Si può rimanere spiazzati, a una prima lettura, incontrando accostati i nomi di Henry Matisse e Philippe Parreno: due artisti che a prima vista, e sotto molti aspetti, non sembrano avere nulla a che spartire, e che potrebbero far pensare a un’abbinata stravagante di taglio ‘curatoriale’, giocata magari su un facile sillogismo. Invece, scrive Giorgio Bacci nelle prime pagine del suo libro, a partire da questo confronto è possibile una precisazione di metodo tutt’altro che peregrina. Come in molti altri esempi portati nel corso della trattazione, infatti, questa strana coppia fa emergere delle consonanze sotterranee, dei tratti comuni nel modo di rapportarsi al passato: entrambi, nello specifico, in uno dei momenti più alti delle rispettive ricerche hanno fatto riferimento a un verso o a un passo di Charles Baudelaire, cercando nella sua poesia le stesse cose, o approdandovi rispondendo alle medesime esigenze. Al di là degli esiti formali, non confrontabili, c’è dunque un filo rosso più saldo che lega esperienze così diverse, una comune tensione di ricerca che passa attraverso le stesse fonti culturali: la ricerca di un altrove, magari di un paradiso perduto come Calma, lusso e voluttà del 1904, o Anywhere Out of the World del 2013, che cita un verso di Thomas Hood attraverso la menzione che ne faceva Baudelaire nel suo Viaggio a Citera.

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Quadro

di

     

Ma la bella pittura deve essere piatta, come voleva Degas (che la faceva); e la piattezza è divina – cioè peculiare alla pittura, essenza, necessità ineffabilità – come commentava Valéry (che se ne intendeva). E qui vien fatto di dire che la parola «tableau» rende meglio, a connaturare la pittura alla piattezza, della parola «quadro»: quasi che allo «empâtement» sia impossibile sfuggire di fronte a una tavola, mentre è possibile attraversare un quadro, che è poi un perimetro, una cornice.

L. Sciascia, Presentazione a P. Guccione, Catalogo della mostra (1973-1974)

Negli scritti sulla pittura, la scultura o il disegno, rare volte Sciascia interviene nel merito dello statuto delle arti, preferendo alle vesti del critico quelle di un uomo che con altri mezzi si adopera a rappresentare la realtà. Tuttavia, anche se raramente, in alcune delle note dedicate agli amici, è chiara l’intenzione di un approccio ‘estetico’, e in tali occasioni i punti di riferimento sono Alain, Diderot, Baudelaire, ma anche Savinio e Degas, chiamati a suffragare le sue riflessioni. Spesso le pagine teoriche scaturiscono dalla visione di opere che lo colpiscono particolarmente. È quel che accade di fronte ai dipinti di Piero Guccione; proprio in uno scritto destinato ad accompagnare una sua mostra Sciascia utilizza il termine «quadro» e così il primo incontro con le tele dell’artista di Scicli induce lo scrittore a riflettere sull’essenza stessa della «bella pittura che deve essere piatta, come voleva Degas». Riga dopo riga, il discorso si fa estremamente complesso, e riflessione estetica e letteratura sembrano tenersi per mano. Nella prospettiva di Sciascia il miglior supporto per raggiungere la piattezza (carattere che rende divina la pittura) è la tavola, volutamente distinta dal quadro che invece chiude il dipinto dentro una cornice.

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