I miei rapporti personali con Paolo Benvenuti hanno inizio con una lite furibonda. Avevo visto e rivisto Il bacio di Giuda, film che esercitava su di me uno strano fascino, ma che si presentava come un enigma del quale non riuscivo a trovare la soluzione. Lui a Pisa, io a Roma, ci incontravamo di tanto in tanto in quel periodo, sempre per riprendere il solito, interminabile battibecco. Io pensavo, e mi sbagliavo, che la soluzione dell’enigma avrebbe dovuto fornirmela lui. Ma le nostre discussioni, che culminavano inevitabilmente con l’affermazione cocciuta, da entrambe le parti, di verità apodittiche, reciprocamente inconciliabili, non mi consentivano di pervenire a una conclusione accettabile.
1. Una fede diversa
Secondo Paolo, Gesù, protagonista del suo primo lungometraggio, che, per modestia, cede all’antagonista l’onore del titolo, non è un personaggio storico, ma metastorico. Da sacerdote e gesuita come sono, ritenevo che fosse mio dovere sostenere nelle nostre discussioni esattamente il contrario. Nulla togliendo alla dimensione metastorica del personaggio Gesù, che è assolutamente evidente, il fatto che Cristo debordi, come ogni cristiano sa, dai limiti della storia per farsi contemporaneo (nei secoli e nei millenni) di tutti coloro che in lui credono e a lui si affidano, non esclude che, quando era vivo in quel lembo di terra che si chiama Palestina, dentro la storia ci sia stato, e come! «Crucifixus – sono parole del Credo – sub Pontio Pilato passus et sepultus est». Muro contro muro. Il confronto finiva lì.