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Seymour Chwast, Dante’s Divine Comedy. Inferno, Purgatory, Paradise, New York, Bloomsbury, 2010

 

Seymour Chwast, uno dei grafici e illustratori statunitensi più affermati, è il fondatore, insieme a Milton Glaser e Edward Sorel, dello studio grafico Push Pin Studios, in attività dal 1954 e famoso per il cosiddetto ‘Push Pin Style’ con cui ha realizzato numerosi poster e packaging, tra cui il primo modello di confezione dell’Happy Meal di McDonald’s, nel 1979. Come illustratore ha collaborato con numerose testate giornalistiche americane tra cui «Vanity Fair», «The New York Times», «The New Yorker» e «The Wall Street Journal». I suoi poster sono esposti al Moma e allo Smithsonian di New York, alla Library of Congress e in altri musei e università. Chwast ha inoltre collaborato come illustratore a molti progetti di narrativa per l’infanzia.

Dante’s Divine Comedy è il primo graphic novel della sua carriera. Accolto all’uscita da recensioni generalmente positive, l’opera è stata apprezzata in virtù della sua fedeltà al poema di Dante e per l’originalità delle illustrazioni. Tuttavia, sia i commenti nei forum online, sia alcune fra le recensioni più autorevoli ne hanno invece criticato l’esagerata semplicità e l’eccessiva compressione del poema in 127 pagine, che sono apparse poco rispettose nei confronti del testo originale. Opera controversa, Dante’s Divine Comedy mette in scena un’interessante riconfigurazione del viaggio dantesco, senza impoverirlo troppo ma giocando con estrema precisione sui significati allegorici attraverso dense sintesi dei canti. Infatti, il graphic novel ripercorre fedelmente la struttura del poema modificando i ‘significanti’ attraverso il peculiare stile Push, che consiste nell’esagerazione e nello schiacciamento delle forme per enfatizzarne l’effetto umoristico. In questo senso, Dante diventa una sorta di Philip Marlowe à la Raymond Chandler (degno simbolo di una ricerca della verità), con tanto di pipa, cappello e impermeabile, mentre Virgilio viene presentato come un uomo basso con la bombetta (fig. 1). Una volta però che il lettore entra nell’universo testuale raffigurato da Chwast, questi ‘travestimenti’ non impediscono di riconoscere i rimandi alla Divina commedia. Questa scelta attraversa l’intera rivisitazione, proponendo immagini simboliche in chiave satirica, tutt’altro che edulcorate dallo stile cartoonish di Chwast. In tal modo, violenza e brutalità emergono attraverso simboli della cultura contemporanea che risultano molto evocativi rispetto ai canti ai quali si ispirano: tra gli esempi più significativi, risalta la storia di Paolo e Francesca, rappresentati grottescamente nudi e trafitti dalla spada di un Gianciotto Malatesta che ricorda il cliché da noir americano del marito violento, in canottiera e con una lattina di birra in mano, fuso in maniera straniante con il contesto originario simboleggiato dalla spada (fig. 2). Seguendo lo stesso modello di raffigurazione, durante il dialogo di Dante con Ciacco, nel canto VI, lo scontro tra guelfi bianchi e neri viene ricostruito come un regolamento di conti da ‘anni ruggenti’ (fig. 3), mentre nel canto V del Purgatorio l’uccisione di Iacopo del Cassero viene perpetrata con un colpo di pistola durante un amplesso (fig. 4). Anche in questo caso si assiste a un interessante mutamento del significante che non riduce l’efficacia del significato: l’infedeltà del racconto alle circostanze in cui il protagonista è ucciso non altera infatti la sua condizione di uomo freddato per mano di sicari.

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Go Nagai, La divina commedia, 3 voll., d/books, 2007 (ed. or. Dante Shinkyoku, 1994)

 

