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Lo scenografo Paolo Fantin ormai da quasi un ventennio collabora con Damiano Michieletto, uno dei registi d’opera contemporanei più rinomati. Dalla Gazza ladra, messa in scena nel 2007 per il Rossini Opera Festival, è nato un sodalizio che attraversa non solo la lirica ma anche il cinema e di recente l’orizzonte delle arti visive. Damiano Michieletto, Paolo Fantin, Alessandro Carletti e Matteo Perin hanno infatti dato vita a Oφcina (Ophicina), descritto dai membri come un ‘laboratorio creativo’, che ha avuto come primo prodotto Archèus. Labirinto Mozart, un’installazione immersiva realizzata per La Biennale di Venezia. La conversazione con Fantin, registrata via web in data 18 febbraio 2022, ha spaziato dalla sua formazione agli obiettivi del suo lavoro, con mirata attenzione al processo creativo e all’uso della tecnologia nell’invenzione dello spazio scenico. Dalle risposte ricevute è possibile comprendere come uno dei punti di forza di Michieletto e del suo team creativo sia la ricerca di una commistione di vari linguaggi artistici che si rinnova ad ogni lavoro. Il loro punto di partenza è sempre la storia da raccontare, quindi l’utilizzo delle steady-cam sulla scena, la rimediazione in più schermi, i video preregistrati in Rigoletto, gli inserti del Gianni Schicchi, gli oggetti-simbolo che ‘vivono’ nelle cinque stanze di Archèus, i diversi materiali delle scenografie sono tutte soluzioni espressive pensate per accompagnare e rafforzare il senso drammaturgico delle opere.

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Abstract: ITA | ENG

Il recente film-opera Gianni Schicchi di Damiano Michieletto ha spiazzato tutte le aspettative. Pur aderendo alla tradizione del recitar cantando, il regista veneziano ha infatti introdotto delle sostanziali novità drammaturgiche e stilistiche, intervenendo con decisione sul libretto e adoperando appieno gli elementi della grammatica filmica (piani sequenza, veloci carrelli, zoom). L’analisi propone un’interpretazione del lavoro registico che poggia sulla tesi, ipotizzata dallo stesso Michieletto, che l’opera di Puccini sia stata influenzata dalla settima arte, e che pertanto si presti particolarmente bene a diventare un film. Partendo da tale presupposto la riflessione indaga il nuovo trattamento cinematografico della materia pucciniana, spinto sul piano del ritmo, del divertimento, dell’attualizzazione contemporanea, mettendolo in relazione ai precedenti più significativi della commedia nel cinema operistico: Figaro e la sua gran giornata di Mario Camerini, Il barbiere di Siviglia di Mario Costa, Figaro il barbiere di Siviglia di Camillo Mastrocinque, Avanti a lui tremava tutta Roma di Carmine Gallone.

The recent film-opera Gianni Schicchi by Damiano Michieletto has displaced all expectations. While adhering to the tradition of recitar cantando, the Venetian director has in fact introduced significant dramaturgical and stylistic innovations, intervening decisively on the libretto and making full use of the elements of film grammar (long takes, fast tracking shots, zooms). The analysis proposes an interpretation of the director’s work based on the thesis, hypothesized by Michieletto himself, that Puccini’s opera has been influenced by the seventh art, and therefore lends itself particularly well to becoming a film. Starting from this assumption, the reflection investigates the new cinematographic treatment of Puccini’s material, pushed on the level of rhythm, amusement and contemporary actualization, putting it in relation to the most significant precedents of comedy in opera films: Figaro e la sua gran giornata by Mario Camerini, Il barbiere di Siviglia by Mario Costa, Figaro il barbiere di Siviglia by Camillo Mastrocinque, Avanti a lui tremava tutta Roma by Carmine Gallone.

 

Secondo Damiano Michieletto, regista del film Gianni Schicchi presentato al Torino Film Festival nel novembre 2021 e poco dopo messo in onda dalle reti Rai, l’opera di Giacomo Puccini si presta in modo particolare a diventare un film. Questo perché il compositore toscano, tra i grandi autori italiani di melodrammi, è il primo a operare pienamente quando la settima arte si sta già diffondendo nel mondo, rivoluzionando in modo definitivo l’idea stessa di spettacolo e la sua fruizione da parte del pubblico. Lo ha dichiarato lo stesso regista ai microfoni di Hollywood Party – storica trasmissione dedicata al cinema di Rai Radio 3 –, raccontando le sfide che consapevolmente ha voluto affrontare dirigendo questo film. Sfide che sono tutt’altro che banali: Michieletto ha scelto di restare fedele alla grande e nobile tradizione italiana del ‘recitar cantando’, e quindi di realizzare quello che tecnicamente si definisce un film-opera, impreziosito da un prologo nel quale domina la scena Giancarlo Giannini; al tempo stesso, però, ha voluto mettere le mani con decisione sul libretto, trasportando in epoca contemporanea la vicenda. In questo modo si è perso il diretto riferimento dantesco che è presente nel testo, e che vede lo stesso Dante incontrare Gianni Schicchi nella decima Bolgia (il canto è il XXX dell’Inferno, e si conclude com’è noto con una dura reprimenda di Virgilio nei confronti del poeta toscano), punito insieme agli altri falsari, tra i quali Mirra. Insomma, non si può dire che il regista veneziano abbia scelto la strada più facile per questo film-opera: e proprio l’aver affrontato scientemente ostacoli di ogni tipo lo ha portato a realizzare uno spettacolo nuovo, vivo, brillante.

