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  • [Smarginature] «Ho ucciso l'angelo del focolare». Lo spazio domestico e la libertà ritrovata →
Abstract: ITA | ENG

Mai come ora le immagini dei nostri corpi trovano nella casa la scena della propria autorappresentazione. Complice la pandemia, che ha reso l’ambiente domestico da una parte rifugio dal pericolo esterno, dall’altra unico possibile affaccio, grazie alle immagini dispositivo, a quel mondo fisicamente vietato. Due sole le questioni che sembrano pervadere le forme di auto-ritrattistica digitale se interrogate nel quadro dei modi di auto-mostrazione femminile tra le mura domestiche tramite i social media. Da una parte il segreto dall’altra parte la posa, due aspetti dell’essere che gravitano antiteticamente su lati opposti: il segreto nella sfera del privato, del recesso, del nascondimento, mentre la posa in quella del pubblico, dell’esibizione, del performativo.

The images of our bodies find the scene of their self-representation in the house. Thanks to the pandemic, which made the home environment, on the one hand a refuge from external danger, on the other the only possible view, thanks to the device images, to that physically forbidden world. Two issues seem to pervade the forms of digital self-portraiture when questioned in the context of the ways of female self-display at home via social media. On the one hand the secret, on the other the pose, two aspects of being that gravitate antithetically on opposite sides: the secret in the private sphere while the pose in that of the public, of the exhibition, of the performative.

 

 

Take a look at you and me

Are we too blind to see?

Do we simply turn our heads

And look the other way.

Elvis Presley, In the Ghetto


 

Paolo Sorrentino commenta così la scelta di celare fino alla fine la figura della sorella, che dietro alla porta del bagno diventa una presenza assente, invisibile eppure significativa. La sottrazione allo sguardo dei famigliari, che vengono tenuti all’oscuro dei rituali di preparazione della giovane donna che si fa bella per uscire, si riflette sulla sottrazione alla visione, come se quel corpo in trasformazione diventasse un segreto. Questa suggestione che arriva dall’ultimo film di Sorrentino, È stata la mano di Dio, ci porta a mettere a fuoco due questioni che sembrano pervadere alcune forme di auto-ritrattistica digitale se interrogate nel quadro dei modi di auto-mostrazione femminile tra le mura domestiche tramite i social media. Mai come ora le immagini dei nostri corpi trovano infatti nella casa la scena per la propria autorappresentazione. Complice la pandemia, che ha reso l’ambiente domestico da una parte rifugio dal pericolo esterno ma, dall’altra, anche unico possibile affaccio, grazie alle immagini dai nostri spazi privati, a quel mondo fisicamente vietato.

Le due questioni in gioco sembrano essere da una parte il segreto e dall’altra la posa, due aspetti dell’essere che gravitano antiteticamente su lati opposti: il segreto nella sfera del privato, del recesso, del nascondimento, mentre la posa in quella del pubblico, dell’esibizione, del performativo. La sorella di Fabietto nasconde il proprio rituale di trasformazione, cela il processo di costruzione dell’immagine di Sé come donna, quell’immagine che una volta costruita diventa essenziale per mettersi in posa nel passeggio pubblico. Anche se Sorrentino, sul finire del film, finalmente decide di aprire la porta del bagno per farla sfilare, incedere a passi lenti verso la macchina da presa lungo il corridoio di una casa ormai vuota, per arrivare a mettersi in posa in un camera look, con il volto smarrito bagnato di lacrime [fig. 1].

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In occasione del convegno Cultura visuale in Italia. Prospettive di ricerca (Palermo, 19-21 marzo 2018), che si è svolto nello straordinario scenario delle sale del Museo internazionale delle marionette Antonio Pasqualino, abbiamo incontrato Mauro Carbone che ci ha presentato il suo libro. 

Filosofia-schermi pone al centro delle questioni del pensiero contemporaneo «l’esperienza schermica» e i profondi mutamenti antropologici ad essa legati, mostrando l’urgenza del confronto con le trasformazioni e le moltiplicazioni dei dispositivi della visione nella nostra vita quotidiana.

A partire dalla formulazione del concetto di «archi-schermo», Carbone propone una filosofia dello schermo anti-teleologica, libera dalla prospettiva originata da sterili speculazioni sull’evoluzionismo dei devices visuali, ma attenta agli interrogativi della dimensione dell’esperienza. Da questa si deduce una considerazione degli schermi (e della relazione con essi) che decostruisce l’univocità del binomio attivo/passivo, soggetto/oggetto. L’interazione infatti fra lo spettatore o la spettatrice e la superficie schermica, che mostra, nasconde e ‘media’ la visione, rivela una dimensione originariamente interattiva, derivante dall’imprescindibile potere seduttivo degli schermi, intesi come vettori capaci di attivare pensieri, conoscenze, desideri.

Palermo, 19 marzo 2018

Ringraziamo Valeria Cammarata, Roberta Coglitore, Michele Cometa e Danilo Mariscalco, per l’occasione; Rosario Perricone e tutto lo staff del Museo Pasqualino, per la gentile ospitalità.

Riprese audio-video: Francesco Pellegrino; montaggio: Ana Duque; musica: Lloyd Rodgers

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Lungi dal proporre un ventaglio di tesi riduzionistiche,  ripercorrono ogni aspetto del linguaggio filmico (con specifici rimandi ai movimenti della macchina da presa) attraverso il principio dell’experimental aesthetics, che consente di esplorare «la percezione multimodale del mondo attraverso il corpo».

Il regime della visualità cinematografica trova, grazie alle ricerche incrociate di Gallese e Guerra, nuove declinazioni ma soprattutto una sintesi teorica di grande impatto che si spinge fino al confronto con i dispositivi digitali: l’ultimo capitolo è in realtà la premessa di esperimenti che verranno…

Il volume ha vinto il Premio Limina 2016 come Miglior libro italiano di studi sul cinema.

 

 

Parma, 4 novembre 2015

Riprese audio-video: Maria Rizzarelli; montaggio: Salvo Arcidiacono, Simona Sortino

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