La città di Moriana è collocata all’inizio del capitolo VII delle Città invisibili ed è identificata come la n. 5 della serie ‘Le città e gli occhi’. È la città bifronte senza spessore che «consiste solo in un dritto e in un rovescio, come un foglio di carta, con una figura di qua e una di là, che non possono staccarsi né guardarsi» (CI, p. 449). Di conseguenza: da un lato, la città limpida e acquatica «con le porte d’alabastro trasparenti alla luce del sole, le colonne di corallo che sostengono i frontoni incrostati di serpentina, le ville tutte di vetro come acquari dove nuotano le ombre delle danzatrici dalle squame argentate sotto i lampadari a forma di medusa»; dall’altro lato, la città di detriti e spazzatura, «una distesa di lamiera arrugginita, tela di sacco, assi irte di chiodi, tubi neri di fuliggine, mucchi di barattoli, muri ciechi con scritte stinte, telai di sedie spagliate, corde buone solo per impiccarsi a un trave marcio» (ibidem). Il viaggiatore farà inevitabilmente esperienza dei due volti di Moriana, perché essi sono inseparabili come le due facce delle carte dei tarocchi: il dritto geometrico e cristallino implica anche il rovescio caotico e desolato. In questo capitolo, Marco Polo e Kublai Kan discutono in particolare della forza dell’immaginazione e si chiedono se quello che vedono sia reale oppure sia una proiezione della loro mente (ammette Polo: «Forse questo giardino esiste solo nell’ombra delle nostre palpebre abbassate», CI, p. 447). Così, Kublai mette in dubbio non solo che Polo abbia davvero visitato le città che descrive, ma addirittura l’esistenza stessa dei due uomini che dialogano affermando che potrebbe trattarsi solo di «due straccioni soprannominati Kublai Kan e Marco Polo» (ibidem).