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Abstract: ITA | ENG

Come si racconta la bellezza dell’opera lirica oggi? Laddove con bellezza si intende l’esperienza estetica che non si appoggia acriticamente all’autorevolezza del canone lirico, ma nemmeno cerca soluzioni consolatorie che rendano più digeribili l’orrore e la sofferenza raccontati dal melodramma. Questa è la questione cruciale che il saggio pone e alla quale prova a rispondere percorrendo un doppio binario. Da un lato il ricorso al pensiero della critica femminista francese e della new musicology anglosassone, che hanno considerato i nodi problematici della narrazione operistica in relazione alle sue politiche di genere; dall’altro l’analisi miratamente calibrata in quest’ottica di quattro allestimenti del teatro musicale contemporaneo (Carmer di Emma Dante, Don Giovanni di Robert Carsen, Rigoletto di Damiano Michieletto, Un ballo in maschera di Grahm Vick) che, mettendo l’opera in dialogo interstuale con altre forme artistiche, affrontano la più ardua sfida del presente opersitico: raccontare la violenza e l’orrore che sono il cardine dell’esperienza estetica del melodramma, e dunque provare a farne, ancora e di nuovo, sollecitazione insieme etica ed estetica, esperienza di bellezza.    

How is the beauty of opera told today? Where beauty means the aesthetic experience that does not uncritically rely on the authoritativeness of the opera canon, but neither does it seek consolatory solutions that make the horror and suffering narrated by melodrama more digestible. This is the crucial question that the essay poses and to which it tries to respond by following a double binary. On the one side, there is the recourse to the thought of French feminist criticism and of the Anglo-Saxon new musicology, which have deal with the problematic nodes of opera narration in relation to its gender politics; on the other side, the analysis of four productions of the contemporary musical theater (Carmer by Emma Dante, Don Giovanni by Robert Carsen, Rigoletto by Damiano Michieletto, Un ballo in maschera by Grahm Vick) which, by placing opera in an intertextual dialogue with other artistic forms, face the most difficult challenge of the operistic present: to recount the violence and the horror that are the fulcrum of the aesthetic experience of melodrama, and thus to try to make it, one again, a solicitation that is both ethical and aesthetic, an experience of beauty.

In occasione della prima del suo Otello in scena al San Carlo di Napoli nel dicembre 2021, il regista Mario Martone dichiara:

La domanda del regista napoletano non nasce esclusivamente dal suo confronto personale con il capolavoro verdiano, un vero e proprio ‘corpo a corpo’ da cui è emersa una Desdemona combattente e affatto angelicata, protagonista di un finale profondamente perturbante e innovativo (come racconta su queste stesse pagine Massimo Fusillo). Quella sollevata da Martone è infatti una necessità che anche nel mondo della lirica è diventata ormai ineludibile: quella di confrontarsi con i nodi politici che sostengono la narrazione operistica, e in particolare con le sue politiche di genere.

Che l’opera lirica, e in particolar modo il melodramma ottocentesco, sia una estenuante litania di morti di donne eccezionali è noto almeno a partire da L’opera lirica, o la disfatta delle donne della femminista francese Catherine Clément (1979), che aveva puntato il dito senza remore contro le dinamiche intrecciate di sadismo e misoginia che permettono al melodramma popolare di celebrare personagge meravigliosamente eccentriche solo per poi godere della loro morte, tragica e spesso cruenta:

La chiave, per Clément, è proprio nel libretto, che nel suo ruolo apparentemente ancillare rispetto alla pervasività emotiva della musica riesce a far sedimentare in maniera quasi surrettizia il messaggio ideologico: le donne che trasgrediscono l’ordine patriarcale, che desiderino ad esempio la redenzione pur essendo prostitute (Violetta in La traviata); la libertà di lasciare un uomo che non amano più (Carmen); ribellarsi alla violenza anche sessuale del potere (Tosca); o semplicemente essere amate, «di un bene piccolino», e non solo usate come esotici oggetti sessuali (Madama Butterfly)… Tutte devono morire; di una ‘bella morte’ certo, perché su quel cadavere si stabilizzano le ambivalenze, si instaura il confine tra il sé e l’altra, tra il normativo e l’abietto. È inevitabile che il ‘canone’ di Clément sia strategicamente essenzialista, e volutamente ignori ad esempio l’opera buffa, dove la ribellione delle donne di norma viene premiata (spesso con un marito ricco), o l’opera barocca, dove i molti ruoli en travesti rendono il binarismo di genere più fluido, aperto a incarnazioni stratificate e antinormative, come racconta un’altra femminista francese (autrice con Clément del fondamentale La jeune née), Hélène Cixous nel suo Tancredi continua.[3]

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