Dall’ut pictura poësis all’ut musica pictura: un percorso francese tra sette e ottocento

di

     
Categorie



Questa pagina fa parte di:

Abstract: ITA | ENG

L’articolo affronta la crisi dell’ut pictura poësis tra Sette e Ottocento. La messa in discussione di questo principio, che era stato il cardine della teoria Accademica, coincide con l’avvio di una riflessione sull’autonomia del linguaggio pittorico rispetto a quello verbale. L’autore, concentrandosi sulla cultura francese a cavallo tra neoclassicismo e romanticismo, dimostra come in tale riflessione il modello della musica svolga un ruolo di primaria importanza. Mentre Lessing rompe con l’ut pictura poësis, conferendo alla poesia il massimo della libertà, ma restringendo fortemente il campo di azione della pittura e della scultura, il cui unico fine sarebbe a suo avviso la rappresentazione della bellezza, alcuni autori francesi conducono una riflessione alternativa e ben più proficua sulle peculiarità linguistiche delle arti visive, emancipandole dalla loro sottomissione al modello letterario. Attraverso un percorso che parte da Roger De Piles, attraverso l’esempio emblematico di Paillot de Montabert, giunge fino a Delacroix, questo studio rivela quanto la musica, in particolare la musica strumentale, arte anti-mimetica e capace unicamente attraverso i suoi mezzi espressivi di coinvolgere potentemente il pubblico e di comunicargli idee e sentimenti, abbia innescato delle profonde riflessioni sull’autonomia espressiva del segno pittorico.

The article tackles the crisis of it pictura poesis as an aesthetic concept, which occurs between the 18th and 19 centuries. The undermining of this principle, which had been indeed the main pillar of academic theory, coincides with the beginning of a theoretical reflection on the autonomy of the pictorial language from the verbal one. By dwelling on French culture on the transition between Neoclassicism and Romanticism, the author aims to demonstrate how the musical pattern played a fundamental role in the development of such a reflection. On the one hand, Lessing refuses the principle of ut pictura poesis and acknowledges poetry as a free art, while restricting the features of painting and sculpture, considered as just aiming to represent beauty. On the other, French theoreticians foster an alternative reflection pivoting on the linguistic features of visual arts, thus freeing them from the subordination to the literary model. By means of a reconstruction starting from Roger de Piles and encompassing also Paillot de Montabert and Delacroix, the article stresses in particular the role that instrumental music as an anti-mimetic art performed in stimulating a new discussion on the autonomy of the pictorial code.

 

«La peinture ne peut atteindre la réalité une des choses, et rivaliser par là avec la littérature, qu’à condition de ne pas être littéraire»[1] – scriveva Proust nel 1904 nell’introduzione all’edizione francese della Bibbia d’Amiens di John Ruskin. Un’affermazione che rivela quanto viva fosse in lui la coscienza dell’autonomia espressiva del linguaggio visivo rispetto a quello verbale: l’arte visiva raggiunge la sua compiutezza espressiva e coglie le profonde verità solo quando non cerca di imitare la letteratura, quando è se stessa fino in fondo. Proust si pone al termine di un processo complesso e variegato che ha il suo principio nel Settecento, quando si cominciò a porre l’accento non su ciò che accomunava ma piuttosto su ciò che distingueva la parola dall’immagine. Si andò cioè a mettere in discussione il principio dell’ut pictura poësis, quale era stato elaborato e teorizzato nel corso del Cinquecento e del Seicento, quando costituiva il cardine della teoria accademica e il garante della gerarchia dei generi: l’analogia tra pittura e poesia era possibile perché entrambe soddisfacevano il loro fine più alto quando giungevano all’imitazione ideale della «natura umana in azione» per usare un’espressione di Rennselaer Wright Lee.[2] L’ut pictura poësis era stato il nucleo generatore di una vera e propria normativa artistica i cui articoli - l’imitazione, l’invenzione, l’espressione, il decorum, il docere e il delectare – erano esemplati sul modello della retorica. Nel XVIII secolo da Du Bos a Diderot fino ad arrivare a Lessing, e poi a Mendhelsson e Moritz, numerosi furono coloro che avanzarono dubbi e perplessità sull’analogia tra parola e immagine.

Di solito quando si affronta il tema della crisi dell’ut pictura poësis, il primo autore a essere citato è Gottfried Ephraim Lessing, e in particolare il suo Laoconte (1766). Tuttavia, gli argomenti utilizzati dallo scrittore tedesco nella sua polemica contro questo principio erano estremamente svantaggiosi e limitanti per l’arte figurativa, mentre accordavano grande libertà espressiva alla poesia. Per Lessing pittura e scultura dovevano puntare alla rappresentazione del bello fisico; l’espressione delle passioni doveva essere limitata in modo tale da non intaccare mai la bellezza. Queste regole erano dettate dal fatto che per Lessing si trattava di arti spaziali: poiché le immagini erano ‘fissate’ per sempre, la vista non poteva sopportare situazioni accese ed espressive troppo a lungo. Per lo stesso principio all’arte figurativa veniva anche negato il diritto di rappresentare situazioni transitorie perché queste entravano in frizione con la sua identità spaziale. La poesia, invece, arte temporale, poteva accogliere anche le dimensioni emotive più accese e finanche il brutto, perché il suo scandirsi nel tempo impediva a quelle situazioni di restare ‘bloccate’ e produrre un effetto spiacevole. Insomma il sistema lessinghiano intendeva liberare la poesia del suo tempo dalla moda della descrizione per ricentrarla sull’azione, ma non compiva di fatto alcun passo significativo verso il riconoscimento delle peculiarità espressive della forma visiva, da lui imprigionata nel concetto di bellezza e nella limitazione dell’espressione.

