Eleonora Duse ottiene i diritti per la messinscena di Elektra di Hugo von Hofmannsthal nel novembre del 1904, a seguito del ritiro di Mario Fumagalli, capocomico dell’omonima compagnia. Il ritrovamento della prosa francese di Elektra, che Hofmannsthal ha realizzato appositamente per l’attrice (a partire dalla prima versione in tedesco messa in scena da Max Reinhardt nel 1903)[1], è opera dello studioso e regista Antonio Taglioni, il quale scopre il testo nel 1977 tra le carte dell’Archivio Biblioteca Burcardo di Roma.
L’autografo recita così:
Finalmente Taglioni, settant’anni dopo, porterà a compimento il lavoro che spettava a Giovanni Pozza, critico del «Corriere della Sera», il quale, su consiglio di Marco Praga, avrebbe dovuto tradurre l’opera per la Divina.
Nel 1905 la traduzione di Pozza non è ancora pronta. Il termine massimo che Eleonora Duse aveva concordato con il critico è il maggio del 1906 e sussistono dubbi sulla quantità di tempo concessa per una traduzione che poteva essere consegnata più velocemente. Altrettanto incomprensibile è la questione che impedisce a Hofmannsthal di comunicare direttamente con Pozza senza ricorrere a intermediari, come invece avvenne.
Non occorre soffermarsi troppo sulla «storia di [questo] fallimento, tra il 1904 e il 1905»,[3] imputabile alla difficoltosa collaborazione tra Edward Gordon Craig e l’attrice, che è già stata oggetto di studio, con declinazioni diverse, per Francesco Cotticelli, Laura Caretti, Lorenzo Mango, Francesca Simoncini. Mango, nel capitolo dedicato a Elektra nel volume L’officina teorica di Edward Gordon Craig (2015)[4], spiega diffusamente il progetto di rinnovamento del teatro tedesco voluto dal conte Harry Kessler, che sta alla base di tutta questa vicenda, illustrando grazie ad un’attenta lettura della corrispondenza tra Craig e Kessler[5] come tutta la trattativa fosse nelle mani del conte («sotto la mia personale responsabilità», scrive il conte[6]), intenzionato a dar vita a un esperimento «modernista e simbolico»[7].