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Dare un quadro complessivo del volume Cultura visuale in Italia. Immagini, sguardi, dispositivi, a cura di Michele Cometa, Roberta Coglitore e Valeria Cammarata (Meltemi, 2022), non è un compito facile, visto l’ampio spettro di questioni che le oltre quattrocento pagine di questa raccolta di saggi contengono al loro interno. Si potrebbe iniziare dicendo che Cultura visuale in Italia non è una ricapitolazione o un’introduzione al tema che il titolo annuncia: piuttosto si tratta di dar conto della ricchezza (e della vitalità) di un campo di studi relativamente giovane (o, almeno, così è in Italia), attraverso la presentazione delle ricerche o della discussione di nodi teorici ancora irrisolti e che stanno al centro delle riflessioni di studiosi e studiose che a questo libro partecipano. Al netto della ricercata eterogeneità degli argomenti, ci sono alcuni interrogativi che continuamente ritornano, e che non a caso sono in parte esplicitamente richiamati, in apertura, dal saggio di Mitchell e che sono quasi sempre di natura relazionale: il rapporto fra parola e immagine, quello fra immagini e eventi storici, fra sguardi e dispositivi, fra arte e vita, fra media, circolazione e contesti, fra significati culturali e forme espressive e via dicendo.

Sono domande, per certi versi, vecchie, che da sempre si ripropongono a chi si occupi di teoria letteraria o di estetica, ma che qui vengono affrontate da prospettive diverse, in grado di aprire dibattiti pienamente (e positivamente) interdisciplinari, cercando di ragionare su un campo estetico che non può più essere considerato nelle sue singole componenti atomizzate, ma solo come uno spazio, appunto, di forme ‘rappresentazionali’, dispositivi, media, oggetti estetici continuamente in dialogo fra loro: non per obliarne le specificità, evidentemente, ma per meglio metterne a fuoco le caratteristiche distintive, come mostrano, appunto, i casi di studio presentati nel volume.

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Oggetto d’indagine del recente studio di Michele Cometa, Il Trionfo della morte di Palermo. Un’allegoria della modernità, pubblicato a luglio 2017 per Quodlibet, è, come suggerito dal titolo, il meraviglioso quanto misterioso affresco palermitano, che, eseguito intorno alla metà del XV secolo da due pittori tutt’ora sconosciuti per il cortile dell’Ospedale Grande e Nuovo in Palazzo Sclafani, si trova oggi conservato presso la Galleria Regionale di Palazzo Abatellis di Palermo.

Ciò che propone Cometa in questa sede, mettendo da parte i già consolidati strumenti di ricerca degli storici dell’arte, è un nuovo approccio di analisi all’opera che affonda le sue radici sia nei paradigmi della cultura visuale contemporanea, sia nelle considerazioni proprie della storia dei concetti teorizzata da Koselleck. L’autore così, invece di «dissezionare in brandelli» l’opera, preferisce porsi in ascolto della polifonia di voci e di sguardi che la compongono, con l’obbiettivo di connettere queste varie tessere visive e ricercarne l’armonia di fondo, la quale, costruita su una fitta trama di relazioni, a saperla guardare, prenderebbe la forma di un vero e proprio intreccio narrativo. Il racconto, interamente affidato al muto dialogo messo in scena tra i personaggi e tra questi e lo spazio che li ospita, si srotola come in una giostra in curve ed ellissi, illustrando gli atteggiamenti e le sfumature dell’animo umano, Stimmungen come le definisce Cometa, che si manifestano al sopraggiungere della morte. È proprio la necessità di questa storia l’unico antidoto che rimane all’uomo contro la dissoluzione della vita.

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