In questo contributo, concentrandomi sulla cultura francese, cercherò di mostrare, attraverso un caso specifico, un filone di riflessione sull’arte meno noto, in cui l’ut musica pictura, andando a sostituirsi all’ut pictura poësis,[3]innesca le prime rivendicazioni dell’autonomia e delle peculiarità del linguaggio visivo, rivendicazioni che vanno tra l’altro a ridimensionare la gerarchia dei generi e a rendere problematico il principio di imitazione. In questo filone l’approccio sensista e l’estetica dell’effetto svolgono un ruolo capitale in quanto finiscono per spostare l’accento dal “che cosa” è rappresentato, dalla storia raffigurata da decifrare attraverso la raison, dal contenuto letterario facilmente verbalizzabile, al ‘come’ i mezzi pittorici suscitino determinati effetti visivi ed emotivi sullo spettatore. La comprensione di questo percorso è fondamentale – come vedremo – per capire la difesa di Delacroix della superiorità della pittura rispetto alla letteratura, e la sua affermazione dell’esistenza di una «musique du tableau».

1. Da Roger de Piles a Paillot de Montabert: colpo d’occhio e modello musicale in pittura

In questa sede mi concentrerò su un autore ignoto ai più,[4] Jacques-Nicolas Paillot de Montabert (1771-1849), il quale ha fatto del modello musicale il cardine del suo sistema teorico sulla pittura opponendosi in modo netto all’ut pictura poësis. Tuttavia, prima di affrontare questo argomento, è necessario fare un salto indietro fino a Roger De Piles, il primo autore in Francia a mettere in discussione il millenario principio su basi sensiste. Come ha sottolineato Jacqueline Lichtenstein in La couleur éloquente, il capofila dei rubenistes ha rotto con il cartesianesimo vigente all’Académie, rivendicando la supremazia del colore sul disegno, l’identità cromatica della pittura (quello che rende la pittura pittura è il colore non il disegno), e additando nella forza dell’effetto visivo sullo spettatore il suo fine primario.[5] Il capovolgimento della teoria pittorica classica dell’Académie non poteva essere più profondo. Félibien e gli altri accademici indicavano il valore del dipinto nella sua capacità di raccontare una storia attraverso il disegno e di rappresentare le passioni. Il rapporto tra spettatore e quadro era concepito in modo intellettuale: lo spettatore doveva decifrare il dipinto attraverso una paziente analisi del soggetto raffigurato. L’ut pictura poësis garantiva la centralità del récit tanto nell’atto produttivo dell’opera d’arte tanto nell’atto recettivo da parte dello spettatore. De Piles sposta l’attenzione dal récit all’effetto visivo, alla capacità dell’opera di suscitare sensazioni visive e quindi emozioni: la forza persuasiva della pittura si fonda sul colore, non sul disegno, fa leva sulla percezione visiva e non sul ragionamento, che la teoria accademica connetteva inestricabilmente al disegno e al discorso sull’arte. Se il peso del récit è ridimensionato, ridimensionata è la gerarchia dei generi, ridimensionato il ruolo della raison come mezzo di approccio all’opera. Centrali diventano il percevoir attraverso lo sguardo e il sentir. Guardare il dipinto non significa più ricostruire una storia, che può perfettamente essere tradotta in parole, ma subire gli effetti del colore. Su questa base estetica s’innestano frequenti paragoni con la musica. De Piles indugia sul concetto del tout ensemble, cioè l’insieme degli elementi pittorici che correttamente orchestrati creano uno choc visivo:

Cette œconomie produit le même effet pour les yeux, qu’un concert de musique pour les oreilles. Il y a une chose de très grande conséquence à observer dans l’œconomie de tout ouvrage, c’est que d’abord on reconnaisse la qualité du sujet et que le tableau du premier coup d’œil en inspire la passion principale: par exemple, si le sujet que vous avez entrepris de traiter est de joie, il faut que tout ce qui entrera dans votre tableau contribue à cette passion, en sorte que ceux qui le verront en soient aussitôt touchés. Si c’est un sujet lugubre, tout y ressentira tristesse et ainsi d’autres passions et qualités des sujets.[6]

Il riferimento alla musica s’inserisce in un discorso che conferisce centralità non al soggetto in sé, ma alla sua qualité, cioè al potenziale emotivo che contiene e che i mezzi pittorici traducono in un «tout ensemble», comunicando tale qualité allo spettatore, il quale a sua volta prova i sentimenti legati a quella dimensione emotiva. Il paragone con la musica funziona perché lo statuto di quest’arte nel Seicento è cambiato: la rivoluzione scientifica, l’empirismo e il metodo sperimentale indebolirono il modello epistemologico, risalente all’antichità, secondo cui la musica era scienza e specchio del mondo. Per Cartesio il fine della musica non è più incarnare un ordine, ma piacere.[7] Sorge così proprio negli anni di De Piles un discorso sulla musica incentrato sulla percezione e sulla sua associazione alla sfera del sentimento. Musica e pittura s’incontrano dunque sul terreno di una visione sensista delle arti: negli anni successivi alcuni teorici e pittori, come Anton Raphael Mengs, Michel François Dutens,[8] Chastellux[9] ed altri, matureranno questa equivalenza: come la musica attraverso i suoi mezzi espressivi – l’armonia, la melodia, il ritmo – è capace di esprimere le emozioni e di suscitarle nel pubblico attraverso la percezione auditiva, allo stesso modo la pittura, attraverso il colore e le linee, può adempiere alla medesima funzione per mezzo della percezione visiva. Questa idea sta alla base del sistema estetico elaborato da Paillot de Montabert.[10]

Allievo di David, ma vicino anche ai Barbus, il nome di Paillot è soprattutto legato al suo monumentale trattato, il Traité complet de la peinture, in 9 volumi, pubblicato nel 1829 (ma il nucleo del testo si trova già nella Théorie du geste del 1813). L’idea centrale di quest’opera monumentale è che la pittura sia un «langage optique». Fondamentale è l’apertura del capitolo Langage de la peinture nel volume IV:

La peinture a son langage, de même que les autres arts. Elle a pour ainsi dire son vocabulaire distinct. Elle a ses moyens propres d’expression; et ces moyens sont optiques. Elle peut avec ces moyens ou signes expressifs, être éloquente, et par conséquent claire, énergique, délicate, pleine de puissance et de charme.[11]

Questi «signes expressifs» sono «ou les lignes dans la disposition et le dessin, ou les mouvemens dans les figures, ou les masses, les formes, les teintes, les effets de clair et d’obscur, etc. De même, pour l’écrivain, ce sont les mots, les constructions, les figures, les épithètes, etc.».[12] In questa netta distinzione tra linguaggio visivo e linguaggio verbale, il ruolo del soggetto viene ridefinito. Paillot sottolinea che «ce n’est pas le sujet proprement dit que le peintre choisit, c’est un résultat moral fourni par ce sujet, qu’il combine; il ne s’approprie pas du sujet du poète ou de l’historien, mais il fait naître de ce sujet écrit un sujet peint».[13] Chiaramente egli si ricollega al concetto di «qualité du sujet» di De Piles quando afferma che l’artista non sceglie un soggetto, ma il risultato morale, cioè gli effetti che un dato tema può generare a livello visivo. La seconda parte della frase rivela chiaramente come per il nostro autore il «sujet peint» abbia una sua autonomia rispetto al «sujet écrit»: non si tratta di tradurre pedissequamente un testo letterario, che snaturerebbe l’identità visiva dell’opera piegandola alle esigenze di un’altra forma di espressione, ma di appropriarsene e di ricrearlo secondo le caratteristiche proprie dell’arte pittorica, che sono ottiche, non verbali. Questo è il motivo per cui il pittore deve scegliere il soggetto unicamente sulla base de «l’effet déterminé qu’il produit optiquement sur la toile» e che a sua volta è capace di interessare l’occhio e lo spirito dello spettatore. Così egli si augura che l’artista «qui veut exprimer avec des couleurs, ne s’en rapporte pas aux modèles écrits qui ont pu le séduire ou enivrer», ma piuttosto che «par des choix exclusivement pittoresques, par la force du langage propre à son art [...] sache rivaliser avec les écrivains».[14] Tutta la normativa che scaturiva dall’ut pictura poësis nella teoria accademica francese subisce un drastico ridimensionamento in Paillot, in particolare l’idea della pittura come arte che rappresenta una storia: sono infatti i segni ottici a fondare l’identità e il valore di un dipinto. Altrove egli dichiara che «Les lignes ont un langage»:[15] frasi del genere ricorrono continuamente nel Traité. Paillot dunque mette a punto un sistema estetico in cui linee, colori, chiaroscuro e tocco sono concepiti come segni ottici, dotati di un potere espressivo. Il loro funzionamento è strettamente connesso all’ut musica pictura, che nel sistema di Paillot va a sostituire l’ut pictura poësis: la musica diventa il modello di un’arte capace di esprimere e comunicare sentimenti unicamente facendo leva sui suoi mezzi espressivi. Paillot parla di «rapporti intimi» tra le due arti: come una data disposizione di suoni può divenire significativa e agire sulla volontà di chi ascolta, così un certo arrangiamento di linee, colori e chiaroscuro può esprimere un senso determinato e influire sullo spettatore. Guidato da questa idea egli traspone in pittura la teoria dei modi musicali antichi. Si tratta di una teoria complessa, di cui trattarono vari autori antichi come Platone; teoria che venne ripresa nel Medioevo e poi nel Rinascimento con errori e mistificazioni fino a quando essa non venne chiarita da Gioseffio Zarlino.[16] Sono quindi qui costretta a semplificare. Il «modo» è un insieme ordinato di intervalli musicali che definisce i rapporti gerarchici tra i differenti gradi della scala corrispondente.[17] Il sistema moderno si basa su una scala ascendente di sette toni e utilizza due tonalità: la maggiore, quando tra il primo e il terzo grado della scala vi è un intervallo di terza maggiore, e la minore, quando questo intervallo è di terza minore. La musica greca, che si fondava su un sistema del tutto diverso, conosceva otto modi: si trattava di otto scale discendenti, costituite da due tetracordi, ogni tetracordo era formato da un insieme di quattro suoni comprendenti due toni e un semi-tono. I modi variavano secondo la posizione del semitoni nella scala. Le fonti antiche, da Platone a Luciano, a Boezio, sottolineavano che ogni modo produceva effetti sonori differenti, suscitando nell’ascoltatore sentimenti determinati, per esempio di energia, calma o melanconia. Questi autori insistevano sul potere quasi magico che i modi avevano sulla volontà di agire sulla volontà degli uomini, spingendoli a fare certe azioni. Poussin, nella celebre lettera a Fréart de Chantelou del 24 novembre del 1647,[18] fu il primo a trasporre la teoria dei modi musicali in pittura per rafforzare il principio del decorum: egli infatti affermava che i colori e le forme in un dipinto devono adattarsi al soggetto raffigurato, come i modi antichi presentavano una combinazione di note omogenea alle reazioni e ai sentimenti che si volevano suscitare. L’idea di Poussin fu ripresa da Le Brun e Félibien che la integrarono nella teoria accademica del decorum. Nonostante certe differenze, questi ultimi condividevano con Poussin l’idea che ogni tipo di soggetto, gioioso, guerresco o melanconico ad esempio, comportava un modo determinato, cioè un certo tipo di colori, disposizioni di masse, linee, che si adattavano al soggetto. Essi concepirono allora l’esistenza di modi pittorici i cui nomi e le cui caratteristiche affettive avrebbero avuto un’esatta corrispondenza con i modi musicali greci. Ma in che modo Paillot utilizza il principio dei modi musicali ? Come la musica attraverso i «modes»,[19] da lui concepiti come diversi generi di tonalità e di rapporti tra suoni, può esprimere una determinata affezione dell’anima, così la pittura deve scegliere un «mode», cioè una precisa gamma di colori, di linee e di azioni appropriate all’idea e ai sentimenti che si vogliono trasmettere, nonché capaci di rispondere all’esigenza di armonia radicata nell’uomo.[20] La corrispondenza in Paillot non è tanto tra modo e soggetto, ma tra modo e atmosfera emotiva evocata da un soggetto che va comunque ripensato e ricreato in termini di linee e colori. Egli scrive: «il faut que le peintre adopte, comme le musicien, un mode qui convienne au sujet et qu’il exprime par le choix d’aspect le véritable caractère de ce sujet, soit de joie, soit de terreur. Car non-seulement le coloris a sa justesse et sa correction, aussi bien que le dessin, mais il a aussi la force d’exprimer les passions, tant par le mode dans le tout que par des teintes particulières».[21] Il caractère nel linguaggio dell’epoca (per esempio in Quatremère de Quincy) ha il significato di elemento distintivo, che da Paillot viene identificato con il sentimento che un dipinto deve evocare. I sentimenti in pittura secondo lui non si esprimono tanto attraverso le espressioni dei personaggi, ma prioritariamente attraverso una oculata scelta di colori, di linee, di chiaroscuro, e di tocco che funzionano come segni emotivi. La teoria di Paillot, definendo la pittura come un’arte di rapporti tra elementi formali (linee, colori, chiaroscuro, tocco), che fungono da segni linguistici, rivela il rapporto tra una concezione formalistica della pittura e la musica come arte modello. Emblematica questa riflessione:

Qu’un musicien compose soit une romance plaintive, soit une marche guerrière, un chant solennel ou une chanson joyeuse et légère, il n’emploiera pas pour l’un ou pour l’autre sujet le même mouvement, la même mesure, la même espèce de ton, ni toutes sortes d’instrumens indistinctement: il doit être de même relativement aux divers sujets représentés par la peinture. Chaque mode, chaque espèce de sujet doit être rendue par un caractère de coloris qui lui soit approprié, et par des couleurs convenablement adaptées, en sorte que la sensation chromatique qu’éprouvera le spectateur soit tout à fait analogue au sentiment que le peintre aura voulu inspirer par la vue de son tableau [...] il faut absolument que le peintre sache reconnaître quelles sont les couleurs ou les accords qui appartiennent à tel ou tel mode, à telle ou telle expression. Il y a des couleurs languissantes, les couleurs gaies, vives et pétulantes: il y a des teintes graves, il y en a des riches et superbes; les unes sont tendres, douces et charmantes; d’autres sont piquantes, quelquefois même âpres et tranchantes. Le peintre s’attachera donc à bien étudier et à bien connaître ces propriétés diverses, ou les expressions distinctes appartenant au langage de son art.[22]

Di grande originalità è la valorizzazione della gestualità. I gesti dell’artista mentre dipinge sono infatti da lui paragonati ai gesti del musicista che, nella loro flagranza visuale, traducono per lo sguardo i sentimenti del brano musicale. Dopo aver rilevato che il tocco del pittore è come l’intonazione nel linguaggio verbale, cioè partecipa de «l’émotion et du sentiment dominant du peintre»,[23] egli afferma che il sentimento che il pittore deve esprimere in un dipinto lo coinvolge e finisce per trasmettersi nel gesto che muove il pennello. Il gesto pittorico è così paragonato a quello del musicista:

Au reste notre idée est très naturelle, et la comparaison qu’on peut faire entre l’archet du musicien et le pinceau du peintre, l’expliquera assez. Comment dirige son archet, le musicien qui prélude à un motif tendre, suave et mélodieux ? Ne le voit-on pas faire glisser cet archet doucement, onctueusement et avec une mélodieuse suavité ? Comment le manie-t-il, lorsqu’il est tout plein d’une idée vive, véhémente et toute phrygienne ? Il brusque ses mouvemens, il parcourt violemment les cordes, et les fait résonner d’une manière plus ou moins fière, plus ou moins rapide et terrible.[24]

Ma la distanza di Paillot rispetto ai suoi precedenti accademici si gioca soprattutto attorno alla centralità che occupa la sensazione visiva. Alain Mérot ha sottolineato che non bisognerebbe «fare di Poussin il precursore di una modernità pittorica in cui ogni modo determinerebbe una sensazione immediata e globale, uno choc visivo che pre-esisterebbe alla conoscenza del soggetto»;[25] infatti, prosegue Mérot, «Poussin e Félibien diffidavano del premier coup d’œil e preconizzavano un’analisi paziente, in quanto il soggetto doveva essere esplicitato dall’incatenamento dei personaggi».[26] L’effetto modale non prende cioè mai il sopravvento rispetto alla lenta decifrazione del soggetto, a cui è sottomesso. Come abbiamo visto l’idea di uno choc visivo prodotto dal dipinto nacque alla fine del Seicento con De Piles:[27] Antoine Coypel, riferendosi alla nozione del «tout ensemble» piacevole alla vista, scrive «Le coup d’œil d’un tableau doit déterminer son caractère».[28] Paillot si pone sulla stessa linea di De Piles per la funzione primaria affidata alla sensazione ottica. Sensisticamente egli valorizza il «premier coup d’œil» come dimostra questa riflessione:

cette qualité optique est si nécessaire, qu’il faut que tout spectateur, en jetant les yeux sur un tableau, avant même de comprendre ce que représente le tableau et ne le voyant que d’une grande distance, soit attiré et comme fixé par le charme des combinaisons des clairs et des obscurs. Il faut que ce tableau plaise déjà à ses yeux par cela seul, et qu’il plaise ensuite à son esprit, lorsque, comprenant le sujet du tableau, il compare ce mode de clair-obscur au mode du sujet.[29]

