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The article means to inquire into which forms Sciascia structures his art critical exercise, starting from the check of the sources of his writing. Therefore it focuses on the influence of those authors who had mattered the most in the early years of his self-taught. So the article considers at first the stylistic and methodological heritage of Emilio Cecchi’s critical production, what kind of notions passed in forming a global idea of the art experience; then, it watches at the works of the French thinker Alain, quoted a lot in the Sciascia’s art reviews, in order to understand how they determined some of the choices and evaluations made as critic. After that, the article tries to describe the interior mechanics of Sciascia’s writing, recognizing in her structures the coexistence of a rationalistic trend in the analysis of humans expressions and the action of a sentimental component, the pressure of the emotional root which the work of art comes from that involves as well the critical exercise of the reviewer. For this reason it’s possible to inscribe Sciascia’s art reviewer writing in the category of a «impure» form of rationalism.

Ma rendere la luce/suppone d’ombra una triste metà.

Paul Valéry

Il tuo bagliore è un grido acuto, e il tuo supplizio brucia i nostri occhi.

Paul Valéry

1. È possibile pensare di avvicinare le pagine che Leonardo Sciascia ha dedicato alle «cose d’arte»[1] muovendo dall’intuitiva considerazione del loro essere esercizio di scrittura, un esercizio meccanico e dinamico di messa in forma attorno a dei contenuti specificamente caratterizzati. La stessa produzione saggistica e narrativa sciasciana del resto è particolarmente adatta ad essere interpretata, e da più parti molto opportunamente è stato fatto, nell’ottica della costruzione dell’intreccio, della combinatoria degli elementi (dalle componenti finzionali come i personaggi e la trama, a quelle citazionali come i rimandi intertestuali e le memorie artistico-visuali), della processualità della strutturazione del significato, individuando insomma nel nodo di una scrittura intesa e svolta come tessitura progressiva il suo carattere perspicuo e informante. Tali rilievi di ordine generale, immediatamente verificabili nell’ambito delle prose maggiori, possono essere estesi in certa misura anche per quel versante dell’opera costituito dagli scritti sull’arte, ancora non oggetto di studi complessivi e sistematici pur se sempre più spesso sollecitato all’attenzione dai più attenti esegeti sciasciani.[2] Si tratta di un corpus di pagine, per lo più sparse, estremamente variegato al proprio interno che comprende testi di differente natura e destinazione. Ne fanno parte le numerose presentazioni, note, prefazioni, postfazioni, a cataloghi di mostre o a volumi monografici su artisti; ancora, gli interventi apparsi in quotidiano o in rivista in merito all’opera di pittori, incisori, stampatori, mercanti d’arte, curatori e più in generale a questioni attinenti l’universo delle arti. E se in molti casi si tratta di contributi occasionali, finanche su richiesta, scritti in concomitanza di eventi culturali come mostre ed esposizioni, o di anniversari e ricorrenze, non mancano esempi di elaborazioni più complesse e strutturate, fatti poi confluire nel novero di alcune raccolte edite (si vedano a esempio ne La corda pazza le sezioni intitolate Pitture su vetro, Emilio Greco, Gli alberi di Bruno Caruso; in Cruciverba: L’ordine delle somiglianze, Chaine; Savinio, Guttuso; in Fatti diversi di storia letteraria e civile: Il ritratto di Pietro speciale; I misteri di Courbet, Ni muy atrás ni muy adelante, Odori, Il ritratto fotografico come entelechia), frutto spesso di un’intensa e duratura attività di studio, ricerca e documentazione sull’opera di artisti particolarmente amati e seguiti, stimati spesso sia umanamente che artisticamente. Rispetto al resto dell’opera tuttavia nelle pagine dedicate alle arti emerge ancora con maggiore preminenza la natura di una scrittura come operazione, come esercizio appunto, proprio laddove, invece, sembrerebbe dominante la componente estemporanea e piacevolmente divagante. Perché se da un lato è evidente che l’interesse di Sciascia per le arti, in particolare figurative, risponde a un più vasto e comprensivo atteggiamento di curiosità intellettuale, di felice applicazione della propria intelligenza, dall’altro esso manifesta la necessità di indagare attraverso le diverse forme della ragione e del sentimento articolate dalle varie manifestazioni artistiche, una irriducibile e inesauribile espressione umana, che l’autore cerca di individuare, riconoscere e seguire al modo di una traccia, facendone dato ulteriore di una ricerca (quella stessa che presiede ad ogni sua pagina) sull’uomo posto di fronte alla difficoltà di attingere alla verità della propria esistenza, delle relazioni con il prossimo, del «contesto» naturale e sociale in cui si trova a vivere. Il piacere della scoperta di un’opera o di un artista, dunque, si accompagna a una radicata istanza cognitiva, moralmente intesa (com’è noto secondo gli illustri modelli di Montaigne e degli illuministi francesi), che la concreta pratica della scrittura traduce poi nella costruzione di coltissime simmetrie istituite attraverso l’attivazione di memorie altre, citazioni letterarie e non solo, spesso poste a chiave dell’argomentazione. Ecco allora che la categoria più frequentemente usata per descrivere la fisionomia intellettuale sciasciana, quella del dilettantismo, è la stessa entro cui deve venire inscritto anche l’esercizio critico verso le arti: attraverso di essa infatti è possibile cogliere la compresenza di un impulso appassionato ed istintivo che cerca e trova soddisfazione nell’alterità artistica e formale, e di un fattore di rigoroso approfondimento e di diligente applicazione che rendono la fruizione dell’arte un momento di potenziale immersione totale, insieme emotiva e celebrale. Lo stesso diffuso schermirsi dell’autore, che in più di un’occasione, spesso in apertura delle proprie note sull’arte, non solo dichiara la natura prettamente amatoriale delle proprie osservazioni ma pare altresì voler sottolineare una distanza da un certo modo professionale di fare critica, va posto nel solco di quella categoria, da Sciascia rivendicata in quanto connotativa di una postura complessiva nei riguardi dell’esperienza e artistica e tout-court esistenziale che sente identificante. Per rendersene conto basteranno due brevissimi esempi: la dichiarazione contenuta nella Prefazione al catalogo della mostra di Marco Bardi: «Più di una volta mi sono trovato a scrivere di pittori siciliani: non da critico d’arte, beninteso, ma da uomo che con altri mezzi lavora a rappresentare la realtà siciliana»;[3] e l’inciso contenuto nella breve lettera che postilla il catalogo di Lorenzo Bottari: «Non sono un critico d’arte; e posso anche aggiungere, in coscienza, che non mi intendo di pittura, la mia sensibilità al colore è piuttosto scarsa[…]».[4] Affrontare l’arte da dilettante in ricerca sembra poter garantire la possibilità di attingere liberamente all’opera senza le rigidità limitanti dell’aspettativa dell’ipercompetenza scientifica o delle autoreferenzialità dei mestieranti, ma pure senza l’ingenuità dell’immediatezza gratuita: significa insomma preservare la capacità dell’opera di ‘dirsi’ e di dire, di farsi parlare da chi la incontra.