Il giapponese Go Nagai, pseudonimo di Kiyoshi Nagai, è una delle voci più importanti della storia del fumetto e dell’animazione manga. Sin dai suoi esordi, sul finire degli anni Sessanta, ha proposto storie fortemente innovative, dapprima con la serie intitolata Scuola senza pudore, intrisa di un erotismo destinato a influenzare profondamente gli sviluppi successivi del fumetto giapponese, e poi con le serie Mao Dante e soprattutto Devilman, che introducono il lettore in un universo oscuro, nel quale si svolge una cupa guerra tra gli esseri umani e i demoni, un tempo dominatori della terra e ora desiderosi di riconquistarla. Solo mezzo per contrastare le terribili forze ctonie è tentare di controllarle, per mezzo di una fusione con una di esse, come farà l’eroe eponimo della saga: temi e soprattutto suggestioni visive di questa serie provengono, come lo stesso Nagai ammetterà più tardi, dalla Divina commedia illustrata da Gustave Doré. Un debito, quello con Dante (e con Doré), che Nagai, dopo aver dato vita a importanti saghe di robot guidati da uomini, molto celebri anche in Italia negli anni Ottanta (come Goldrake, Mazinga e altri), vorrà pagare con la proposta di una versione a fumetti dell’intero poema dantesco, uscita in tre volumi in Giappone nel 1994, e poi tradotta in italiano nel 2007. Nel complesso la scelta di Nagai privilegia l’Inferno, al quale sono dedicati i primi due volumi (rispettivamente di 251 e 249 tavole), mentre alle due restanti cantiche si riserva il terzo e ultimo libro (di 260 tavole, in realtà quasi interamente occupato dal Purgatorio), probabilmente perché l’Inferno è più affine al mondo narrativo del giapponese, così profondamente pervaso da una descrizione del male, spesso pericolosamente mescidato con il bene. Vengono del resto privilegiati, anche nell’Inferno, gli episodi visivamente più icastici, enfatizzati e drammatizzati in una chiave di lettura che esalta lo sguardo del Dante personaggio, oppure che valorizzano le vicende narrativamente più cruente (vere e proprie digressioni si aprono, ad esempio, per Paolo e Francesca o per la vicenda del conte Ugolino [fig. 1], mentre vengono trattati in modo più sintetico altri episodi meno immediati dal punto di vista visivo, come, ad esempio, i papi simoniaci del XIX canto). Diverse sono poi le strategie di avvicinamento messe in atto per aiutare il lettore, specie non italiano, a entrare nel mondo dantesco: molte volte i termini vengono chiosati, o con intere tavole, ad esempio per illustrare il significato del Purgatorio in generale, o con spazi testuali interni a una tavola, soprattutto per chiarire riferimenti di carattere mitologico o storico (fig. 2), talvolta anche con il rischio di incorrere in qualche stridente anacronismo, come accade, ad esempio, nell’esordio, quando troviamo un Dante che si smarrisce in una selva appena fuori Firenze, città che resta sullo sfondo della scena e della quale vediamo la cappella quattrocentesca di Brunelleschi (fig. 3).

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Tre storie a fumetti con protagonisti altrettanti personaggi seriali prendono diretta ispirazione dall’Inferno dantesco. Si tratta di Martin Mystère, n. 153, Diavoli dell’Inferno! (dicembre 1994; soggetto e sceneggiatura di Stefano Santarelli, disegni di Rodolfo Torti; Sergio Bonelli Editore), di Lazarus Ledd, n. 89, Discesa all’Inferno (novembre 2000; testi di Ade Capone, disegni di Fabio Bartolini e Alessandro Bocci; Edizioni Star Comics), e di Nathan Never, n. 10, Inferno (marzo 1992; soggetto e sceneggiatura di Bepi Vigna, disegni di Dante Bastianoni; Sergio Bonelli Editore).

Martin Mystère, creato da Alfredo Castelli, è il protagonista della serie omonima edita da Sergio Bonelli Editore a partire dall’aprile 1982. Soprannominato il «detective dell’impossibile», indaga su fatti inspiegabili e misteriosi: dal mito di Atlantide ai viaggi spazio-temporali, dalle leggende su sette segrete e ordini come i Templari ai contatti con razze aliene. Vive a New York ma le sue avventure lo portano in giro per il mondo, spesso anche in Italia. Suo fedelissimo assistente e guardia del corpo è Java, un uomo di Neanderthal sopravvissuto all’estinzione, mentre tra gli avversari primeggia Sergej Orloff, già suo amico e collega, poi conquistato dal Male. Il disegnatore che ne ha creato le fattezze è Giancarlo Alessandrini, autore anche di tutte le copertine della collana.

