Donna di Porto Pim è il racconto che dà il titolo a un testo di Tabucchi dalla struttura singolare: un‘arabesco’, dove il cuore dell'opera (il testo omonimo), decentrato rispetto alla composizione d'insieme, pulsa in virtù dell'afflusso di molteplici frammenti che ne illuminano la sostanza.

Una luce ‘d'ombra’, nel caso della trasposizione scenica di Fabrizio Montecchi, al suo debutto il 4 ottobre al Teatro Gioia di Piacenza, il nuovo spazio gestito da Teatro Gioco Vita. L'ombra – territorio privilegiato della pluridecennale attività della compagnia – si rivela il mezzo più congruo a tradurre la dimensione pulsionale e notturna di questo canto d'amore, di balene e di morte.

Il regista fa tesoro della composizione per frammenti, orchestrandoli entro uno spettacolo estremamente coeso, alimentato da motivi diversi, intimamente connessi al racconto dell'io narrante, Tiziano Ferrari: unica presenza attorica che dà voce (e corpo) all'autore, ai personaggi, ed è allo stesso tempo manipolatore.

La ‘storia’ portante si costruisce per immagini della memoria, dove i motivi si sfiorano e a volte si sovrappongono per associazioni mentali, suggestioni di atmosfere. Le pratiche dell'ombra consentono di tradurre materialmente tali sovrapposizioni nella dimensione visiva. Una sorta di arcipelago, come le Azzorre in cui è ambientato il testo, dove la voce, il suono, i motivi musicali, le immagini, gli oggetti, realizzano la loro qualità di presenze sceniche e di luoghi della memoria affettiva, incontrando la propria corrispondenza in una presenza complice che li trasfigura; in nessun caso una traduzione letterale o prevedibile, ma la rivelazione di un grado di esistenza o di significazione più profondo.

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