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Quadro

di

     

Ma la bella pittura deve essere piatta, come voleva Degas (che la faceva); e la piattezza è divina – cioè peculiare alla pittura, essenza, necessità ineffabilità – come commentava Valéry (che se ne intendeva). E qui vien fatto di dire che la parola «tableau» rende meglio, a connaturare la pittura alla piattezza, della parola «quadro»: quasi che allo «empâtement» sia impossibile sfuggire di fronte a una tavola, mentre è possibile attraversare un quadro, che è poi un perimetro, una cornice.

L. Sciascia, Presentazione a P. Guccione, Catalogo della mostra (1973-1974)

Negli scritti sulla pittura, la scultura o il disegno, rare volte Sciascia interviene nel merito dello statuto delle arti, preferendo alle vesti del critico quelle di un uomo che con altri mezzi si adopera a rappresentare la realtà. Tuttavia, anche se raramente, in alcune delle note dedicate agli amici, è chiara l’intenzione di un approccio ‘estetico’, e in tali occasioni i punti di riferimento sono Alain, Diderot, Baudelaire, ma anche Savinio e Degas, chiamati a suffragare le sue riflessioni. Spesso le pagine teoriche scaturiscono dalla visione di opere che lo colpiscono particolarmente. È quel che accade di fronte ai dipinti di Piero Guccione; proprio in uno scritto destinato ad accompagnare una sua mostra Sciascia utilizza il termine «quadro» e così il primo incontro con le tele dell’artista di Scicli induce lo scrittore a riflettere sull’essenza stessa della «bella pittura che deve essere piatta, come voleva Degas». Riga dopo riga, il discorso si fa estremamente complesso, e riflessione estetica e letteratura sembrano tenersi per mano. Nella prospettiva di Sciascia il miglior supporto per raggiungere la piattezza (carattere che rende divina la pittura) è la tavola, volutamente distinta dal quadro che invece chiude il dipinto dentro una cornice.

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