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Oggetto d’indagine del recente studio di Michele Cometa, Il Trionfo della morte di Palermo. Un’allegoria della modernità, pubblicato a luglio 2017 per Quodlibet, è, come suggerito dal titolo, il meraviglioso quanto misterioso affresco palermitano, che, eseguito intorno alla metà del XV secolo da due pittori tutt’ora sconosciuti per il cortile dell’Ospedale Grande e Nuovo in Palazzo Sclafani, si trova oggi conservato presso la Galleria Regionale di Palazzo Abatellis di Palermo.

Ciò che propone Cometa in questa sede, mettendo da parte i già consolidati strumenti di ricerca degli storici dell’arte, è un nuovo approccio di analisi all’opera che affonda le sue radici sia nei paradigmi della cultura visuale contemporanea, sia nelle considerazioni proprie della storia dei concetti teorizzata da Koselleck. L’autore così, invece di «dissezionare in brandelli» l’opera, preferisce porsi in ascolto della polifonia di voci e di sguardi che la compongono, con l’obbiettivo di connettere queste varie tessere visive e ricercarne l’armonia di fondo, la quale, costruita su una fitta trama di relazioni, a saperla guardare, prenderebbe la forma di un vero e proprio intreccio narrativo. Il racconto, interamente affidato al muto dialogo messo in scena tra i personaggi e tra questi e lo spazio che li ospita, si srotola come in una giostra in curve ed ellissi, illustrando gli atteggiamenti e le sfumature dell’animo umano, Stimmungen come le definisce Cometa, che si manifestano al sopraggiungere della morte. È proprio la necessità di questa storia l’unico antidoto che rimane all’uomo contro la dissoluzione della vita.

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Abstract: ITA | ENG

All’interno della Diceria dell’untore, l’ekphrasis del Trionfo della Morte rappresenta un nodo cruciale per l’ermeneutica dell’opera Per Bufalino, la visione dell’affresco di Palazzo Sclafani non solo è un motivo germinale del romanzo, ma è soprattutto una mise en abyme della vicenda. Ai margini della scena è dipinta una figura che assiste alla catastrofe, probabile autoritratto del pittore e icastica incarnazione dell’atteggiamento del narratore, che si pone nell’habitus di spettatore-autore della vicenda apocalittica del sanatorio. Porsi come spettatore della morte, assistere alle sue raffigurazioni, è un momento catartico per la catabasi, infatti l’untore osservando la morte dei personaggi del sanatorio, (in particolare Marta e il Gran Magro) compie un’opera di affrancamento. Questo atteggiamento ha un preciso analogon nella visione dell’amazzone dipinta, i cui strali sono in realtà forieri di una catarsi. L’untore delega all’occhio gettato sull’ecatombe altrui, e alla rappresentazione di essa, il desiderio inespresso di sopprimere le controfigure romanzesche in quanto illusioni fittizie, così da riappropriarsi della visione reale, al di là di ogni schema di rappresentazione. Nella dimensione visiva della Diceria, l’untore fa dell’occhio un sicario da indirizzare sui personaggi carcerieri. Il protagonista osserva la morte trionfare nel sanatorio (così come avviene nel dipinto) affinché possa riappropriarsi della vita. 

In the novel Diceria dell’untore the ekphrasis of The Triumph of Dead is an important place for its hermeneutics. The fresco of Palazzo Sclafani was a source of inspiration for the author, and also a mise en abyme of the plot. In the fresco is depicted a figure that stays at the edge of the picture, outside the catastrophe; he’s probably a painter’s self portrait. This is a symbol of the author attitude, that put himself in the condition of spectator and creator at the same time. Being a death spectator, for Bufalino, means pass through the catastrophe without consequences, and achieve a catharsis. Gazing Marta and Gran Magro’s agony is a way of liberation from their slavery. This attitude has a precise equivalent in the observation of the fresco. The protagonist transfers in his eye the strictly forbidden desire to kill all his spitting images, so he can repossess his life. In the visual dimension of Diceria dell’untore, the narrator uses his eye like a hired assassin, to send against other characters. The protagonist observes Death triumphing in the sanatorium and also in the fresco, because of a wish of a real rebirth.

1. Dicerie in affresco

L’interesse della più recente critica letteraria sulla figura e l’opera di Gesualdo Bufalino mostra come la poetica del comisano ami attingere alle arti visive,[1] adoperarle come fonte d’ispirazione e dialogare con esse, infatti i costanti riferimenti alle discipline legate alla percezione visiva (il cinema, la fotografia e la pittura) attraversano puntualmente l’intera produzione dello scrittore e diventano espedienti retorici profondamente compenetrati alla sua narrativa. Inoltre le citazioni implicite o esplicite di opere d’arte all’interno dei romanzi bufaliniani fanno emergere il profilo di un intellettuale moderno dotato di una spiccata sensibilità pittorica e di una folta imagerie figurativa.

Viaggiando fra vista, visione e visibilio,[2] la cifra autoriale barocca e ipertrofica di Bufalino non manca mai di arricchire la pagina di suggestioni sensoriali; in particolare nel ‘liberty funebre’ di Diceria dell’untore (e nell’opera omnia dello scrittore) la componente iconica è ben più che un semplice orpello e si impone come caratteristica dominante di una scrittura avulsa da ogni epigonismo letterario, che affonda le sue radici culturali nell’humus della letteratura decadente, ma che non smette mai di guardare al Postmoderno per il gioco autoreferenziale delle citazioni e della riscrittura. Servendosi della parola evocativa come se fosse lo strumento di un prestigiatore, di un mago Atlante o Prospero, Gesualdo Bufalino si avvale di molti espedienti visivi per ri-creare di fronte al lettore un ‘teatro d’ombre’ nella finzione letteraria.

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