Lazarus Ledd, creato da Ade Capone, è l’eroe della serie pubblicata dalla Star Comics a partire da ottobre 1992 e conclusasi nel 2009 dopo 151 numeri e una trentina di albi speciali. Ex agente di un reparto militare, Lazarus, con nuova identità e professione, ufficialmente fa il giornalista: tuttavia, la collaborazione con una misteriosa organizzazione che lotta contro il crimine lo trascina in pericolose situazioni di stampo avventuroso-fantascientifico.

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Michael Meier, En Enfer avec Dante, Librement inspiré de l’œuvre de Dante Alighieri, Traduit de l’allemand par Emmanuel Gros, [Postface par Cordula Patzig], Bruxelles, Casterman, 2015

 

Il disegnatore tedesco Michael Meier pubblica nel 2012 il graphic novel Das Inferno (Kassel, Rotopolpress), che nel 2015 è tradotto in francese da Emmanuel Gros e pubblicato da Casterman: si tratta di una riproposizione della prima cantica dantesca in chiave aggiornata e in forma compressa, contenuta in 132 pagine totali organizzate in tre strisce per pagina. L’opera, molto curata dal punto di vista tipografico, appare interessante: la scelta di ‘attualizzare’ l’inferno riempiendolo di peccati, manie e dannati contemporanei è pienamente coerente con lo stile grafico adottato, essenziale e molto caratterizzato. Dante, per una scelta eterodossa veramente azzeccata, abbandona ogni legame con l’iconografia tradizionale per diventare un quarantenne barbuto che attraversa l’oltremondo in canottiera. Il libro, di formato orizzontale (22 x 26 cm), adotta un grafismo minimalista molto stilizzato, associato a una tavolozza di colori piuttosto limitata: tutte le tavole sono giocate sul contrasto fra il nero e il rosso, con rari tocchi di turchese. Completano la gamma cromatica la tinta grigiastra dell’incarnato dei personaggi umani e il giallo zafferano dei capelli del protagonista. A colpo d’occhio l’effetto della pagina è accattivante; nel complesso, tuttavia, la ripetitività dei colori e l’uniformità del tratto rendono la resa grafica piuttosto piatta.

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Marcello [Toninelli], Dante. La Divina Commedia a fumetti, Brescia, Shockdom, 2015, colori di Jacopo Toninelli

 

Quando, il 10 novembre 1969, uscì in edicola l’undicesimo numero di «Off-Side», l’intera metà destra della copertina era occupata dalla sagoma dubbiosa e nasona di un «imprevedibile Divino Poeta», il cui baloon recitava: «Fatti non foste a legger comics bruti, ma per seguir storielle di valenza!». Fu la prima apparizione assoluta del Dante di Marcello Toninelli. «Off-Side» era nata pochi mesi prima (maggio 1969), ed ebbe una vita di soli due anni: ma tra le sue pagine formato tabloid furono pubblicate, tra le altre, l’Astronave pirata di Guido Crepax e le strisce degli Sturmtruppen di Bonvi. Il primo Dante di ‘Marcello’ (come sempre si è fatto e si fa chiamare l’autore, all’epoca diciottenne) presentava un tratto rigido e abbozzato, ma il suo formato era già quello definitivo: strip di due-tre vignette chiusa nel finale da una battuta fulminante (fig. 1). I paesaggi erano allora pressoché inesistenti, la scelta del bianco e nero faceva eccezione solo per la tunica del protagonista, che si uniformava alla bicromia (sempre diversa) che caratterizzava ogni fascicolo della rivista. Dopo la cessazione di «Off-Side», Toninelli ci riprovò: nel 1972 alcune strisce della sua Commedia apparvero su «Undercomics», rivista che tuttavia non ebbe miglior destino: il numero su cui uscì il Dante rimase l’unico mai pubblicato.

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Sandro Dossi, Inferno 2000, Editoriale Metro, Milano 1984

 

Geppo, il diavolo più simpatico del fumetto umoristico italiano, nasce in una storia di Giulio Chierchini apparsa sul primo numero di «Trottolino» (dicembre 1954), pubblicazione che, di fatto, segna la nascita di una delle più gloriose case editrici italiane del settore, le Edizioni Bianconi. Ripreso l’anno successivo da Giovan Battista Carpi su «Volpetto», il personaggio passa in seguito nelle mani di Pier Luigi Sangalli, e nel 1961 ottiene una propria collana, che ne prende il nome.