In Paillot la sensazione ottica è il mezzo primario attraverso cui linee, colori e chiaroscuro coinvolgono lo spettatore e veicolano un preciso significato emotivo. La rivendicazione dell’autonomia espressiva dei mezzi pittorici svolta su basi sensiste si configura dunque in Paillot come una dichiarata rottura nei confronti dell’ut pictura poësis. Le radici sensiste del suo discorso sui segni «optiques» lo affiancano all’Essai sur les signes inconditionnels di Humbert de Superville (Leida 1827), che associa determinati stati d’animo a certi tipi di linee e di colori. Eric Michaud – mettendo in relazione il saggio di Humbert de Superville con le teorie postimpressioniste – ha sottolineato come numerose teorie dell’arte moderna convergenti sull’autonomia espressiva del linguaggio pittorico, come quelle di Seurat e Kandinsky,[30] si costruiranno proprio su queste basi (Michaud infatti collegava l’Essai con le teorie postmipressioniste). Ora, va precisato che né nel pittore olandese, né in Paillot la valorizzazione del potere espressivo di linee e colori porti a una radicale messa in discussione del soggetto dell’opera, il cui ruolo è comunque ridimensionato. Non è però mai stato notato che Paillot fu amico di Charles Blanc, il quale nella sua Grammaire des arts du dessin (1867) utilizza alcuni argomenti del nostro autor. Poiché la Grammaire ebbe una larga fortuna negli ambienti postimpressionisti è possibile che in qualche modo alcune idee di Paillot siano state indirettamente assorbite ed estremizzate nel contesto della cultura simbolista in una direzione che andava a sfaldare del tutto il ruolo del soggetto nel dipinto.

2. Delacroix: la «Musique du tableau» e l’autonomia espressiva della pittura

La centralità del modello musicale in opposizione all’ut pictura poësis e in una funzione di rivendicazione dell’autonomia espressiva della pittura è evidente in certe affermazioni di Eugène Delacroix poi riprese da Baudelaire. Sia nel Journal che nei suoi scritti Delacroix medita sulla forza espressiva del colore e delle linee, polemizzando con l’ut pictura poësis.[31] In una lettera a Théophile Thoré (aprile 1847) il pittore scrive «On nous juge toujours avec des idées de littérateurs, et ce sont celles qu’on a la sottise de nous demander. Je voudrais bien qu’il soit aussi vrai que vous les dites que je n’ai que des idées de peintre; je n’en demande pas davantage».[32] Emblematico è il seguente passo in cui il pittore dichiara la superiorità della pittura rispetto all’opera letteraria, esaltando il magico potere dei mezzi pittorici che catturano lo sguardo dello spettatore indipendentemente dal soggetto raffigurato:

Le plaisir que cause un tableau est un plaisir tout différent d’un ouvrage littéraire. Il y a un genre d’émotion qui est tout particulier à la peinture; rien dans l’autre n’en donne une idée. Il y a une impression qui résulte de tel arrangement de couleurs, de lumières, d’ombres, etc. C’est ce qu’on appellerait la musique du tableau. Avant même de savoir ce que le tableau représente, vous entrez dans une cathédrale, et vous vous trouvez placé à une distance trop grande du tableau pour savoir ce qu’il représente, et souvent vous êtes pris par cet accord magique; les lignes seules ont quelquefois ce pouvoir par leur grandiose.[33]

La somiglianza con il passo di Paillot che ho riportato è profonda tanto più se si considera che la forza espressiva dei mezzi pittorici – contrapposta al testo letterario – è chiamata da Delacroix «musique du tableau»: la rottura con l’ut pictura poësis comporta un riferimento al modello musicale.[34] Ma c’è una importante differenza rispetto a Paillot. Delacroix infatti conferisce alla categoria dell’indefinito un ruolo che è del tutto assente nell’altro autore. In Paillot il sistema di corrispondenze tra mezzi espressivi della pittura e stati d’animo/idee costituisce una sorta di grammatica che serve a rendere trasparente e inequivocabile il significato dell’opera. L’approccio di Delacroix, che pure condivide con quello di Paillot la componente sensista, è diverso se non opposto: la musica del dipinto, cioè il potere di seduzione che i colori e le linee esercitano sullo spettatore indipendentemente dal soggetto raffigurato, rimane indecifrabile e indefinita: rimane ineffabile. Il «vague» accomuna pittura e musica, mentre il linguaggio verbale è secondo Delacroix carente in questo effetto di indefinito («Cet art [la pittura], ainsi que la musique, sont au-dessus de la pensée; de là leur avantage sur la littérature, par le vague»).[35] Per il pittore la parte materiale della pittura (cioè il fatto che sia un’arte che, diversamente dalla poesia, si rivolge direttamente al senso della vista attraverso le forme, i colori e il tocco) non è che un ponte gettato verso l’anima dello spettatore:

Quand j’ai fait un beau tableau, je n’ai pas écrit une pensée. C’est ce qu’ils disent. Qu’ils sont simples! Ils ôtent à la peinture tous ses avantages. L’écrivain dit presque tout pour être compris. Dans la peinture, il s’établit comme un pont mystérieux entre l’âme des personnages et celle du spectateur. Il voit des figures, de la nature extérieure; mais il pense intérieurement, de la vraie pensée qui est commune à tous les hommes: à laquelle quelques-uns donnent un corps en l’écrivant, mais en altérant son essence déliée. Aussi les esprits grossiers sont plus émus des écrivains que des musiciens ou des peintres. L’art du peintre est d’autant plus intime au cœur de l’homme qu’il parait plus matériel; car chez lui, comme dans la nature extérieure, la part est faite franchement à ce qui est fini et à ce qui est infini, c’est-à-dire à ce que l’âme trouve qui la remue intérieurement dans les objets qui ne frappent que les sens (Journal, 8 ottobre 1822).[36]

