1. Nel cuore della società
È il 1982 e a raccontare a una giornalista del periodico La stampa della difficile intesa con il proprio appartamento romano è Monica Vitti. L’abitazione è «la sola e unica casa da ragazza», presa in affitto dopo aver lasciato la famiglia negli anni in cui Vitti diviene la musa dell’incomunicabilità del cinema antonioniano:
Vitti, in realtà, di case (sebbene cinematografiche) ne abiterà molte negli anni a venire. La collaborazione con il regista segna infatti, con L’avventura (M. Antonioni, 1960), l’esordio di una figura «spersonalizzata» (Gundle, 2007, pp. 301-302) e dall’immagine assai diversa rispetto a quella delle colleghe affermate nel Paese: «Ero tutta sbagliata per il cinema di quegli anni. Ero bionda, lentigginosa, alta, secca, il seno non ce l’avevo e avevo la vita larga, e questa voce qui. Era sbagliato il mio naso, la mia faccia non era italiana» (Mori, 1985, p. 165). Portando avanti un percorso cominciato a teatro (Senza rete, 1954; Sei storie da ridere, 1956; I capricci di Marianna, 1958) e in film comici diretti da registi come Edoardo Anton (Ridere! Ridere! Ridere!, 1954), Glauco Pellegrini (Una pelliccia di visone, 1956), Mario Amendola (Le dritte, 1958), Alessandro Blasetti (La lepre e la tartaruga, primo episodio dell’opera collettiva Le quattro verità, 1963) o Roger Vadim (Il castello in Svezia, 1963), Vitti imboccherà successivamente la strada che la condurrà alla commedia all’italiana. Il disco volante (T. Brass, 1964) la vedrà vestire i panni di una moglie fedifraga e inaugurerà una lunga serie di film di successo (come La ragazza con la pistola di Mario Monicelli, 1968) [fig. 1] nonché di sodalizi noti – in particolare con Alberto Sordi, attore con cui esploderanno «scintille, di comicità e sintonia, tanto da bucare lo schermo» (Borsatti, 2022, p. 109) –, che le faranno conquistare la fama di mattatrice del genere.