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  • Un istinto da rabdomante. Elio Vittorini e le arti visive →

 

La lunga frequentazione ‘fattiva’ delle arti figurative che contraddistingue l’attività editoriale di Elio Vittorini concorre ad arricchire il prospetto degli esempi di apertura dello scrittore nei confronti dell’universo visuale. Durante la collaborazione con Bompiani, alle soglie degli anni Quaranta, per la collana Pantheon da lui ideata, l’autore si occupa della ricerca negli archivi e dell’impaginazione delle illustrazioni. «Dei compiti redazionali per “Pantheon”», conferma Raffaella Rodondi, «quello attinente al reperimento e alla scelta dell’iconografia è forse il più gradito a Vittorini che lo assolve con inventiva e passione, provvedendo in vario modo alla ricerca delle fonti» (LAS II, p. 123). Lo stesso accadrà, tra il 1949 e il 1952, per la collezione einaudiana dei Millenni, per la quale Vittorini, in contatto con l’Archivio Alinari, cura l’illustrazione di tre classici, Il Decameron, l’Orlando furioso e le Commedie di Goldoni.

Il corredo illustrativo della collana Pantheon è costituito da riproduzioni di opere d’arte, tranne che nel caso di Americana. L’antologia che raccoglie testi di narratori statunitensi dalle origini fino all’età contemporanea è metafora di una letteratura sulla quale non gravano il peso e i condizionamenti della tradizione europea ed è illustrata prevalentemente da fotografie e da scatti rappresentativi del realismo americano degli anni Trenta. È noto come al momento delle sue prime apparizioni l’opera vada incontro a un difficile percorso editoriale che determina l’eliminazione delle note introduttive di Vittorini e coinvolge anche la colonna iconografica. Pubblicata per la prima volta nel 1941, in un’edizione che non verrà diffusa, Americana subisce la manovra ideologicamente ‘correttoria’ garantita dalla prefazione di Emilio Cecchi, confluita nella versione del marzo 1942, che riconduce (e riduce) lo slancio metaforico dei corsivi vittoriniani ai «segni d’una moda» (Cecchi 2015, p. 1457), salvo vedersi nuovamente negata la ratifica del nulla osta fino a quando il veto ministeriale non culmina nella decisione di sostituire i corsivi del curatore con una selezione di passi critici e, dunque, nella stampa di una ulteriore edizione, effettivamente distribuita, dell’ottobre 1942.

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Abstract: ITA | ENG

Nell’immediato dopoguerra, nel clima di ritrovata libertà che succede al crollo del regime, si assiste a una straordinaria fioritura di iniziative editoriali. La stampa reagisce alle coercizioni a cui è stata precedentemente sottoposta e manifesta in un’esplosione di testate giornalistiche la volontà di comprendere uno scenario molto più complesso di quanto l’informazione ufficiale non abbia lasciato intendere negli anni precedenti. In questo contesto, la parabola breve ma ardente del «Politecnico» trova una peculiare possibilità di espressione. La rivista, con i suoi trentanove fascicoli, scardina i baluardi più stantii della comunicazione giornalistica e con atteggiamento estremamente ricettivo ritrae la realtà composita, caotica, contraddittoria di quello scorcio di secolo avanzando una proposta di rinnovamento basata su un’originale articolazione dei contenuti, delle immagini e dell’assetto grafico. Il contributo intende soffermarsi su quest’ultimo aspetto e sull’importanza del rapporto di collaborazione tra il direttore del periodico, Elio Vittorini, e il grafico Albe Steiner nell’elaborazione dello spregiudicato layout del «Politecnico».  

In the immediate post-war era, because of the regained freedom subsequent the collapse of the regime, there is an extraordinary flowering of editorial initiatives. The press reacts to coercions to which it was previously subjected and it shows the willingness to understand a complicated scenario. In this context, «Il Politecnico» find a peculiar possibility of expression. The thirty nine issues of the magazine deconstruct the most stale bulwarks of the journalistic communication and they portray, with an extremely receptive attitude, the chaotic, contradictory reality of that time making a proposal of renewal based on an original modulation of contents, images and graphic set-up. The main focuses of the article are the latter aspect and the importance of the relationship between the editor-in-chief of the periodical, Elio Vittorini, and the graphic designer Albe Steiner in drawing up the innovative layout of «Politecnico».

