Abstract: ITA | ENG

La Carrozza d’oro (1952) di Jean Renoir è un film che fonde insieme riflessioni su cinema, teatro e arte. Girato in Technicolor e ispirato all’atto unico di Prosper Mérimée (La carrozza del Santo Sacramento, 1829), è – come lo ha definito lo stesso regista – «una commedia. […] un omaggio all’antico Teatro Italiano, particolarmente a quella forma di teatro detta la Commedia dell’Arte» (Renoir, 1953). Il film mette in campo un’infinita serie di interessanti relazioni tra realtà e finzione finendo col portare sul grande schermo la storia di un’attrice (Camilla), specchio di Magnani, per la quale la vera vita è quella che interpreta nei suoi personaggi (Colombina). Il contributo si concentrasulla grande prova di Magnani-Camilla che, intessendo sul suo corpo il duplice ruolo dell’attrice e della donna contesa in amore che sceglierà alla fine la strada dell’Arte, finisce col creare un doppio gioco tra illusione di verità e attorialità. La sua arte, come accaduto già per altri ruoli, si fonda sull’equilibrio perfetto tra recitazione a teatro e recitazione nella vita al punto da rendere difficile scindere l’attrice dalla donna, divenute ormai corpus unico.

La Carrozza d’oro (1952) is a film by Jean Renoir that combines reflections on cinema, theatre and art. In Technicolor and inspired by Prosper Mérimée’s one-act play (La carrozza del Santo Sacramento, 1829), it is – as the director himself defined it – «a comedy. [...] a tribute to ancient Italian theatre, particularly to that form of theatre known as the Commedia dell’Arte» (Renoir, 1953). The film introduces an endless seriesof interesting relationships between reality and fiction, ending up by bringing to the big screen the story of an actress(Camilla), a mirror of Magnani, for whom the real life is the one she plays in her characters (Colombina). The contribution focuses on Magnani-Camilla's great performance, who, by weaving onto her body the dual role of the actress and the woman challenged in love who will ultimately choose the path of Art, ends up creating a double game between the illusion of truth and acting. Her art, as in other roles, is based on the perfect balance between acting in the theatre and acting in life, to the point of making it difficult to separate the actress from the woman, who have now become a single corpus.

«Cara Anna, questa è l’ultima forma del nostro racconto-sceneggiato, […] leggila e dammi le tue impressioni. Ti abbraccio. Luchino».[1]Camila. La carrozza del Santissimo Sacramento è il titolo della sceneggiatura firmata nel 1950 da Luchino Visconti, Suso Cecchi D’Amico, Antonio Pietrangeli e conservata tra le carte del Fondo Visconti nell’archivio della Fondazione Istituto Gramsci di Roma.[2] Cosa resta oggi di quel film mai realizzato – voluto dal principe siciliano Francesco Alliata di Villafranca fondatore, insieme ad alcuni amici, della casa di produzione Panaria Films (1946) – ce lo ricorda Stefano Moretti:

Il progetto di lavorare sulla pièce di Prosper Mérimée[4] si risolse in una fumata nera per Visconti e fu nel 1952 portato a termine da Jean Renoir, che il 28 marzo 1951 riceveva dal produttore Robert Dorfmann un telegramma a cui sarebbe seguito un rapido botta e risposta:

Renoir, all’epoca, era desideroso di tornare in Europa e di fare un film con l’attrice che non esitava a definire «la quintessenza dell’Italia». In una lettera di qualche tempo dopo, indirizzata a Jean Vilar, difatti leggiamo:

1. «La commedia, il teatro e la vita»

Nel 1952 Magnani sale sulla carrozza in puro stile Settecento che i Lanza di Trabia[7]avevano rimesso in moto e trasferito da Palermo a Roma affinché divenisse la protagonista, almeno nel titolo, del film diretto da Renoir: Le Carrosse d’or.[8]

* Continua a Leggere, vai alla versione integrale →

Categorie



 

La lotta consiste nel fatto che il tiratore mira a se stesso – eppure non a se stesso – e così è insieme miratore e bersaglio, colui che colpisce e colui che è colpito.

E. Herrigel


 

Sono dodici le interviste che compongono il volume Vedere è tutto. Interviste e conversazioni (1951-1998), omaggio a Cartier-Bresson, edito recentemente da Contrasto a cura di Julie Jones e Clément Chéroux in occasione della più grande retrospettiva mai dedicata al fotografo francese dal Centre Pompidou di Parigi, curata dallo stesso Chéroux che ne dirige il Dipartimento di Fotografia e ancora per pochi giorni a Roma al Museo dell’Ara Pacis.

I testi abbracciano ben mezzo secolo di vita e di carriera dell’artista consentendo di rintracciare la sostanziale continuità, etica ed estetica, che ne ha guidato le scelte, scaturendo questa non tanto da una riflessione sistematica quanto da un’istintiva coerenza nei confronti dei propri princìpi, dalla fedeltà di uno sguardo a se stesso. Le parole di Bresson tuttavia ci restituiscono un’immagine di uomo e di artista niente affatto statica ed etichettabile, le cui scelte e i cui interessi appaiono come il frutto dell’entusiasmo di uno sguardo di volta in volta appagato dai diversi mezzi d’espressione visiva, uno sguardo spettatore e testimone di un mondo attraversato da grandi cambiamenti, i quali hanno inevitabilmente influenzato (in modo negativo secondo Bresson) sia il mestiere del fotografo sia la fruizione delle immagini da parte del pubblico.

* Continua a Leggere, vai alla versione integrale →