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Così Francesco da Buti, uno dei primi commentatori della Commedia, individua nella coda l’attributo fondamentale del Minosse dantesco, attributo sul quale si concentrerà anche tutta la critica successiva, alla ricerca di precisi significati allegorici della stessa e al contempo persa dietro a questioni di lunghezza e di forma. L’ecfrasi del sommo poeta non propone un ritratto dettagliato del mitico re cretese (da ciò probabilmente dipenderanno le molte rappresentazioni figurative ‘di spalle’ del personaggio), preferendo piuttosto focalizzare l’attenzione su pochi e significativi elementi in grado di imprimersi con maggiore efficacia nella mente, nell’immaginario e nella memoria del lettore.

Ciò che a Dante sembra urgere di più è la resa dell’atteggiamento («orribilmente, e ringhia»), nonché l’esplicazione del ruolo che Minosse svolge all’interno dell’ecosistema infernale: egli «esamina», «giudica e manda secondo ch’avvinghia» e ancora «cignesi con la coda tante volte / quantunque gradi vuol che giù sia messa» «l’anima mal nata» (vv. 7-12). La coda diviene così il fulcro semantico e visuale di questo ritratto «pieno di senso» (Battaglia Ricci 2015, p. 116), rimarcando la funzione del suo detentore, esecutore della divina volontà e strumento, mezzo, che consente lo smistamento dei dannati nel girone loro deputato. Una funzione peraltro propria di molti custodi e demoni della Commedia, che troverà il culmine in Inferno XXXIV, nella totale inerzia luciferina, nella riduzione del signore del Male a cosa, e nell’attraversamento del suo stesso corpo da parte dei due pellegrini, poiché unica strada per compiere il primo passo verso la salvezza («ché per cotali scale, / disse 'l maestro, ansando com’uom lasso, / conviensi dipartir da tanto male», vv. 82-84).

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