L’«indéfinissable»: ecco quello che rende la pittura un’arte che proprio attraverso la sua materialità e la sua flagranza visiva apre la porta all’espressione più pura dello spirito e alla comunicazione tra anime:

Vous pensez que la peinture est un art matériel parce que vous ne voyez qu’avec les yeux du corps ces lignes, ces figures, ces couleurs. Malheur à celui qui ne voit qu’une idée précise dans un beau tableau, et malheur au tableau qui ne montre rien au delà du fini à un homme doué d’imagination. Le mérite du tableau est l’indéfinissable: c’est justement ce qui échappe à la précision: en un mot c’est ce que l’âme a ajouté aux couleurs et aux lignes pour aller à l’âme. La ligne, la couleur, dans leur sens précis, sont les grossières paraboles d’un canevas grossier comme en écrivant les Italiens pour y broder leur musique. La peinture est sans contredit de tous les arts celui dont l’impression ets la plus matérielle sous la main d’un vulgaire artiste et je soutiens que c’est celui qu’un grande artiste conduit le plus loin vers ces sources obscures de nos plus sublimes émotions, et dont nous recevons ces chocs mystérieux que notre âme, dégagée en quelque sorte des liens terrestres et retirée dans ce qu’elle a de plus immatériel, reçoit sans presque en avoir la conscience (Carnet Héliotrope, 1833-1859).[37]

Baudelaire, nella recensione all’Exposition Universelle del 1855, svolge una riflessione affine alla «musique du tableau» di Delacroix:

D’abord il faut remarquer, et c’est très important, que, vu à une distance trop grande pour analyser ou même comprendre le sujet, un tableau de Delacroix a déjà produit sur l’âme une impression riche, heureuse ou mélancolique. On dirait que cette peinture, comme les sorciers et les magnétiseurs, projette sa pensée à distance. Ce singulier phénomène tient à la puissance du coloriste, à l’accord parfait des tons, et à l’harmonie (préétablie dans le cerveau du peintre) entre la couleur et le sujet. Il semble que cette couleur, qu’on me pardonne ces subterfuges de langage pour exprimer des idées fort délicates, pense par elle-même, indépendamment des objets qu’elle habille. Puis ces admirables accords de sa couleur font souvent rêver d’harmonie et de mélodie, et l’impression qu’on emporte est souvent quasi musicale.[38] 

È chiaro che, nonostante la complessità del rapporto tra Baudelaire e Delacroix,[39] il poeta si sia chiaramente ispirato a idee che deve aver sentito dal pittore. L’idea di una musicalità della pittura di Delacroix è infatti molto presente in Baudelaire, tant’è che egli ricorre varie volte alle metafore musicali, e del resto ne I Fari la pittura del maestro è paragonata alla musica di Weber. Quel che è interessante è che se esaminiamo il discorso di Baudelaire su Delacroix, notiamo come la sua parola critica cerchi di adattarsi a un testo figurativo, della cui alterità rispetto al linguaggio verbale ha piena coscienza. La descrizione analitica del soggetto e dei dettagli passa in secondo piano rispetto allo sforzo verbale di cogliere lo spirito che anima le composizioni di Delacroix, il modo in cui le linee e i colori funzionano come mezzi espressivi, l’effetto d’insieme delle sue opere e le modalità con cui si impadroniscono dell’animo dello spettatore. Il discorso critico, certo di confrontarsi con un codice espressivo differente, cerca di sondarne le peculiarità linguistiche, anche aiutandosi con metafore musicali, concentrandosi sulla potenza degli effetti visivi e sul modo in cui sono perseguiti dall’artista.

 Delacroix, Dante et Virgile

Ad esempio a proposito del Dante et Virgile di Delacroix, Baudelaire scrive

[…] et cette peinture, qui procède surtout du souvenir, parle surtout au souvenir. L’effet produit sur l’âme du spectateur est analogue aux moyens de l’artiste. Un tableau de Delacroix, Dante et Virgile par exemple, laisse toujours une impression profonde, dont l’intensité s’accroît par la distance. Sacrifiant sans cesse le détail à l’ensemble, et craignant d’affaiblir la vitalité de sa pensée par la fatigue d’une exécution plus nette et plus calligraphique, il jouit pleinement d’une originalité insaisissable, qui est l’intimité du sujet. L’exercise d’une dominante n’a legitimemment lieu qu’au détriment du reste (Salon de 1846).[40]

Qui, l’uso della parola «dominante», tratta dalla terminologia musicale, serve a rafforzare l’idea di una logica interna ai dipinti di Delacroix, in cui tutti gli elementi visivi concorrono a provocare una sorta di shock dello sguardo e ad instaurare una profonda comunicazione con lo spettatore.

Ce qu’il y a d’admirable dans L’Enlevement de Rebecca [fig. 2], c’est une parfaite ordonnance de tons, tons intenses, pressés, serrés et logiques, d’où resulte un aspect saisissant. Dans presque tous les peintres qui ne sont pas coloristes, on remarque toujours des vides, c’est-à-dire de grands trous produits par des tons qui ne son pas de niveau, pour ainsi dire. La peinture de Delacroix est comme la nature, elle a horreur du vide (Salon de 1846).[41]

Con questa insistenza sui toni «intenses, pressés, serrés et logiques» Baudelaire si sforza di rendere il modo in cui funziona la potente e incisiva coerenza delle tele del pittore, che è il frutto della sua straordinaria padronanza delle possibilità espressive del colore.

