I found pain in the light and beauty in darkness.
Vi è un’immagine chiave nel densissimo e poetico Blind di Duda Paiva: quella che ci mostra una ‘figura’ di guaritrice ruotare su se stessa in una danza circolare, un vortice estatico che sembra far turbinare dal palcoscenico alla sala la ridda di motivi che l’artista brasiliano tesse e dipana lungo tutto lo spettacolo. La sequenza sembra inghiottire i nodi intrecciati fino a quel momento per scioglierli, lasciandoli sbozzolare fuori come farfalle dalle larve.
Corde, nodi, tessitura, bozzoli che dischiudono il creaturale: non sono solo immagini metaforiche dei procedimenti applicati, bensì anche gli oggetti scenici che incarnano la drammaturgia. Una drammaturgia dalle maglie perfettamente disegnate e insieme ‘larghe’, che tesse motivi lucidamente scelti ma lascia aperte possibilità molteplici di stratificazioni. Proprio come le corde presenti in scena, che si intricano e si dipanano grazie alle mani sapienti dell’artista, danzatore di formazione che trova nell’arte delle figure il terreno più fertile per la ricerca sul corpo nelle sue relazioni con la materia e con gli oggetti.
La corrispondenza tra immaginari evocati e materia scenica è impressionante. Un rincorrersi di immagini e di senso, mai esibito né compiaciuto, bensì affidato alla capacità associativa dello spettatore, provocata nelle sue potenzialità visionarie. Come spesso accade nel teatro di figura, la rappresentazione non si dà mai in quanto univoca, le prospettive si sdoppiano e si sovrappongono.