0. Premessa. Perché Sipario?
Se uno degli obiettivi di questo dossier è quello di rintracciare i fili di un fenomeno che dall’inizio degli anni Sessanta vede alcuni artisti italiani, provenienti da discipline differenti (teatro, danza, musica, arti visive, poesia), sperimentare vie di ricerca che erodono i confini netti fra una disciplina e l’altra, certo Sipario non è il luogo in cui tutto questo trova un’immediata cassa di risonanza e tanto meno una precoce attenzione.
D’altra parte, Sipario è la rivista di teatro più letta e autorevole di questo periodo,[1] capace di orientare il racconto di ciò che avviene e veicolare pensieri e punti di vista che incidono profondamente nella vita teatrale del tempo. I dibattiti, le inchieste, i materiali, le immagini che occupano le sue pagine forniscono chiavi di lettura dei processi in atto e spesso ne influenzano l’andamento. Gradualmente, in particolare sotto la direzione di Franco Quadri a partire dal 1962 e con il coinvolgimento di una parte della critica del tempo, Sipario accompagna e promuove fra l’altro la riconfigurazione delle prassi e delle progettualità che caratterizzano la scena teatrale degli anni Sessanta, processo in cui l’esplodere delle convenzioni e delle gerarchie tradizionali fra codici linguistici, l’affermazione del vasto campo del ‘performativo’ e le influenze delle sperimentazioni internazionali si rivelano momenti cardine. In questo suo interrogare la nostra scena e, sempre più sistematicamente, anche la scena sperimentale internazionale, Sipario crea una rete di riferimenti, di categorie interpretative, di exempla, che contribuiscono a costruire il terreno in cui anche le esperienze di incontro fra arti visive e teatro saranno poi lette e raccontate (e promosse). Ed è proprio qui che (con la sua lunga storia) questa rivista conquista un ruolo importante anche nella storia che questo dossier intende affrontare.