 Delacroix, Enlevement de Rebecca

 

3. Postscriptum. Fine dell’ut pictura poësis?

L’Ottocento francese ha piena coscienza dell’alterità dell’immagine rispetto alla parola, ma questo non impedisce, anzi sembra quasi favorire il dialogo tra arte e letteratura. Da un lato notiamo la presenza massiccia – da Balzac a Sand, da Goncourt a Zola – nella narrazione romanzesca dei misteri e dei turbamenti della creazione artistica, del mondo degli artisti, degli atelier.[42] Se lo scrittore può – attraverso la finzione narrativa – proiettare nella vicenda dell’artista la propria visione del mondo, della società e dell’arte, ciò avviene perché condivide con l’artista la medesima condizione di alienazione rispetto a una società mercificata e i medesimi dilemmi sul proprio ruolo. Dall’altro lato pittura e poesia si incontrano nella comune ricerca di una valorizzazione dei significanti rispetto ai significati in cui il modello musicale è fondamentale per entrambi (è su questo terreno che avverrà il dialogo tra Mallarmé e Whistler ad esempio).[43] Si riattiva un’idea elaborata nella cultura tedesca di fine settecento, e cioè che tanto più le arti approfondiscono i loro mezzi specifici tanto più arrivano a riflettere le altre arti perché giungono alla loro essenza comune che è formale. Friedrich Schiller nella ventiduesima lettera del saggio Dell’educazione estetica dell’uomo dichiara:

è una conseguenza necessaria e naturale della loro perfezione che le diverse arti, senza spostamento dei confini obiettivi, diventino sempre più affini nell’effetto che producono sull’animo. La musica nel suo più alto perfezionamento deve doventare forma e agire su di noi con la calma potenza dell’arte antica; l’arte plastica nella sua più alta perfezione deve diventare musica e commuoverci con l’immediatezza della presenza sensibile; la poesia nel suo più perfetto sviluppo deve commuoverci potentemente come la musica, ma al tempo stesso, come la plastica circondarci di una tranquilla chiarezza. Lo stile perfetto in ogni arte si rivela appunto nel saper allontanare i limiti specifici di essa senza tuttavia annullare i suoi propri pregi specifici e nel conferirle con un sapiente uso delle sue particolarità un carattere più universale.[44]

Elstir, il pittore della Recherche di Proust, attraverso le sue marine ci parla proprio dell’autonomia espressiva del segno pittorico. Proust ci dice che ciò che caratterizzava queste opere era un procedimento metaforico che finiva per confondere cielo, terra e mare: «Si Dieu le Père avait créé les choses en les nommant, c’est en leur ôtant leur nom, ou en leur en donnant un autre qu’Elstir les recréait».[45] Togliere i nomi alle cose significa rompere con la referenzialità delle forme visive, significa vedere la realtà in termini di colori, linee, sfumature e non in termini di oggetti nominabili. Ma proprio non essendo letteraria – per riprendere la citazione all’inizio del mio intervento – la pittura di Elstir esprime perfettamente anche l’ideale letterario di Proust: come nella pittura così anche nella letteratura i procedimenti metaforici svolgono un ruolo fondamentale perché in essi si incarna la visione del mondo del soggetto: perché «le style pour l’écrivain aussi bien que la couleur pour le peintre est une question non de technique mais de vision».[46]


1 M. Proust, Préface, traduction et notes à ‘La Bible d’Amiens” de John Ruskin [1904], a cura di Y.-M. Ergal, Paris, Bartillat, 2007, p. 51.

2 R. Wright Lee, Ut pictura poesis. La teoria umanistica della pittura, Milano, SE, 2011, p. 17.

3 Una tesi abbozzata per la prima volta in C. Savettieri, ‘Dalla crisi della mimesi all’astrazione: un percorso in chiave musicale’, in A. Sanna (a cura di), Immagine, Immaginazione, Creazione, Pisa, SEI, 2008, pp. 153-164.

4 Per una ricostruzione del ruolo della musica nel sistema delle belle arti nel Settecento rimando al volume M.P. Martin, C. Savettieri (a cura di), La musique face au système des arts ou les vicissitudes de l’imitation au siècle des lumières, Paris, Vrin, 2014. Per una visione globale dei fenomeni letterari e musicali si veda F.C. Claudon, L'idée et l'influence de la musique chez quelques romantiques français et notamment Stendhal, Atelier de reproduction de thèses, Université de Lille III, Diffusion H. Champion, 1979; Id. ‘Littérature et Musique’, Revue de Littérature Comparée, Jul. 1, 1987, Vol. 61 (3), pp. 261 e sgg.

5 J. Lichtenstein, La couleur éloquente, Paris, Flammarion, 1989.

6 R. De Piles, Oeuvres diverses de M. De Piles contenant sa traduction de l’Art de la Peinture de C. A. Du Fresnoy avec des remarques et corrections [1668], Amsterdam, 1767, pp. 138-139.

7 T. Psychoyou, ‘Entre arts libéraux et beaux-arts: le Cabinet des beaux-arts de Charles Perrault (1690) et la fortune disciplinaire de la musique’, in M.P. Martin, C. Savettieri (a cura di), La musique face au système des arts ou les vicissitudes de l’imitation au siècle des lumières, pp. 29-44.

8 C. Savettieri, ‘Modes musicaux et peinture entre la fin du XVIIIIe siècle et le début du XIXe siècle: une remise en question de la mimesis?’, in Ch. Michel, C. Magnusson, Penser l’art dans la seconde moitié du XVIIIe siècle: théorie, critique, philosophie, histoire, Paris, Somogy, 2013, pp. 265-277.

9 C. Savettieri, ‘Le modèle musical en faveur de l’art du Caravage: l’‘Idéal’ pictural selon François-Jean de Chastellux’, in M.P. Martin, C. Savettieri (a cura di), La musique face au système des arts ou les vicissitudes de l’imitation au siècle des lumières, pp. 253-267.