 

 

1. Le mani di Vittorini

Il 29 settembre 1945 viene pubblicato il primo numero del settimanale «Il Politecnico», edito da Einaudi e diretto da Elio Vittorini. Con una redazione formata da Franco Calamandrei, Franco Fortini, Vito Pandolfi, Stefano Terra e Albe Steiner come responsabile della grafica,[1] all’indomani della Liberazione la rivista lancia una proposta di rinnovamento che si articola lungo un ventaglio di temi estremamente eterogeneo. Aderendo ad una concezione enciclopedica di cultura, il periodico, con ardore di ‘manifesto squillante’ affisso ai muri,[2] insieme ai discorsi sulle correnti filosofiche e scientifiche, affronta i problemi sociali, economici e politici, orienta il gusto letterario, sia attraverso antologie ed estratti di autori affermati e di scrittori esordienti che per mezzo di scritti critici o di taglio informativo, si apre alla multimedialità inglobando discussioni e agili approfondimenti sulle arti figurative, sul teatro, sul cinema, sull’architettura. Questioni riguardanti la condizione delle donne, la riforma scolastica, la religione cattolica vengono così affiancate alle inchieste sulle grandi industrie italiane,[3] alle riflessioni sull’idealismo e il marxismo, ai cospicui suggerimenti di lettura, ai numerosi focus sulle arti visive, nonché ad un ampio e variegato corredo iconografico. La natura caleidoscopica dei testi si riflette sulle immagini presenti nel periodico, accogliendo fotografie, riproduzioni di quadri, disegni, incisioni, frame cinematografici, fumetti. Scardinando, inoltre, l’appiattimento nazionalistico caldeggiato dal regime, gli ambiti tematici restringono e dilatano costantemente la prospettiva d’indagine, spaziando da un’ottica regionale e attenta allo stato delle realtà particolari italiane a una internazionale; la Sicilia e la Puglia, dunque, come la Francia, l’Inghilterra, la Spagna, culla dell’antifascismo europeo e punto di partenza ideale per «Il Politecnico», ma anche gli Stati Uniti, l’U.R.S.S., la Cina.

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Nel dicembre del 1953 esce in Italia la settima edizione di Conversazione in Sicilia pubblicata da Elio Vittorini per Bompiani: frutto di un vero e proprio viaggio di reportage nella Sicilia dei primi anni Cinquanta, essa presenta un corredo fotografico di 188 scatti, la maggior parte dei quali a firma del fotografo marchigiano Luigi Crocenzi. Nel processo di riscoperta che ha interessato il fototesto vittoriniano negli ultimi anni, un aspetto su cui non ci si è ancora soffermati a sufficienza riguarda il ‘prequel’, la preistoria testuale da cui Conversazione illustrata scaturisce. Quest’articolo si propone di ricostruire brevemente quali testi possano aver influenzato Vittorini durante la composizione di Conversazione illustrata e come tra questi testi possano aver giocato un ruolo fondamentale quelli appartenenti al genere fototestuale americano del documentary book.

In December 1953, it has been released in Italy the seventh edition of In Sicily by Elio Vittorini, published by Valentino Bompiani: as a result of a real travel reportage in Sicily in the early Fifties, it shows a photographic complement made up of 188 shots, took for the most part by the photographer Luigi Crocenzi. In the process of revaluation that recently has involved the photo-text by Elio Vittorini, the ‘prequel’, the prehistory in which the text takes its origin, is an issue on which critics maybe has not yet focused enough. This article aims to reconstruct briefly which texts may have influenced Vittorini during the composition of the seventh edition of In Siciliy and how, between these texts, those belonging to the photo-textual genre of the American Documentary book may have played a key role.

 

Nel dicembre del 1953 esce in Italia la settima edizione di Conversazione in Sicilia pubblicata da Elio Vittorini per Bompiani: frutto di un vero e proprio viaggio di reportage nella Sicilia dei primi anni Cinquanta, essa presenta un corredo fotografico di 188 scatti, la maggior parte dei quali a firma del fotografo marchigiano Luigi Crocenzi.

A quest’edizione ormai celebre, in particolar modo negli ultimi anni, è stata dedicata particolare attenzione da parte della critica: attenzione che nel 2007 è culminata nella ripubblicazione dell’edizione anastatica, uscita presso Rizzoli per la cura di Maria Rizzarelli. La recente fortuna critica da una parte si può spiegare col fatto che Conversazione illustrata[1] rappresenta il primo vero esempio di photo-text che coinvolge un testo letterario a comparire in Italia nei primissimi anni Cinquanta: Un paese, di Zavattini e Strand, sarebbe comparso soltanto nell’aprile del ’54; Le feste religiose in Sicilia, di Sciascia e Scianna, risale al 1965 (per citare due esempi altrettanto celebri). Dall’altro lato ad attirare le riflessioni degli studiosi molto probabilmente è il carattere ambiguo del volume in cui è rappresentata in pieno quella lotta – che nel caso di Conversazione illustrata evolve addirittura in contesa legale –, quello struggle for territory tra testo e immagine teorizzato da Mitchell, e indicato da Cometa come una delle caratteristiche del genere fototestuale.[2]

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