Identità e rappresentazione sono temi dominanti nella produzione delle pioniere della videoarte negli anni Settanta e primi anni Ottanta.
Il video si configura come un mezzo leggero, agile sia da un punto di vista concettuale, – perché libero dal pesante retaggio patriarcale delle tecniche tradizionali – sia da un punto di vista tecnico – perché non richiede una crew e i lunghi tempi dello sviluppo come il film e con la commercializzazione del Sony Portapack diviene per di più portatile.
Offre dunque l’opportunità di sperimentare corpo e immagine in modo intimo e diretto e innovare il genere dell’autoritratto e del ritratto.
La metafora del video/specchio, presente già in autori quali ad esempio Renato Barilli (1970), viene esplorata in profondità nel noto contributo The Aesthetics of Narcissism di Rosalind Krauss (1976, p. 52):
Benché la teoria della critica americana non sia scevra da connotazioni negative di genere legate alla teoria del narcisismo freudiano – questa metafora non è priva di una certa suggestione: per molte pioniere, il video diventa specchio per ri-flettere, esprimere e mettere in discussione paradigmi obsoleti di rappresentazione e reinventare un genere artistico, in dialogo con pratiche femministe contemporanee quali la performance art e l’installazione.
L’uso dello specchio, con il suo simbolismo e la sua profonda tradizione nel ritratto, ricorre in diverse opere che esplorano dichiaratamente o meno identità e rappresentazione.