Nel 2019 è stato pubblicato per Franco Cesati Editore, all’interno di una collana dedicata alla teoria e alla geografia della letteratura e diretta da Federico Bertoni e Giulio Iacoli, il volume Spazio mediale e morfologia della narrazione, a cura di Sara Martin e Isotta Piazza. Il testo ospita gli interventi dell’omonimo convegno tenutosi presso l’Università di Parma nel 2018 nell’ambito del progetto The medial space.

Il punto di partenza (e di destinazione come vedremo) per la storia della nozione di ‘spazio mediale’ ha origine nel campo degli studi letterari. Si ritrova in particolare in una ricerca sulla letteratura di fine Ottocento di Isotta Piazza, Lo spazio mediale. Generi letterari tra creatività letteraria e progettazione editoriale (Cesati, 2018). In questo nuovo volume, però, un gruppo di studiosi e di studiose prova a estendere tale categoria interpretativa a tutti quei media o «format editoriali» che contribuiscono alla «morfologizzazione della narrazione» (p. 9), come il cinema, la televisione e i media digitali.

Si tratta di una formula che va oltre i confini dell’opera. Il concetto di ‘spazio mediale’, infatti, riguarda l’influenza che svolgono sul testo e sul contenuto aspetti materiali e immateriali della produzione come i supporti, i media di riferimento, i generi o le relazioni fra autore, sistema produttivo e pubblico.

È l’idea complessiva che emerge dal confronto delle trattazioni accolte nel libro. Anche se suddivisi in tre sezioni ‒ dedicate rispettivamente a spazio mediale e letteratura, audiovisivo e transmedialità ‒ i saggi contribuiscono singolarmente alla definizione del concetto proponendo l’analisi di un caso di studio. Nei primi due interventi della prima parte Carlo Zanantoni e Isotta Piazza affrontano il rapporto fra editoria e forme brevi, sull’esempio dell’attività di Pirandello per il Corriere della Sera, e i legami tra letteratura e web. Nella seconda sezione Sara Casoli spiega come i personaggi travalichino diversi spazi mediali attraversando più media, dai racconti agli immaginari della serialità contemporanea, seguita da Sara Martin che si concentra sulla rimediazione filmica e seriale del romanzo The Handmaid’s Tale di Margaret Hatwood. Nell’ultima parte, invece, Giulio Iacoli propone un approfondimento sulla transmedialità attraverso l’analisi dell’adattamento di Il giocatore invisibile, film di Stefano Alpini tratto dall’omonimo libro di Giuseppe Pontiggia. Qui si inseriscono anche gli studi di Giulia Benvenuti e Paolo Giovannetti sulle transizioni tra letteratura e cinema di alcune serie italiane come Gomorra, Romanzo Criminale e Suburra. Il segmento conclusivo del volume ospita infine una sintesi degli spunti emersi durante la tavola rotonda affidata a Gianni Turchetta e Mara Santi e al dialogo tra Giulio Iacoli e il regista Stefano Alpini. Turchetta, in particolare, sottolinea che la prospettiva pragmatica dello spazio mediale dei testi letterari o audiovisivi ‒ definita nel corso delle analisi precedenti come l’insieme delle influenze reciproche fra le scelte di produzione, le forme e i temi esposti ‒ emerge con più evidenza in età moderna grazie allo sviluppo dell’editoria ma può essere estesa nel tempo a ogni atto creativo, ciascuno con le proprie peculiarità. Le possibilità di adattamento, traduzione o attraversamento dei contenuti fra spazi mediali diversi, invece, secondo Mara Santi può consentire la creazione di nuove macrocategorie come quella di ‘politesti’, con cui si supera il limite stesso del testo unico. Ma da questo confronto emerge anche, come notano nell’introduzione le curatrici, un’attenzione complessiva a prodotti intermediali situati al confine fra diversi media.

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Nel mondo dei media always on, che quotidianamente ci investono con una Ê»granularità di stimoliʼ da gestire con sempre più abile multitasking, il teatro, tra le più antiche forme di comunicazione artistica, ridefinisce il proprio statuto e la propria funzione mediali tramite l’appropriazione e l’elaborazione dei linguaggi attivi nel mediascape contemporaneo.

La questione dello sviluppo dell’arte teatrale in parallelo all’evoluzione della comunicazione e delle sue tecnologie, già asse teorico stratificato di riflessioni e traiettorie di ricerca, si arricchisce di un nuovo, significativo, momento di analisi e divulgazione con il volume Teatro e immaginari digitali. Saggi di mediologia dello spettacolo multimediale a cura di Alfonso Amendola e Vincenzo Del Gaudio (Gechi Edizioni, 2018).

 

 

Pubblicazione collettanea dalla spinta vocazione prismatica, il testo concentra l’attenzione di diversi studiosi nei confronti del «plesso semantico che tiene insieme il teatro con i nuovi media digitali» (Amendola, p. 18), nel segno di una prospettiva di ricerca duplice, media-archeologica e sociologica, ben argomentata nell’introduzione dai curatori.

Il primo approccio, seguendo l’intuizione dello studioso Jussi Pa­rikka, si fonda sull’ «investigate the new media cultures through insights from past new media» (Parikka, 2002); il che significa, nell’indagine sul medium-teatro, riconoscere e valorizzare gli spettacoli pionieristici nell’uso delle tecnologie analogiche, che dagli anni Ottanta del secolo scorso sono riusciti a rideterminare i rapporti di forza tra teatro e media.

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Da un dialogo a più voci sugli intrecci concettuali e interdisciplinari intorno a performance, arti performative, performatività e performativo prende origine la raccolta di saggi Reti performative. Letteratura, arte, teatro, nuovi media, riflessione edita a cura di C. Maria Laudando (Tangram Edizioni Scientifiche, 2015). Il merito del volume, da un lato, riguarda l’influenza della svolta performativa novecentesca sulla relazione tra letterarietà, teatralità e visualità e i suoi effetti nel panorama (post)mediale; dall’altro, tenta d’illuminare i confini, le soglie, i margini e le tracce ‘in-visibili’ delle pratiche discorsive, dei processi di ricezione e ‘rimedi-Azione’.

La nota introduttiva della curatrice anticipa gli echi tra i tredici interventi che articolano il confronto: l’assunzione di una prospettiva inter/antidisciplinare e l’apertura a uno spazio liminale tra «teoria e prassi, forma e materia, progettualità e azioni» (p.17). Il volume si divide in tre ‘inter-sezioni’. La prima dipana i fili delle questioni teoriche che ruotano intorno ai concetti legati al termine ‘performance’, ricostruisce uno schema storico-culturale e delinea un approccio metodologico. La sezione centrale, intitolata Il gioco delle parti, affronta i cambiamenti nelle relazioni e nei ruoli ai confini tra diverse pratiche artistiche, (s)oggetti reali e virtuali nel corso del Novecento e nel panorama contemporaneo. Il legame generale tra teoria e prassi emerge chiaramente nell’ultima parte dedicata agli Intrecci e alle dissolvenze identitarie delle pratiche discorsive e dei dispositivi come performance culturali. Il ruolo delle ‘parole-immagini-azioni’ nelle pratiche quotidiane e nelle ricerche artistiche, anticipato già nell’introduzione, ritorna specularmente nel dialogo finale con gli artisti Bianco-Valente. Esse danno vita a un complesso «ecosistema mediatico» (Esposito, p.88), un insieme di processi e interazioni, capace di ‘rendere visibile’ i fili di una (nuova) geografia di memorie, immaginari ed esperienze di sé e dell’Altro.

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