10 C. Savettieri, ‘Il faut que le peintre adopte, comme le musicien, un mode: peinture et musique dans la pensée esthétique de Paillot de Montabert’, in F. Desbuissons (a cura di), Jacques-Nicolas Paillot de Montabert, 1771-1849, Reims, Guéniot, 2009, pp. 171-187.

11 J.N. Paillot de Montabert, Traité complet de la peinture, Paris, Bossange Frères, 1829-1851, p. 246.

12 Ivi, p. 248.

13 Ivi, pp. 248-249.

14 Ivi, p. 260.

15 Ivi, V, p. 480.

16 G. Zarlino, Istituzioni harmoniche, Venezia 1558, p. 211; cfr. J.J. Nattiez, ‘Musica e significato’, in Id., Enciclopedia della musica, Torino, Einaudi, 2002, pp. 210-211.

17 In realtà la parola «modo» può avere due altri sensi: la relazione tra il valore della nota, longa e brevis, nella notazione medievale; intervallo nella teoria medievale.

18 P. Alfassa, ‘L’origine de la lettre de Poussin sur les modes d’après un travail récent’, Bulletin de la Société d’histoire de l’art français, 1933, pp. 125 e sgg. Fondamentale il saggio di J. Montagu, ‘The Theory of the Musical Modes in the Académie Royale de Peinture et de Sculpture’, Journal of Warbourg and Courtald Institutes, LV, 1992, pp. 233-248. Per il resto della bibliografia sui modi in Poussin rimando a C. Savettieri, ‘Modes musicaux et peinture’, p. 278, nota 12.

19 Cfr. C. Savettieri, Il faut que le peintre adopte comme le musicien un mode adapté au sujet.

20 Paillot distingue cinque differenti modi musicali e pittorici: «mode phrygien» ardente, fiero, impetuoso, veemente e terribile; «mode dorien», semplice, grave e serio; «mode lydien», molle ed effemminato; «mode ionien», grazioso; «mode lesbien», ricco e magnifico.

21 J.N. Paillot de Montabert, Traité complet dela peinture, III, p. 539.

22 Ivi, IV, pp. 471-472.

23 Ivi, VIII, p. 170.

24 Ibidem.

25 A. Mérot, ‘Les modes ou le paradoxe du peintre’, in P. Rosenberg, L.A. Prat (a cura di), Nicolas Poussin 1594-1665, catalogo mostra, Parigi, Grand Palais, 1994-1995, Paris, RMN, 1994, p. 84.

26 Ibidem.

27 B. Teyssèdre, Rogier de Piles et les débats sur le coloris au siècle de Louis XIV, Paris, 1957, pp. 126-128.

28 A. Coypel, ‘Discours sur la peinture’ [1708-21], in A. Mérot (a cura di), Les Conférences de l’Académie Royale de peinture et de sculpture au XVII siècle, éd. établie par A. Mérot, Paris, ENBA, 1996, p. 407.

29 Ivi, VI, pp. 166-167.

30 E. Michaud, ‘Une nouvelle rhétorique du sensible’, Cahiers du Musée National d’art moderne, 5, 1980, pp. 446-455.

31 Sull’argomento un’ottima sintesi in M. Hannoosh, ‘Introduction générale’, in E. Delacroix, Journal, a cura di M. Hannoosh, Paris, José Corti, 2009, I, pp. 14-17. Per un inquadramento più generale del problema cfr. PH. Junod, ‘Du peché littéraire chez les peintres: origine et portée d’un débat’, in Id., Chemins de traverse. Essais sur l’Histoire des arts, Gollion, Infolio, 2007, pp. 203-224.

32 E. Delacroix, Correspondance générale, Paris, Plon, 1936-1938, II, p. 310.

33 E. Delacroix, ‘Sur la peinture’, in Œuvres littéraires. I Etudes esthétiques, Paris, éditions Crès, 1923, p. 76.

34 L’importanza del modello musicale nel pensiero di Delacroix è stata studiata, ma non in rapporto alla sua polemica contro l’ut pictura poësis. Per la bibliografia sull’argomento rimando al catalogo A.B. Fonsmark (a cura di), Delacroix. The music of painting, Ordrupgaard, Copenhagen.

35 E. Delacroix, Journal, I, 26 gennaio 1824, p. 118.

36 Ivi, I, p. 90.

37 Ivi, II, p. 1567.

38 C. Baudelaire, Oeuvres complètes, a cura di C. Pichois, Paris, Gallimard, 1976, II, pp. 594-595.

39 Cfr. A. Moss, Baudelaire et Delacroix, Paris, Nizet, 1973.

40 Ivi, pp. 433-434.

41 Ivi, p. 439.

42 Cfr. B. Vouilloux, Le Tournant “artiste” de la littérature française. Ecrire avec la peinture au XIXe siècle, Paris, Hermann, 2011; Id., Tableaux d’auteurs. Après l’Ut pictura poesis, Saint Denis, PUV, 2004; C. Savettieri, L’Incubo di Pigmalione. Girodet, Balzac e l’estetica neoclassica, Palermo, Sellerio, 2014.

43 Cfr. C. Savettieri, ‘Now the war… is really one between the brush and the pen. Whistler e l’autonomia della pittura’, in L. Giovannelli (a cura di), Interlacing perspectives. Dialoghi sulla tradizione artistico-letteraria in lingua inglese, Roma, Aracne, 2011, pp. 61-87.

44 F. Schiller, ‘Dell’educazione estetica dell’uomo’, in Saggi estetici, a cura di C. Baseggio, Torino, Utet, 1967, pp. 286-288.

45 M. Proust, A l’ombre des jeunes filles en fleurs [1919], Paris, Gallimard, 1988, p. 399.

46 M. Proust, Le Temps retrouvé [1927], Paris, Gallimard, 1990, p. 202.