Qui di seguito la trascrizione integrale dell'intervista. Si ringrazia Livia Giunti per l'ospitalità e l'assistenza.

Riprese audio e video: Livia Giunti; Montaggio: Salvo Arcidiacono, Gaetano Tribulato, Luca Zarbano; Animazioni: Gaetano Tribulato

D: Il tuo incontro con il cinema si perfeziona attraverso il rapporto con due registi tra loro diversi come Roberto Rossellini e Jean-Marie Straub. Puoi dirci qual è stato il tuo percorso, cosa ti hanno dato l’uno e l’altro e perché hai sentito che erano quelli i modelli da seguire?

R: La mia storia cinematografica non comincia con Rossellini e Straub ma comincia, praticamente, da quando sono nato, perché in casa mia mio padre faceva il documentarista: il puzzo della pellicola io in casa l’ho sempre sentito. Non solo, la cosa interessante è che i fratelli Taviani, che sono di San Miniato e che sono venuti a studiare all’università a Pisa, amando il cinema hanno conosciuto mio padre e insieme a lui hanno realizzato alcuni documentari, per cui quando ero piccolo io ho visto mio padre con la cinepresa, ho visto i Taviani e mio padre che lavoravano ai loro documentari. Ma, forse, proprio perché il cinema era il linguaggio di mio padre, io crescendo non mi sono avvicinato al cinema con interesse, anzi, devo dire che al cinema andavo a vedere i film di cowboy e indiani, ma del Cineclub che mio padre organizzava sempre con i Taviani e dei film cosiddetti ‘intellettuali’ e ‘culturali’ io non ne volevo sapere assolutamente niente. Per me il cinema era uno svago e basta.

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The long relationship between Paolo Benvenuti and Virgilio Fantuzzi is the story of a fascinating confrontation between a filmmaker and a film critic who comes from widely different cultures and hold apparently opposite ideas on religion. Nonetheless, even if from different sides, they have been able to meet on the common ground of narrative ethics and intellectual rigor through which they basically ask the same question to a movie. This paper reconstructs the phases of such a relationship and analyzes Benvenuti’s feature films as the possible point of convergence between these different sensibilities

I miei rapporti personali con Paolo Benvenuti hanno inizio con una lite furibonda. Avevo visto e rivisto Il bacio di Giuda, film che esercitava su di me uno strano fascino, ma che si presentava come un enigma del quale non riuscivo a trovare la soluzione. Lui a Pisa, io a Roma, ci incontravamo di tanto in tanto in quel periodo, sempre per riprendere il solito, interminabile battibecco. Io pensavo, e mi sbagliavo, che la soluzione dell’enigma avrebbe dovuto fornirmela lui. Ma le nostre discussioni, che culminavano inevitabilmente con l’affermazione cocciuta, da entrambe le parti, di verità apodittiche, reciprocamente inconciliabili, non mi consentivano di pervenire a una conclusione accettabile.

1. Una fede diversa

Secondo Paolo, Gesù, protagonista del suo primo lungometraggio, che, per modestia, cede all’antagonista l’onore del titolo, non è un personaggio storico, ma metastorico. Da sacerdote e gesuita come sono, ritenevo che fosse mio dovere sostenere nelle nostre discussioni esattamente il contrario. Nulla togliendo alla dimensione metastorica del personaggio Gesù, che è assolutamente evidente, il fatto che Cristo debordi, come ogni cristiano sa, dai limiti della storia per farsi contemporaneo (nei secoli e nei millenni) di tutti coloro che in lui credono e a lui si affidano, non esclude che, quando era vivo in quel lembo di terra che si chiama Palestina, dentro la storia ci sia stato, e come! «Crucifixus – sono parole del Credo – sub Pontio Pilato passus et sepultus est». Muro contro muro. Il confronto finiva lì.

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Since the very beginning, method is a crucial matter in Paolo Benvenuti’s cinema. It represents both the premise and the goal of all his movies. This method is the outcome of a very peculiar film education, which is quite clearly detectable in every phase of Benvenuti’s career. By focusing on his method, or at least trying to shape up a convincing depiction of it, this paper aims to show the coherence of Benvenuti’s poetics and philosophy of film with respect both to his models and his personal beliefs about cinema. At the same time the paper shows his ability to make this method suitable for the different kinds of inquiry he has been dealing with in more than forty years. Benvenuti’s work is still tightly tied to the same matter: what is the nature of film and how to narrate and show it.

Uno dei maggiori elementi di fascino della storia cinematografica di Paolo Benvenuti sta nel fatto che la si può leggere molto chiaramente in due sensi, ottenendo sempre una precisa restituzione del suo composito e multidisciplinare approccio al film. Si può partire dall’origine, e dunque dalla scelta del cinema, dalla ricerca di un grado zero della scrittura cinematografica. Una ricerca che si coagulava tra la fine degli anni Sessanta e i primi anni Settanta da una parte intorno a figure modello che diventeranno maestri e dall’altra intorno a un bisogno di capire cosa significava il cinema nell’esistenza di un gruppo di giovani pisani in cerca delle alchimie segrete che legano la vita civile a quella artistica e intellettuale.[1]

In altri termini, si può cercare di capire come il cinema arrivi a Benvenuti – che non fa mistero di essersene in sostanza disinteressato fino intorno ai vent’anni – attraverso esperienze di spettatore tra loro diverse, ma assimilate in maniera molto feconda. L’amato/odiato cinema underground e la scoperta di Dziga Vertov rappresentano i modelli decisivi per la messa a fuoco di cosa debba essere e non essere il cinema, ma si ritroveranno poco nella produzione benvenutiana, rimarranno cioè unicamente indicativi di una rottura – quella operata nei confronti della pittura – e di un nuovo e consapevole orientamento. Nello stesso giro di anni, invece, la scoperta di Rossellini, per il tramite soprattutto del più ‘sessantottino’ dei suoi film, Europa 51,[2] e poi quella di Straub, per il tramite del più coinvolgente dei suoi film, Cronaca di Anna Magdalena Bach, rimarranno come traccia indelebile al fondo dell’idea di cinema di Benvenuti, colpiranno così nel profondo da spingere il giovane pisano a seguire sul set prima Rossellini e poi Straub.

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