Si può rimanere spiazzati, a una prima lettura, incontrando accostati i nomi di Henry Matisse e Philippe Parreno: due artisti che a prima vista, e sotto molti aspetti, non sembrano avere nulla a che spartire, e che potrebbero far pensare a un’abbinata stravagante di taglio ‘curatoriale’, giocata magari su un facile sillogismo. Invece, scrive Giorgio Bacci nelle prime pagine del suo libro, a partire da questo confronto è possibile una precisazione di metodo tutt’altro che peregrina. Come in molti altri esempi portati nel corso della trattazione, infatti, questa strana coppia fa emergere delle consonanze sotterranee, dei tratti comuni nel modo di rapportarsi al passato: entrambi, nello specifico, in uno dei momenti più alti delle rispettive ricerche hanno fatto riferimento a un verso o a un passo di Charles Baudelaire, cercando nella sua poesia le stesse cose, o approdandovi rispondendo alle medesime esigenze. Al di là degli esiti formali, non confrontabili, c’è dunque un filo rosso più saldo che lega esperienze così diverse, una comune tensione di ricerca che passa attraverso le stesse fonti culturali: la ricerca di un altrove, magari di un paradiso perduto come Calma, lusso e voluttà del 1904, o Anywhere Out of the World del 2013, che cita un verso di Thomas Hood attraverso la menzione che ne faceva Baudelaire nel suo Viaggio a Citera.

* Continua a Leggere, vai alla versione integrale →

Categorie



 

La lotta consiste nel fatto che il tiratore mira a se stesso – eppure non a se stesso – e così è insieme miratore e bersaglio, colui che colpisce e colui che è colpito.

E. Herrigel


 

Sono dodici le interviste che compongono il volume Vedere è tutto. Interviste e conversazioni (1951-1998), omaggio a Cartier-Bresson, edito recentemente da Contrasto a cura di Julie Jones e Clément Chéroux in occasione della più grande retrospettiva mai dedicata al fotografo francese dal Centre Pompidou di Parigi, curata dallo stesso Chéroux che ne dirige il Dipartimento di Fotografia e ancora per pochi giorni a Roma al Museo dell’Ara Pacis.

I testi abbracciano ben mezzo secolo di vita e di carriera dell’artista consentendo di rintracciare la sostanziale continuità, etica ed estetica, che ne ha guidato le scelte, scaturendo questa non tanto da una riflessione sistematica quanto da un’istintiva coerenza nei confronti dei propri princìpi, dalla fedeltà di uno sguardo a se stesso. Le parole di Bresson tuttavia ci restituiscono un’immagine di uomo e di artista niente affatto statica ed etichettabile, le cui scelte e i cui interessi appaiono come il frutto dell’entusiasmo di uno sguardo di volta in volta appagato dai diversi mezzi d’espressione visiva, uno sguardo spettatore e testimone di un mondo attraversato da grandi cambiamenti, i quali hanno inevitabilmente influenzato (in modo negativo secondo Bresson) sia il mestiere del fotografo sia la fruizione delle immagini da parte del pubblico.

* Continua a Leggere, vai alla versione integrale →

 

Pour voir tous les yeux réfléchis

Par tous les yeux

Paul Eluard

Nella trama disegnata dall’ultimo romanzo di Alessandra Sarchi, L’amore normale (Torino, Einaudi, 2014) ‘il dolce rumore della vita’ quotidiana di Laura e Davide e delle loro figlie, Violetta e Bettina, è stravolto dall’esperienza del tradimento più o meno casuale e reciproco dei due coniugi. Il titolo prende spunto da una battuta del film di Ettore Scola Dramma della gelosia (1970), che fa da Leitmotiv a tutta la storia («allora, io e lui, si amavamo normalmente») e che Fabrizio, un tempo fidanzato e ora neo amante di Laura, cita diverse volte: questo il primo dei rimandi visuali che sostiene la semantica del testo. Il tradimento che interrompe la routine dei protagonisti fa probabilmente parte della normalità cui allude il titolo, nella ripresa della trama da romanzo d’appendice o da dramma borghese, come è già stato notato da più parti. Anche se, nella seconda parte del romanzo, l’intenzione di Davide e Laura è quella di sfidare la ‘norma’ provando a far convivere tutti insieme, famiglia e amanti compresi, in vacanza nella casa al mare.

Il plot esibisce, dunque, una materia usurata, ma ciò che costituisce l’elemento più affascinante di questo romanzo è l’invenzione di un dispositivo diegetico multifocale. La storia rimbalza, infatti, da un personaggio all’altro, evolve e si aggroviglia nel passaggio del gomitolo da Laura a Davide, da Davide a Mia (la sua amante), e così via fino a penetrare in altre case e a incontrare l’esistenza di altre famiglie. I personaggi in realtà non si passano la parola ma lo sguardo sulla storia, che si compone dei pezzi di uno specchio andato in frantumi, ciascuno dei quali riflette una scheggia della vicenda, accompagnata dalla differente percezione che ognuno dei protagonisti ha della propria e della altrui vita. A ripensarci, quel che stupisce maggiormente è proprio il fuoco incrociato degli sguardi, e insieme ad esso la staffetta delle voci interiori, che funziona in perfetta sincronia. L’autrice sembra non parteggiare per nessuno dei protagonisti, riversa su di loro un amore incondizionato, estraneo a ogni forma di giudizio morale e interessato unicamente a comprendere le ragioni delle loro scelte, a intuirne le conseguenze.

* Continua a Leggere, vai alla versione integrale →