Sandro Dossi, che disegna e scrive le storie (Alberico Motta compone i testi fino al 1975), se ne occupa dal 1968, portandolo sino agli anni Novanta, quando Geppo cessa le pubblicazioni dopo che la casa editrice Bianconi si è già trasformata nell’Editoriale Metro. Dossi (Monza, 1944) inizia la carriera professionale al principio degli anni Sessanta inchiostrando le tavole di Sangalli per diverse testate della Bianconi, prima di cominciare a occuparsi di Gatto Felix, di Geppo, Braccio di Ferro, Pinocchio, Chico e Tom & Jerry. Dal 1980 lavora per lo Staff di If realizzando circa duecento storie a fumetti per la Disney in un arco di tempo di circa venticinque anni.

Legatissimo allo sfortunato diavolo buono, è lui a proporre all’editore Bianconi di renderlo protagonista di una nuova Commedia in compagnia di Dante, in una storia dal titolo Inferno 2000 che appare sul numero 116 della Collana Geppo, targata Editoriale Metro, nel luglio 1984 (fig. 1). Introdotta da una bella tavola che vede il panciuto diavolo reggere al ‘sommo poeta’ libro e calamaio affinché possa scrivere i propri versi (fig. 2), la storia Dante Alighieri INFERNO 2000, questo il suo titolo completo, comincia con un’amara constatazione, riferita a Satana: la maggior parte della gente ignora l’esistenza dell’inferno; e agli altri la cosa sembra non importare per nulla, bombardati come sono da mass media che non lo prendono nemmeno in considerazione. Urge pertanto trovare un rimedio che lo pubblicizzi, come aveva fatto a suo tempo la Divina commedia dantesca, che si era rivelata «un validissimo mezzo pubblicitario per noi». Ovviamente, è necessario rinverdire il celebre viaggio, magari corredando i testi con fotografie a colori, alla luce della predominanza dell’immagine nella comunicazione moderna, e Satana ha un’idea: richiamare in servizio proprio Dante Alighieri, affinché componga una nuova opera, l’Inferno 2000, per l’appunto.

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Benito Jacovitti, La rovina in commedia. Grottesco satirico e dantesco, «Belzebù», 1947

 

Il talento parodistico di Jacovitti abbraccia un orizzonte di genere ampio, ma sempre caratterizzato dal suo espressionismo pungente e tale tuttavia da inoculare il principio di anamorfosi all’interno della comicità pura. Le ricorrenze che determinano il suo stile estroverso, materiale e disseminato di allusioni sessuali (che lo avvicinano a un’accezione tutta personale del surrealismo) rendono la mano dell’artista stereotipa e nel contempo unica. Quantunque presente in tutti i prodotti editoriali pensabili e realizzabili, nonché in varie tipologie di non book materials, il segno di Jacovitti non si banalizza e anche quando diviene ‘spinto’ non risulta mai volgare. Il grottesco, come espressione legata alla caricatura che diviene maschera collettiva e manifestazione di massa, alla maniera di un’apocalisse quotidiana degna di un novello Bosch dello Strapaese, sembra la dimensione più propizia all’autore. Tuttavia la lettura di fenomeni collettivi e di situazioni politiche del suo tempo non sfuggono, soprattutto nella sua prima fase, alla specola deformante ma non priva di un preciso orientamento ideologico esplicito e sempre forzato in senso antagonistico: qualunquista e anticomunista; anti-inglese durante la guerra, quindi antiamericanista. E quando fossero necessari i puntini sulle ‘i’, persino antifascista, nel mettere in ridicolo il sostrato di mortificante conformismo del Ventennio.

Sussiste pertanto una continuità tra Battista, ingenuo fascista (1945-1946) e l’occhialuto, impiegatizio protagonista della descensus ad inferos imposta al ceto medio dalla dura transizione verso una democrazia che sembra nascere già malata. In tal senso Jacovitti è vicino al Guareschi del «Marc’Aurelio», ma il suo mondo non è ‘piccolo’ e indirizzato al recupero del buon senso popolare, bensì pullulante, caotico, radicalmente disperato. Quando pubblica sul settimanale satirico «Belzebù» La rovina in commedia. Grottesco satirico e dantesco di Jacovitti (fig. 1) nell’aprile del 1947 (l’intestazione coronata da due putti-partigiani con il mitra spianato), Benito Jacovitti, termolese di nascita, ma fiorentino d’adozione, è il ventiquattrenne, evidentemente nato deluso, però già valente collaboratore del «Vittorioso». Il progetto di parodiare la Commedia calandola nell’inferno del nostrano Dopoguerra rimarrà incompiuto (fig. 2), ma lascerà un segno caustico, aprendo l’esperienza longeva di Jacovitti nella parodia di opere letterarie, tutte diversamente ma indubbiamente collocate nel canone: da Dante a Cervantes, da Collodi a Salgari, al Kama Sutra. Come riassume felicemente Francesco G. Manetti:

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Guido Martina, Giovan Battista Carpi, La saga di Messer Papero e di Ser Paperone, in Topolino, nn. 1425-1431, 1983

 

Fatto non consueto per un kolossal disneyano, la saga di Messer Papero e di Ser Paperone ha un’origine d’occasione (fig. 1). Fu infatti concepita al fine di accompagnare sul settimanale Topolino un’importante mostra disneyana che in concomitanza si sarebbe dovuta tenere a Firenze. Discende da questa circostanza il vincolo dell’ambientazione toscana che costituisce il principale elemento di coesione dei diversi episodi. In visita alla città del giglio e ispirato dai luoghi emblematici della cultura e dell’arte italiana, Paperone inventa la storia di due suoi presunti antenati, erranti per le più importanti città toscane del Trecento (Messer Papero De’ Paperi) e del Cinquecento (Ser Paperone). Entro tale cornice si sviluppa così una sorta di tour storico-culturale della regione: il racconto ha avvio a Firenze, da dove Messer Papero e suo nipote Paperino vengono esiliati per aver aiutato Dante Alighieri a sfuggire ai suoi avversari politici, e tocca poi le città di Pisa, Arezzo, Livorno, Lucca e Siena. L’intento educativo e celebrativo è evidente nell’insistita farcitura di riferimenti artistici e letterari che corrobora gli episodi in costume e occupa gran parte dei dialoghi nella cornice. A ogni tappa, la riproposizione dello schema narrativo tipico delle storie dei paperi – il viaggio, l’intraprendenza di Paperone nel difendere le proprie ricchezze e nel cercare ogni occasione per guadagnare denaro, la comica inconcludenza di Paperino costretto a faticare per conto dello zio, la scena finale di inseguimento o di fuga – è l’occasione, a tratti un po’ forzata, per passare in rassegna personaggi, avvenimenti, luoghi e opere rinomati.

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Guido Martina, Giovan Battista Carpi, Paolino Pocatesta e la Bella Franceschina, in Topolino, n. 1261, 1980

 

Per il rilievo che la vicenda di Paolo Francesca ha assunto nella lettura romantica e contemporanea del poema, l’episodio narrato nel canto V dell’Inferno è stato oggetto nel corso degli ultimi due secoli di una vastissima serie di adattamenti nelle più diverse forme e linguaggi, in una misura e con picchi qualitativi di gran lunga superiori rispetto a qualsiasi altro, pur celeberrimo, personaggio o vicenda della Commedia. Paolino Pocatesta e la Bella Franceschina è il contributo disneyano a questa ricca messe di riprese, riscritture, ‘rimediazioni’; l’anello di intersezione tra questa tradizione e quella non meno florida delle Grandi Parodie a fumetti dei classici della letteratura prodotte dalla Disney italiana. Gli autori sono di assoluto prestigio. Soggetto e testi sono di Guido Martina, lo sceneggiatore più prolifico della Disney italiana, ideatore delle Grandi parodie, non nuovo a misurarsi con la Commedia fin dall’Inferno di Topolino (1949-1950), opera che ha dato avvio alla lunga serie delle Grandi Parodie disneyane. Di non minore statura Giovan Battista Carpi, disegnatore e autore Disney fin dagli anni Cinquanta, considerato dalla critica il più importante maestro della scuola italiana – insieme a Romano Scarpa. A fronte di questi illustri natali, tuttavia, Paolino Pocatesta e la Bella Franceschina non può essere annoverata tra le prove più notevoli di re-interpetazione dei classici della letteratura per le quali la Disney Italia è celebre. L’impasto di elementi letterari e trouvailles storico-filologiche, tipico di Martina, non raggiunge lo spessore di un’ispirata rivisitazione; si risolve invece in sketch di facile comicità, giustapposti in un intreccio senza troppe pretese e in qualche punto, specie nel finale, un po’ rabberciato.

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