da Mosca, 5 febbraio 1905. Cfr. L. Caretti, ‘Craig, la Duse e l’arte del teatro’, p. 60.

23 Sui proficui rapporti tra Duse e Duncan cfr. almeno il già citato S. Franco, ‘Eleonora Duse e Isadora Duncan: soggettività, immaginari, rappresentazioni’, pp. 495-509.

24 D. Orecchia, La prima Duse. Nascita di un’attrice moderna (1879-1886), Roma, Artemide, 2007, pp. 121-122.

25 Cfr. F. Simoncini, Rosmersholm di Ibsen per Eleonora Duse, p. 185.

26 Cfr. A. Petrini, Attori e scena nel teatro italiano di fine Ottocento. Studio critico su Giovanni Emanuel e Giacinta Pezzana, Torino, Accademia University Press, 2012, pp. 56-57.

27 Sulla recitazione cosiddetta ‘nervosa’ di Eleonora Duse, che costringe la critica ad attingere alla terminologia clinica Cfr. D. Orecchia, ‘“Un gusto immorale dell’arte”: fra repertorio moderno e nevrosi stilistica’, in M. I. Biggi, P. Puppa, Voci e anime, corpi e scritture, pp. 147-162.

28 Cfr. il fondamentale contributo di S. Bellavia, Vienna e la Duse (1892-1909), Bari, Edizioni di Pagina, 2017.

29 M. Schino, Il teatro di Eleonora Duse, Bologna, Il Mulino, 1992, p. 61.

30 V. M. Lucchetti, ‘“La Torre”. La Totentanz dell’Unpolitischen in Hugo von Hofmannsthal’, Danza e ricerca. Laboratorio di studi, scritture, visioni, anno XVI, numero 17, 2024, p. 71.

31 Cfr. almeno E. Randi, Il corpo pensato. Teorie della danza del Novecento, Roma, Audino, 2020.

32 Cfr. L. Martens, ‘The Theme of the Repressed Memory in Hofmannsthal’s Elektra’, The German Quarterly, 60, 1, 1987, p. 39.

33 Cfr. G. Avezzù, Introduzione a Elettra. Variazioni sul mito, Venezia, Marsilio, 2002, p. 9.

34 H. von Hofmannsthal, Elektra, trad. it. di Antonio Taglion', p. 35. Nel testo originale (Ivi, p. 34): «Horreur (Interjection) qui le pense, horreur qui le prononce de sa bouche! Être femme! Être l’antre dans lequel l’assassin après l’assassinat aime à se vautrer. Jouer l’animal, qui offre la jouissance au pire animal».

35 Cfr. H. e G. von Hofmannsthal – H. Bahr, Briefwechsel 1891-1934, edizione e note a cura di Elsbeth Dangel-Pelloquin, Göttingen, Wallstein, 2013.

36 Oltre al già citato studio di L. Martens, ‘The Theme of the Repressed Memory in Hofmannsthal’s Elektra’, si veda il più recente P. Barbetta, I linguaggi dell’isteria, Milano, Mondadori, 2010.

37 Come è noto, Jean-Martin Charcot condusse all’Ospedale parigino della Salpétrière studi neurologici anche sulle pose delle cosiddette ‘isteriche’, molte delle quali erano delle vere e proprie ‘messe in scena’, stilando un repertorio iconografico di notevole interesse: Cfr. G. Didi-Huberman, Invention of Hysteria. Charcot and the Photographic Iconography of the Salpêtrère, Paris, Éditions Macula, 1982 (ed. it.: Id., L’invenzione dell’isteria. Charcot e l’iconografia fotografica della Salpêtrière, Milano, Marietti, 2020);

38 P. Veroli, ‘Le danze di Isadora Duncan e l’Italia’, in M. F. Giubilei, C. Sisi (a cura di), A passi di danza: Isadora Duncan e le arti figurative in Italia tra Ottocento e Avanguardia, in collaborazione con Rossella Campana, Eleonora Barbara Nomellini e Patrizia Veroli, Catalogo della mostra (Firenze, Villa Bardini, 13 aprile-22 settembre 2019) Polistampa, Firenze 2019, p. 19. Sul racconto del passaggio dalla fenomenologia sonnambolica alla sintomatologia isterica, insuperato è lo studio di C. Gallini, La sonnambula meravigliosa. Magnetismo e ipnotismo nell'Ottocento italiano, Milano, Feltrinelli, 1983.

39 Cfr. M. Fusillo, Il dio ibrido. Dioniso e le “Baccanti” nel Novecento, Bologna, Il Mulino, 2006, p. 48. Sul Pathosformel Cfr. almeno D. Marchiori, ‘L’enigma “isteria”. Peregrinazioni di una Pathosformel’, Leitmotiv, n. 4, 2004, pp. 171-194.

40 D. Orecchia, ‘Appunti sull’immaginario dei nervi e il corpo scenico ottocentesco’, Arabeschi, 1, gennaio-giugno 2013, p. 110.

41 C. Molinari, L’attrice divina. Eleonora Duse nel teatro italiano tra i due secoli, Roma, Bulzoni, 1985, p. 124.

42 H. von Hofmannsthal, Elektra, a cura di Antonio Taglioni, pp. 98-99.

43 Ibidem.

44 Ivi, pp. 100-101; nel precedente tedesco: «wild».

45 Ivi, pp. 104-105; nel precedente tedesco: «wie das gefarigene Tier im Käfig»

46 Ibidem; nel precedente tedesco: «schreit auf wie ein Dämon».

47 Ivi, pp. 108.

48 Ivi, p. 109.

49 Ivi, p. 115. In francese «Tais-toi, et danse»; in tedesco «Schweig, und tanze».

50 Ivi, pp. 113-115. In francese e in tedesco le due didascalie recitano così. Prima didascalia: «Elektra descend les marches de la porte. Elle a la tête renversée comme une ménade. Elle jette dans l’air ses genoux, elle tend ses bras: c’est una danse sans nome dans laquelle elle avance lentement»; «Elektra hat sich erhoben. Sie schreitet von der Schwelle herunter. Sie hat Kopf zurückgeworfen wie eine Mänade. Sie wirft die Knie, sie reckt die Arme aus, es ist ein namenloser Tanz, in welchem sie nach vorwärts schreitet»; seconda didascalia: «Elle fait encore quelques pas du triomphe le plus exalté et tombe comme foudroyée»; «Sie tut noch einige Schritte des angespanntesten Triumphes und stürzt zusammen».

51 Ivi, p. 115, n. 1.

52 Per il concetto sotteso all’espressione “drammaturgia del movimento” cfr. L. Mango, L’officina teorica di Edward Gordon Craig, p. 248.